INDIVIDUALISMO E TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE, Capitolo 5: LA CHIESA NELLA STORIA EUROPEA

INDIVIDUALISMO E
TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE.
Origini evolutive, storia e prospettive future.
traduzione italiana di Marco Marchetti

LA CHIESA NELLA STORIA EUROPEA.

La Chiesa Cattolica è un’istituzione unica nel suo genere, non solo nella storia dell’Occidente, ma nella storia del mondo. Quando Marco Polo visitò la Cina nel XIII secolo e quando Cortés giunse tra gli aztechi nel 1519, entrambi trovarono una gran quantità di somiglianze con la loro società di origine, inclusi una nobiltà ereditaria, sacerdoti, guerrieri, artigiani e contadini che traevano tutti sostentamento da un’economia agricola. Vi era dunque un’enorme convergenza tra le società. Ma essi non trovarono un’istituzione religiosa che sostenesse di essere superiore alle istituzioni secolari e regolasse con successo il comportamento riproduttivo dell’élite laica. Né trovarono un re come Luigi IX (San Luigi) che regnò sulla Francia vivendo come un monaco con la sua unica moglie e che partecipò a una crociata per liberare la Terra Santa dai musulmani.

Quando si considerino le straordinarie convergenze tra tutte le società stratificate in rapporto ad un possibile punto di divergenza, si è tentati di dedurne che la divergenza sia illusoria e di attribuirla a un periodo assai posteriore, quando era presente una chiara differenza ambientale tra le società occidentali e quelle non occidentali (p. es. l’industrializzazione) come alcuni teorici hanno fatto1. Comunque, non vi è ragione di supporre che elevati livelli di convergenza tra tutte le società tradizionali stratificate del mondo non possano accompagnarsi ad un importante elemento di divergenza nel caso delle società occidentali. Una tesi di questo capitolo è che, considerata in una prospettiva interculturale, la Chiesa Cattolica sia un’istituzione unica nel suo genere, che ha esercitato un’importante influenza sul corso della storia dell’Occidente. Questa influenza fu diretta ad alterare la cultura occidentale, allontanandola dalle reti di parentela estesa e da altre istituzioni collettiviste, e fu motivata in ultima analisi dal desiderio della Chiesa di estendere il proprio potere. Comunque, sebbene la Chiesa abbia promosso l’individualismo e abbia indubbiamente influenzato la cultura occidentale in tale direzione, questa influenza si fondava su tendenze individualiste che precedevano di molto il cristianesimo e che derivavano, in ultima analisi, dalle tendenze etniche all’individualismo caratteristiche delle popolazioni europee (capitoli 1-4).

Sebbene la prospettiva che viene qui sviluppata ponga in risalto l’etnicità come variabile critica, anche la cultura è importante, e l’influenza della Chiesa va vista, in modo alquanto evidente, come un’influenza culturale. In particolare, a cominciare dal mondo antico, le ideologie associate al cristianesimo ebbero un profondo effetto sull’Occidente. Qui comincerò col delineare un quadro teorico basato sulla psicologia evoluzionista, allo scopo di comprendere come le ideologie possano avere un impatto sulla storia, ossia come l’influenza delle idee sulla storia sia possibile.

 

 

 

 

Processo implicito ed esplicito: come l’ideologia motiva il comportamento.

 

Una visione del genere si basa sulla ricerca psicologica, che individua due tipi di processo psicologico molto differenti: quello implicito e quello esplicito (discussi anche nel capitolo 8). Queste due modalità mostrano differenze sotto diversi aspetti2. Il processo implicito è automatico, non richiede sforzo, è relativamente veloce e implica l’elaborazione parallela di grandi quantità di informazioni; esso caratterizza i moduli descritti dagli psicologi evoluzionisti e si focalizza su meccanismi che rispondono in maniera riflessiva ad ambienti particolari (p. es. il riflesso delle palpebre in risposta alla luce, il desiderio sessuale in risposta allo stimolo visivo sessuale). Il processo esplicito è cosciente, controllabile, richiede sforzo, è relativamente lento e implica l’elaborazione in serie di quantità relativamente piccole di informazioni. Il processo esplicito è coinvolto nel funzionamento dei meccanismi dell’intelligenza generale3, come pure nel controllo degli stati emotivi e delle tendenze comportamentali4. E’ anche centrale nella concettualizzazione delle ideologie e nel modo in cui queste possono motivare il comportamento.

Le credenze religiose sono in grado di motivare il comportamento in virtù della capacità delle rappresentazioni esplicite dei pensieri religiosi (p. es. il tradizionale insegnamento cattolico della punizione eterna all’inferno come risultato del peccato mortale) di controllare i meccanismi modulari subcorticali (come ad esempio il desiderio sessuale). In altri termini, gli stati affettivi e le tendenze all’azione mediati dal processo implicito sono controllabili dai centri cerebrali superiori collocati nella corteccia5. Per esempio, le persone sono capaci di sopprimere attivamente i pensieri sessuali, sebbene per i maschi esista una forte base evolutiva in virtù della quale gli stimoli visivi sessuali provocano l’eccitazione6. Perciò, in condizioni sperimentali, alcuni soggetti maschi che erano stati istruiti a prendere le distanze da immagini atte a provocare l’eccitazione sessuale sono stati capaci di sopprimere tale eccitazione7. Si può immaginare che al posto di uno psicologo che dà istruzioni, le persone siano soggette a idee religiose tali per cui pensieri del genere vengono considerati peccaminosi e punibili da parte di Dio.

Ideologie come quella cristiana relativa alla peccaminosità dei pensieri sessuali sono una forma particolarmente importante di processo esplicito che può avere come risultato un controllo del comportamento che agisce da un livello superiore a uno inferiore. Vale a dire che certe rappresentazioni esplicite del mondo possono motivare il comportamento8. Per esempio, rappresentazioni esplicite dei costi e dei benefici di azioni rilevanti sul piano religioso, mediate dal linguaggio umano, e la capacità degli esseri umani di creare rappresentazioni esplicite di eventi possono influenzare gli individui ad evitare i cibi proibiti dalla religione o ad astenersi dalla fornicazione o dall’adulterio, nella convinzione che tali azioni possano avere come conseguenza la punizione nell’altra vita.

Le ideologie, comprese quelle religiose, caratterizzano un numero significativo di persone e motivanoil loro comportamento secondo un percorso dall’alto verso il basso, vale a dire che le funzioni cognitive superiori che implicano il processo esplicito e che hanno sede principalmente nella corteccia prefrontale, sono in grado di controllare le parti del cervello più primitive (modulari, riflessive) come le strutture che soggiacciono al desiderio sessuale. Le ideologie sono insiemi coerenti di credenze9. Queste credenze, esplicitamente possedute, sono in grado di esercitare una funzione di controllo sul comportamento e sulle predisposizioni prodotte dall’evoluzione.

Non vi è ragione di supporre che le ideologie siano necessariamente adattive10. Le ideologie spesso caratterizzano l’ampia maggioranza delle persone che appartengono a sottogruppi sociali cui si aderisce volontariamente (p. es. una particolare setta religiosa). Inoltre, le ideologie sono spesso strettamente intrecciate con vari sistemi di controllo sociale, in modo di razionalizzare tale controllo ma anche di trarre vantaggio dal potere che il controllo sociale ha di imporre la conformità ideologica nelle scuole o nelle istituzioni religiose. La seguente sezione illustra questi aspetti nella loro applicazione alla regolamentazione della monogamia nell’Europa occidentale.

 

Ideologia e controllo sociale a sostegno della monogamia nell’Europa occidentale.

 

La mia base teorica è la psicologia evoluzionista, e una delle prime domande che mi colpirono quando venni in contatto con la teoria evoluzionista della sessualità fu perchè le culture occidentali tendessero alla monogamia. La teoria evoluzionista della sessualità è alquanto semplice. Le femmine debbono investire molto nella riproduzione: gravidanza, allattamento e un’assidua cura dei bambini richiedono una straordinaria quantità di tempo. Di conseguenza, la riproduzione delle femmine risulta fortemente limitata. Anche nelle migliori condizioni le donne possono mettere al mondo all’incirca venti bambini. Ma per gli uomini l’atto riproduttivo ha un costo basso. Pertanto, gli uomini traggono vantaggio dall’avere molteplici compagne e ci si aspetta che i maschi forniti di ricchezza e di potere li utilizzino per assicurarsi quante più compagne possibile. In breve, un’intensa poligamia da parte degli uomini ricchi e potenti è un’ottima strategia maschile, ossia è un comportamento che ottimizza il successo riproduttivo individuale maschile nella maggior parte delle situazioni.

Questa teoria ha una base robusta. Sussiste una forte correlazione tra ricchezza e successo riproduttivo nelle società tradizionali di tutto il mondo. I maschi ricchi e potenti sono in grado di controllare un numero assai grande di femmine. I membri maschi delle élite di tutte le civiltà tradizionali del mondo, compresi quelli della Cina, dell’India, delle società musulmane, delle civiltà del Nuovo Mondo, dell’antico Egitto e dell’antico Israele, spesso avevano centinaia e anche migliaia di concubine. L’imperatore della Cina aveva migliaia di concubine e il sultano del Marocco è nel Guinnes Book of World Records per i suoi 888 figli. Nell’Africa subsahariana, col suo livello di produzione economica relativamente basso, le donne erano generalmente in grado di crescere i bambini senza un contributo maschile, e il risultato fu una moderata poligamia nella quale i maschi competevano tra loro per controllare quante più femmine possibile. In tutte queste società i bambini nati da tali relazioni erano legittimi. Potevano ereditare proprietà e non erano esposti la pubblico disprezzo.

Sicuramente, vi sono altre società in cui la norma è la monogamia. E’ comune operare una distinzione tra la monogamia imposta delle condizioni ambientali e quella imposta socialmente. In generale, la prima si osserva in società che sono state costrette ad adattarsi a condizioni ambientali molto dure, come il deserto o il freddo estremo, nelle quali la produzione economica è piuttosto limitata11. In tali difficili condizioni i maschi non possono controllare il surplus di valore creato da altri maschi (in termini marxisti) come spesso facevano le élite delle società agricole nelle quali il lavoro dei campi consentiva ai potenti un lussuoso stile di vita. Di conseguenza, in ambienti ostili sarebbe impossibile per i maschi controllare un numero di femmine superiore a quello che essi potrebbero sostentare mediante i propri sforzi, e il loro investimento verrebbe necessariamente convogliato verso i figli di una sola donna. Inoltre, in condizioni difficili una donna non sarebbe in grado di crescere dei bambini da sola, ma avrebbe bisogno del sostegno di un maschio.

Se queste condizioni persistessero per un periodo di tempo evoluzionisticamente significativo, ci si potrebbe aspettare di osservare che la popolazione sviluppi una forte tendenza alla monogamia. Infatti, come sostenuto nel capitolo 3, vi è una probabile base genetica per la monogamia occidentale, risultante dall’evoluzione avvenuta per un periodo di tempo significativamente lungo nelle difficili condizioni ecologiche dell’Europa settentrionale nel corso dell’ultima era glaciale. Questa garantirebbe una tendenza psicologica alla monogamia anche in presenza di condizioni ambientali mutate.

Comunque, la base genetica della monogamia non ha mai prodotto ciò che gli ecologi chiamano “monogamia obbligata”, quella cioè in cui una specie è geneticamente incanalata in un’angusta nicchia riproduttiva. Molti maschi occidentali, come quelli di altre società, hanno evidentemente conservato il gusto per la varietà sessuale e addirittura per il potere sulle donne (come osserveremo più avanti, Enrico I d’Inghilterra, agli inizi del XII secolo, ebbe dai 20 ai 25 figli illegittimi).

Perciò, malgrado le tendenze genetiche alla monogamia, ci si potrebbe aspettare che i maschi delle élite occidentali coltivino relazioni non monogame. Comunque, come riassumeremo più avanti, la documentazione storica indica che il comportamento sessuale dei maschi delle élite passò sotto il controllo della Chiesa, che regolamentò energicamente il matrimonio e il comportamento riproduttivo di questi uomini. In alcune aree storiche essa sottopose a controllo anche il comportamento sessuale dei propri membri, così che il celibato divenne per loro la norma. Nella misura in cui la Chiesa ebbe successo, la monogamia occidentale costituirebbe un esempio di ciò che Richard Alexander ha definito «monogamia socialmente imposta», per riferirsi a situazioni in cui la monogamia si manifesta anche in assenza di condizioni ambientali severe12.

Mentre tutte le altre culture economicamente avanzate del mondo sono state caratterizzate dalla poligamia dei maschi di successo, le società occidentali, a cominciare dai greci e dai romani e proseguendo fino al presente, hanno manifestato una possente tendenza alla monogamia13. Pertanto la Chiesa Cattolica non può essere considerata come la causa della monogamia sebbene, come si vedrà in seguito, essa abbia avuto  un ruolo centrale nel mantenerla, almeno nel corso del Medioevo.

La Chiesa Cattolica era l’erede della civiltà romana, in cui la monogamia era radicata nelle leggi e nei costumi, e durante il Medioevo essa si incaricò di imporre la monogamia sull’emergente aristocrazia europea14. Una poligamia relativamente moderata (in confronto ad altre società basate sull’agricoltura intensiva, come la Cina, l’India, il Medio Oriente e la Mesoamerica) esisteva in Europa e durante il Medioevo essa divenne oggetto di conflitto tra la Chiesa e l’aristocrazia. La Chiesa fu «la più influente e importante istituzione di governo [in Europa] del periodo medievale», e un aspetto primario di questo potere sull’aristocrazia secolare fu quello che implicava la regolamentazione della sessualità e della riproduzione15.  Il risultato fu che le medesime regole di condotta sessuale furono imposte tanto al ricco quanto al povero. Il programma della Chiesa «richiedeva soprattutto che i laici, e specialmente i più potenti tra loro, si sottomettessero all’autorità ecclesiastica e le permettessero di sorvegliare la loro morale, e in particolare la morale sessuale. Fu con questo mezzo, tramite il matrimonio, che l’aristocrazia potè essere mantenuta sotto controllo. Ogni problema matrimoniale doveva essere sottoposto alla Chiesa e risolto da essa soltanto»16. Conciliare il comportamento della Chiesa con la psicologia evoluzionista è cosa che richiede un commento. Nel corso di almeno alcuni periodi (si veda più avanti) la Chiesa fu guidata da uomini celibi che cercarono di ottenere il potere sull’aristocrazia. Un evoluzionista si aspetta che il potere politico si traduca in successo riproduttivo, ma per quanto ciò si sia verificato in certe epoche, di certo non accadde nell’Alto Medioevo. Il desiderio di potere è un aspetto umano universale, ma come per tutti i desideri umani non è necessariamente collegato al successo riproduttivo. Similmente, gli individui desiderano il sesso, ma l’attività sessuale non porta necessariamente a generare una quantità di figli, anche se la natura l’ha progettata a tale scopo. E nel caso della Chiesa, molto del suo potere durante l’Alto Medioevo (ca. 100 – ca. 1250, l’apice del suo potere) derivava dall’immagine popolare che la presentava come formata da uomini che avevano rifiutato la riproduzione.

In altre parole, il potere della Chiesa poggiava in ultima analisi sull’accettazione di un’ideologia religiosa che, come vedremo più avanti, era probabilmente attraente soprattutto perchè le persone che più erano responsabili della sua propagazione (preti e monaci) erano percepiti come altruisti e non come egoisti. La Chiesa medievale ebbe successo nel trasmettere un’immagine secondo la quale essa non era interessata a controllare le donne o ad avere un elevato livello di successo riproduttivo. Le cose, tuttavia, non erano sempre andate così. La rivoluzione papale dell’XI secolo ebbe, sotto questo aspetto, un’importanza critica.

 

La rivoluzione papale: la creazione dell’immagine della Chiesa come istituzione altruista.

 

Una prospettiva evoluzionista considera l’interesse personale come un principio fondamentale. Gli altruisti sono, per definizione, in una posizione di svantaggio sul piano riproduttivo rispetto al loro gruppo, in quanto danno agli altri più di quanto ricevano in cambio. Certamente i gruppi possono strutturarsi in modo tale che gli individui siano indottrinati o costretti a conformarsi agli interessi del gruppo attraverso il controllo sociale, e questa è l’intuizione fondamentale dell’idea di selezione culturale di gruppo17. Ma anche in un caso del genere, si suppone che la condizione di partenza sia l’interesse personale, un interesse che richiede di essere controllato ed incanalato in quello del gruppo.

Un gran numero di ricerche psicologiche rende ragione dell’importanza fondamentale dell’interesse personale. Tralasciando il caso dei parenti stretti (in particolare i bambini) la reciprocità è la norma fondamentale dell’interazione umana18. Gli individui pertanto non si aspettano che gli altri si comportino in maniera altruistica, dando cioè con generosità senza attendersi nulla di tangibile in cambio. Non sorprende dunque che quando qualcuno si comporta altruisticamente, costui venga altamente lodato e ricompensato con un’accresciuta reputazione.

Il plauso, tributato attraverso i mezzi di informazione o direttamente nella vita sociale, attiva un meccanismo di ricompensa psicologica radicato nella nostra biologia evolutiva: gli uomini, per natura, desiderano l’approvazione sociale. Coloro che plaudono a questo comportamento si rendono conto, implicitamente, che il sacrificio dei propri interessi va contro le tendenze naturali, e che, in generale, gli altruisti non si comportano in modo tale da ottimizzare l’adattamento biologico19. In ogni caso, come vedremo più avanti, dopo la rivoluzione papale i genitori (molti dei quali facoltosi) spesso disapprovavano la decisione dei loro figli di entrare in un ordine religioso, presumibilmente perché, come la maggior parte dei genitori, volevano dei nipoti.

Similmente, il potere e l’influenza della Chiesa nell’Alto Medioevo beneficiarono enormemente di un’immagine di altruismo riproduttivo. Prima però di procedere ad esaminare questi dati, è opportuno fornire qualche informazione sul contesto.

Il collasso dell’impero carolingio nell’888 lasciò un vuoto di autorità centrale e pose nuove sfide alla Chiesa. Essa rispose cercando di diventare essa stessa una forza unificatrice e centralizzatrice, ma ciò fu difficile perché durante il periodo carolingio la Chiesa si era compromessa con le élite secolari e il papa era diventato «un mero giocattolo delle famiglie aristocratiche locali»20. Nella Francia occidentale (la proto-Francia) i vescovi venivano nominati dalle élite militari laiche; questi vescovi e abati alienavano le proprietà ecclesiastiche ai membri di queste élite; le cariche ecclesiastiche erano spesso oggetto di compravendita (simonia) e i membri del clero erano spesso sposati o mantenevano concubine, violando la pratica del celibato. Scrivendo a proposito della Chiesa francese, nel 742, San Bonifacio si lamentava col papa dei «cosiddetti diaconi che hanno trascorso la vita, fin dall’adolescenza, nella dissolutezza, nell’adulterio e in ogni sorta di sozzeria, che sono entrati nel diaconato con tale reputazione e che ora, avendo quattro o cinque concubine nel loro letto, leggono ancora [pubblicamente, n. d. t.] la Parola di Dio»21.

Quello che seguì fu di estrema importanza per la successiva influenza del cristianesimo sull’Occidente. Si può immaginare che se le élite militari laiche avessero continuato a controllare il clero nei loro domini, ci sarebbe stata una continuazione della basilare organizzazione sociale IE, nella quale la Chiesa e la società in generale sarebbero state dominate da un’élite militare aristocratica.

Tuttavia, vedendo declinare il proprio potere e la propria influenza a causa del frazionamento politico risultante dalla fine dell’impero carolingio e percependo la propria corruzione e il proprio asservimento all’aristocrazia, la Chiesa reagì riformando se stessa e rivendicando in modo aggressivo la propria sovranità sulle autorità secolari. Ciò fu facilitato dall’immagine pubblica (e dalla sostanziale realtà) della Chiesa dell’Alto Medioevo quale istituzione altruistica sul piano riproduttivo. Un’importante avvisaglia di quanto doveva accadere fu l’azione di papa Nicola I (che diede un contributo fondamentale all’idea della supremazia papale) a metà del IX secolo, volta ad impedire il tentativo da parte di Lotario, re di Lorena, di divorziare dalla propria moglie, dalla quale non aveva avuto figli, per sposare un’altra donna che gliene aveva dati, una pratica questa che avrebbe goduto di piena legittimità nella società germanica precristiana.

Larry Siedentop ritiene che tre cose furono necessarie alla rivoluzione papale: un’élite che si era riformata con successo (potendo così presentare una credibile immagine altruistica di sè, cosa essenziale per ottenere il sostegno pubblico) una rivendicazione plausibile della supremazia papale e un corpo di leggi canoniche ben sviluppato. A cominciare dal 1073 il papato passò ai “papi-monaci”, pontefici che provenivano dalla vita monastica22. I concili papali si fecero più frequenti, i legati pontifici più numerosi e la corrispondenza papale più vasta. La chiesa sviluppò un sistema legale relativamente sofisticato, assai più prevedibile ed organizzato dei sistemi legali secolari dell’epoca. L’enorme quantità di cause legali rafforzò le sue pretese di porsi come autorità legislativa e giudiziaria suprema.

I monasteri (tra i più importanti dei quali Cluny, all’inizio del X secolo) si posero alla guida della riforma, in un’epoca in cui l’autorità vescovile era corrotta. Cluny restaurò il prestigio del monachesimo «quale autentica vita cristiana»23. Come nelle epoche precedenti, il modello monastico ebbe grande successo nel propagare un’immagine della Chiesa emotivamente efficace, stimolando «una notevole manifestazione di pietà laica».

Come mostra l’esempio di re Lotario, un aspetto centrale della rivoluzione papale fu la posizione della Chiesa rispetto al matrimonio: consenso tra gli sposi, nessun divorzio, regole elaborate per evitare l’unione  tra consanguinei (che ebbero l’effetto di ridurre il potere delle parentele estese, poiché le famiglie aristocratiche furono costrette a cercare mogli o mariti al loro esterno) e un minor potere del paterfamilias. Essenzialmente, la Chiesa aveva scelto il matrimonio come principale terreno di scontro nel suo sforzo per accrescere il proprio potere sui governanti laici, presumibilmente perché le questioni relative al matrimonio e alla sessualità si prestavano a censure morali e religiose. Interpretando il matrimonio come un sacramento e pertanto come materia di propria competenza, la Chiesa si dotò di un’arma importante per estendere il suo potere sulle élite secolari.

Un aspetto critico per il successo della Chiesa fu che dalla metà dell’XI secolo alla metà del XIII ebbe luogo con successo una riforma che la sottrasse agli abusi derivanti dal controllo laico sulle cariche ecclesiastiche. La riforma fu ispirata dal prestigio e dal potere dei monasteri, specialmente di Cluny, con il loro stile di vita ascetico, e dalla «creazione di un’élite clericale determinata a compiere una riforma sistematica»24. Papa Leone IX (che regnò dal 1049 al 1054) ebbe un ruolo centrale, ad esempio, nel ristabilire il celibato ecclesiastico e nel contrastare la simonia. Diversi papi di questo periodo provenivano dalla vita monastica e Leone IX, pur non essendo un monaco, fu promotore entusiasta dell’ordine monastico di Cluny. In definitiva, la credibilità della Chiesa dipese dall’immagine di un clero ascetico e celibe che si delineò sostanzialmente nel corso del’Alto Medioevo.

«Dagli inizi del monachesimo nell’Europa occidentale, i monaci avevano goduto di una posizione speciale tra i poveri. Essi suscitavano rispetto e addirittura affetto perché venivano visti come coloro che rappresentavano la vita cristiana più compiutamente di qualsiasi altro gruppo, incluso (e forse in particolar modo) il clero secolare»25. Esisteva un modello di “radicalismo religioso” che propugnava la vita ascetica e condannava la vita lussuosa.

La Chiesa pertanto proiettò un’immagine di castità ed altruismo pur continuando a perseguire assiduamente il potere sulle élite laiche. Il suo potere e la sua ricchezza non erano finalizzati al successo riproduttivo. La riforma del comportamento sessuale del clero fu un fatto reale. Nessun prelato inglese del XIII secolo è noto per aver avuto una moglie o una famiglia. Durante questo periodo i membri del clero sposati, anche ai livelli inferiori, furono un’eccezione in Inghilterra, e il basso tasso di incontinenza clericale si mantenne fino all’epoca della Riforma.

L’altruismo riproduttivo sembra aver avuto un peso nell’attrazione assai diffusa esercitata dallo stile di vita estremamente austero dei monaci e aver contribuito grandemente all’immagine pubblica della Chiesa dell’Alto Medioevo. Nel corso dell’XI e del XII secolo vennero fondati migliaia di monasteri. Popolati da maschi celibi ed ascetici, reclutati soprattutto nelle classi più benestanti, i monasteri «definirono il tono della spiritualità dell’intera Chiesa nell’educazione, nell’arte [e] nella trasmissione della cultura»26. L’immagine dell’altruismo monastico fu altresì promossa da un’ideologia nella quale le preghiere dei monaci erano considerate un aiuto per tutti i cristiani.

Questi ordini monastici fornirono un’immagine pubblica della chiesa assai popolare. Nel corso del XIII secolo i frati mendicanti27, come i domenicani e i francescani, ebbero un ruolo nel riformare la Chiesa nella direzione di un ampliamento del potere papale, nell’imposizione di regole relative al celibato ecclesiastico, nella predicazione contro il nepotismo e la simonia, nell’attribuzione alla Chiesa di una sostanziale autorità sui poteri secolari, inclusa quella di regolamentare le relazioni sessuali. «La povertà volontaria e l’indigenza autoimposta che identificavano i primi Mendicanti con gli strati più umili e più svantaggiati della popolazione, in forte contrasto con il carrierismo e con l’ostentazione del clero secolare e con la ricchezza collettiva e l’esclusivismo dei monasteri, mosse le coscienze e la generosità delle comunità mercantili»28.

 

E’ uno dei fenomeni più notevoli dell’intera storia quello per cui nell’Alto Medioevo […] molti membri degli strati più elevati e più ricchi, o almeno più prosperi, della società, che avevano le migliori opportunità di godere appieno dei piaceri terreni, vi rinunciassero. […] Il flusso di nuovi candidati fu particolarmente impressionante nei luoghi in cui le regole della vita monastica erano state restaurate nella loro antica severità, imposte più rigorosamente o addirittura ridefinite in maniera più rigida. […] Dobbiamo supporre che il principale motivo della scelta di una vita monastica sia stato sempre l’ideale escatologico del monachesimo, anche quando questo poteva perdere qualcosa della sua forza trainante nel corso di una lunga vita o era mescolato ad altre motivazioni fin dall’inizio29.

 

Qualunque fossero le motivazioni implicate, queste società di maschi celibi e ascetici «definirono il tono della spiritualità dell’intera Chiesa nell’educazione, nell’arte [e] nella trasmissione della cultura»30. Miccoli osserva che cinque dei sei papi vissuti durante il periodo critico della riforma, tra il tardo XI e il primo XII secolo provenivano dalla vita monastica e che la loro influenza fu diretta a conseguire l’egemonia monastica sull’intera società. Era

 

un potente movimento per ottenere il controllo di tutta la vita sociale ed organizzarla secondo la visione monastica. Il lascito dei Padri della Chiesa e del primo Medioevo furono interpretati e riformulati in termini di egemonia monastica: teologia, cosmologia, antropologia, morale e diritto vennero rimodellati per fornire fondamento e giustificazione alla superiorità dei monaci all’interno delle rigide categorie sociali che suddividevano e disciplinavano la società31.

 

Nel corso del XIII secolo i frati mendicanti venivano tipicamente reclutati nell’aristocrazia, nella classe dei proprietari terrieri e in altre famiglie benestanti. I loro genitori spesso disapprovavano la decisione, presumibilmente perché, come la maggior parte dei genitori, desideravano dei discendenti biologici. «Per le famiglie agiate la possibilità che i loro figli potessero farsi frati era un incubo»32. Queste famiglie cominciarono ad evitare di mandare i loro figli alle università per il ben fondato timore che essi venissero reclutati nella vita religiosa.

Perciò, al centro della società si trovava un’istituzione portatrice di un’ideologia secondo la quale le persone avevano il dovere di essere altruiste e celibi anche se erano nate per essere ricche. Ciò spiega l’accettazione popolare dell’autorità della Chiesa in materia di matrimonio e di sessualità. La Chiesa aveva evidentemente conseguito la superiorità morale sulla società, così che la decisione di adottare uno stile di vita monastico era tenuta in alta considerazione e vista come una strada sicura verso le ricompense dell’aldilà.

Qualunque cosa si possa dire sull’Europa occidentale in questo periodo, l’eugenetica non faceva parte del  suo quadro e, in generale, questo fenomeno è un esempio paradigmatico dell’importanza dell’ideologia nella storia dell’Occidente. La potente identificazione religiosa dell’epoca, che ruotava intorno alla credenza che l’ascesi e una vita di servizio («uno dei fenomeni più straordinari dell’intera storia»33) avrebbero raccolto ricompense nell’altra vita, stava probabilmente sullo sfondo di gran parte dell’intensa spinta motivazionale di quel tempo.

 

La rivoluzione papale: il potere della Chiesa sulle élite secolari.

 

Accanto all’accettazione del celibato e dell’ascetismo stava la preoccupazione di estendere il potere della Chiesa, «un potente movimento finalizzato ad ottenere il controllo di tutta la vita sociale e ad organizzarla secondo la visione monastica»34. E’ questa spinta ad accrescere il proprio potere a spese delle altre potenziali fonti di potere (i re e l’aristocrazia, i gruppi di parentela estesa) che spiega meglio di ogni altra cosa il comportamento della Chiesa medievale. Il desiderio di potere è un aspetto umano universale del tutto coerente col pensiero evoluzionista, tranne per il fatto che in questo caso esso non fu accompagnato dalla consueta conseguenza del potere: il successo riproduttivo e il controllo sulle donne.

Vi è una lunga storia di papi che hanno disciplinato, o almeno tentato di disciplinare, i governanti laici. Nel 390 Sant’Ambrogio, arcivescovo di Milano, scomunicò l’imperatore Teodosio a causa di un massacro compiuto in Grecia, e Teodosio si sottomise facendo penitenza nella cattedrale di Milano. Nel Medioevo la Chiesa possedeva già una lunga storia di coinvolgimento nelle questioni civili, derivante dal ruolo da essa avuto durante le invasioni barbariche. Ma la vera rivoluzione ebbe inizio con la metà dell’XI secolo, con un più forte controllo del papa sui vescovi. Nel 1059 il papato cominciò ad essere l’esito di un’elezione da parte del collegio dei cardinali, piuttosto che quello di un’asta tra le potenti famiglie romane.

Gregorio VII, papa dal 1073 al 1085, completò la rivoluzione con il suo scontro con l’imperatore tedesco Enrico IV. Il suo Dictatus Papae espose le rivendicazioni dell’autorità papale sulle investiture (ossia sulle nomine del clero locale, che in precedenza erano state prerogativa degli imperatori tedeschi) reclamando addirittura il diritto di deporre gli imperatori. Gregorio gettò le basi della Chiesa come sistema legale fondato sul suo «primato morale»35. Egli non solo aveva il potere di scomunicare, ma a volte incoraggiò i sudditi a non obbedire ai governanti.

La rivoluzione papale ebbe come conseguenza una chiara distinzione tra sacro e profano. Mentre in precedenza i re si ritenevano abitualmente in grado di nominare membri del clero e di interferire nelle questioni ecclesiastiche, il successo della rivoluzione significò che questo non era più possibile.

La Chiesa non vinse mai del tutto la battaglia per le investiture, ma in generale le autorità secolari riconobbero la sua autonomia. La Chiesa si presentò come la corte d’appello suprema dell’Europa occidentale. Il bisogno chevessa sentiva di una struttura giuridica rinnovò l’interesse per il diritto romano, ma il diritto canonico interpretò le leggi romane in modo da renderle conformi al sentire morale cristiano. Graziano (metà del secolo XII) uno dei principali codificatori del diritto canonico, presuppose che l’eguaglianza e la reciprocità precedessero la legge; ciò era in contrasto col diritto romano, che dava la priorità allo status della persona (p. es. quello di paterfamilias) presupponendo pertanto una naturale diseguaglianza, secondo una visione del mondo aristocratica.  Papa Innocenzo III, scrivendo al principio del XIII secolo, affermò: «Giudicherai il grande come il piccolo e non vi sarà differenza di persone»36.

Il diritto canonico aveva dunque un tenore fortemente egualitario; lo status, che era un elemento centrale del diritto antico, era irrilevante. L’ideologia ecclesiastica facilitò pertanto la tradizione progressista occidentale. Aristocratici e popolani avevano il medesimo status morale. Inoltre, il diritto canonico venne impiegato per ridurre il potere dei gruppi di parentela, respingendo il ruolo privilegiato della testimonianza addotta da familiari e amici (che aveva fatto in modo che le famiglie più potenti ottenessero giudizi favorevoli). In generale «questa posizione morale [l’enfasi posta su “eguaglianza e reciprocità”] favorì quella mitezza del diritto canonico che lo distingueva non soltanto dal diritto consuetudinario e feudale, ma anche dal diritto civile romano»37. Il diritto canonico pose l’accento sulla pubblica punizione con l’intento di indurre il senso della colpa, «raggiungere e commuovere la coscienza del reo»38. Le persone colpevoli agiscono in base ad una norma morale interiorizzata; si sentono colpevoli sia che le loro azioni diventino di pubblico dominio, sia che ciò non avvenga.

Altri aspetti del diritto canonico posero una sfida diretta alle pratiche tradizionali germaniche e perciò ai privilegi fondamentali delle élite aristocratiche. Fu posto l’accento (1) sul matrimonio basato sul consenso degli sposi, anche in opposizione ai desideri dei genitori; (2) sulla proibizione del divorzio anche nel caso di matrimonio sterile; (3) sulla delegittimazione del concubinato, impedendo ai figli bastardi di ereditare; ad esempio, nel 1202 il papa si pronunciò contro un conte che cercava una dispensa affinchè il proprio figlio bastardo potesse ereditare.

In generale, il consenso e l’associazione volontaria assunsero un’importanza centrale. A differenza del mondo antico, società private come le gilde, o addirittura i paesi e le città, non avevano bisogno dell’approvazione dell’autorità, ma si basavano semplicemente sull’associazione tra i loro membri. Tali corporazioni potevano avere autorità giudiziaria e legislativa sui loro membri, riducendo con ciò il potere dell’aristocrazia. Le principali decisioni dovevano essere prese con il consenso dei membri, piuttosto che con quello dei rappresentanti (nel diritto romano i rappresentanti erano nominati dall’autorità). Le corporazioni erano pertanto associazioni volontarie che esistevano in virtù del consenso dei loro membri.

La battaglia tra la Chiesa e i governanti secolari terminò con uno stallo e con il riconoscimento di due fonti di autorità. Ciò nondimeno, Siedentop sostiene che la Chiesa, come sistema giuridico unificato, segnò il destino del feudalesimo con i suoi centri di potere ampiamente dispersi, «iniziando quel processo che portò agli stati-nazione europei»39. Tanto gli interessi dei re quanto quelli della Chiesa si contrapponevano al feudalesimo.

 

Il collettivismo ecclesiastico medievale.

 

La Chiesa medievale fu una peculiarità della cultura occidentale, ma per certi aspetti critici essa fu alquanto non-occidentale. Questo perché l’Europa medievale era una società collettivista con un forte senso dell’identità di gruppo e della dedizione ad esso. Ciò è in contrasto con il tema generale di questo libro, e cioè che le società occidentali siano uniche nella loro inclinazione all’individualismo, e che quest’ultimo sia di fatto un elemento che definisce la civiltà occidentale. In effetti, il declino del collettivismo ecclesiastico costituì assai probabilmente una condizione preliminare per la piena fioritura dell’individualismo nelle aree dell’Occidente ad esso più predisposte, e cioè il Nordest dell’Europa, abitato dalle popolazioni germaniche e scandinave.

Nell’Alto Medioevo il collettivismo della società europea occidentale era una realtà. Esisteva un forte senso dell’identità di gruppo e un impegno di gruppo nei confronti del cristianesimo a tutti i livelli della società, come mostrano, per esempio, le moltitudini dei pellegrini e l’esternazione di fervore, religioso e di gruppo, che accompagnarono le Crociate, aventi l’obiettivo di liberare la Terra Santa dal controllo musulmano. La Chiesa medievale mostrava spesso un forte senso dell’interesse economico cristiano nei riguardi degli ebrei, e spesso operò vigorosamente al fine di escludere gli ebrei dall’influenza economica e politica e di impedire i contatti sociali tra cristiani ed ebrei40.

Come descritto in precedenza, vi era anche un elevato livello di altruismo riproduttivo, in particolare tra i frati mendicanti, tra molti altri membri del clero e addirittura tra le élite secolari, come nel caso di Luigi IX

di Francia (San Luigi); questi non fu soltanto un esempio di volontaria continenza e di corretto comportamento sessuale cristiano, ma ebbe anche un forte senso degli interessi economici di gruppo dei cristiani rispetto agli ebrei e fu intensamente coinvolto nelle Crociate per riportare la Terra Santa sotto il controllo cristiano41. Gli europei si consideravano parte del gruppo cristiano, schierato contro i gruppi esterni non cristiani (in particolare i musulmani e gli ebrei) che erano visti come nemici potenti e minacciosi.

Esisteva in effetti un divario tra la realtà e l’ideale di una società cristiana unita, fondata sul potere della Chiesa e sulla continenza sessuale delle élite. Ma questo divario dev’essere bilanciato dal riconoscimento del fatto che molti cristiani medievali, e specialmente gli attori di primo piano della società medievale come i movimenti monastici, i frati mendicanti, i papi riformatori, i ferventi crociati, i pii pellegrini e anche molti membri dell’élite aristocratica vedevano se stessi come parte di una collettività fortemente unita e sovranazionale. E’ tale orientamento sostanzialmente collettivista (così estraneo alla vita occidentale contemporanea) che rende comprensibili, in termini psicologici, gli elevati livelli di dedizione al gruppo e di altruismo caratteristici del periodo medievale42.

Come vedremo più avanti, questo collettivismo religioso medievale, combinato con l’aspirazione al potere da parte della Chiesa, di fatto facilitò, nel lungo periodo, l’individualismo occidentale e la tradizione progressista, in quanto, come entità egemonica, la Chiesa entrò in conflitto con altre collettività che ad essa si contrapponevano (p. es. i gruppi parentali e i regni secolari) cosa che finì per portare ad una concezione della cristianità come un insieme di anime individuali moralmente uguali unite dalla comune identità religiosa e che in definitiva spianò la strada al protestantesimo e all’illuminismo.

 

Controllo sociale e ideologia per il mantenimento della monogamia socialmente imposta.

 

Il controllo del comportamento sessuale nel Medioevo e oltre.

Uno dei principali obiettivi della Chiesa medievale fu quello di sorvegliare il comportamento sessuale esterno al matrimonio monogamico. La vigilanza sulle trasgressioni sessuali fu un’importante funzione dei tribunali ecclesiastici a cominciare dal Medioevo e almeno fino alla fine del XVII secolo. Questi tribunali furono assai attivi nell’Inghilterra del Seicento, perseguendo i casi di fornicazione, adulterio, incesto e coabitazione illecita. Sebbene l’efficacia di queste sanzioni ecclesiastiche variasse a seconda della regione e del periodo, si ebbero esempi di devastanti conseguenze nei quali «le vittime furono perseguitate dai membri del loro gruppo sociale, privati dei mezzi di sostentamento dal boicottaggio della comunità e trattati come reietti».

Nel XVII secolo, l’Alta Commissione del sistema dei Tribunali Ecclesiastici impose delle sanzioni, incluse quelle per l’adulterio, ai possidenti, che potevano peraltro attendersi l’immunità da procedimenti giudiziari di altro genere: «Questa imposizione dell’uguaglianza di fronte alla legge non fece apprezzare i tribunali alla gente che contava nell’Inghilterra del XVII secolo»43. Le autorità secolari, come i giudici di pace, furono altrettanto pronte a perseguire tali crimini. Ad esempio, in forza degli statuti elisabettiani i giudici di pace del XVI e del XVII secolo condannavano ordinariamente le persone di entrambi i sessi che si erano macchiate di crimini attinenti la sfera sessuale alla pubblica fustigazione, nella quale il reo veniva denudato fino alla cintola (le donne «fino al fondo della schiena» e messo alla gogna44.

 

 

 

Ideologie a sostegno della monogamia.

Sebbene in ultima analisi facesse affidamento sul controllo sociale, la Chiesa medievale sviluppò elaborate ideologie atte a promuovere la monogamia e la continenza sessuale. In generale, gli scritti su questo argomento ponevano l’accento sulla superiorità morale del celibato e sulla peccaminosità dell’attività sessuale extramatrimoniale di qualunque genere. Ogni relazione sessuale al di fuori del matrimonio monogamico è stata universalmente condannata dalle autorità religiose dal principio dell’età moderna fino all’epoca contemporanea. Il sesso nell’ambito del matrimonio era considerato come una spiacevole e peccaminosa necessità, e perfino l’eccessiva passione di un uomo nei confronti della propria moglie era considerata adulterio. Uno degli aspetti dell’illuminismo del XVIII secolo fu il movimento intellettuale a favore di una maggiore libertà sessuale, ma ciò rimase limitato all’élite ed ebbe vita breve. Una forte ideologia sessuale di matrice religiosa ostile all’edonismo acquisì nuovamente rilevanza nel XIX secolo.

 

Conclusione.

A cominciare dal Medioevo, un elaborato sistema di controllo sociale e di ideologie portò all’imposizione più o meno totale della monogamia in vaste aree dell’Europa occidentale. «La grande conquista sociale del primo Medioevo fu l’imposizione delle medesime regole di comportamento sessuale e domestico sia al ricco che al povero. Nessuno poteva ritenersi esentato, il re nel suo palazzo come il contadino nella sua casupola»45. Ciò nondimeno, il sistema non fu affatto perfettamente egualitario. In tutta l’Europa preindustriale fu  presente una correlazione positiva tra ricchezza e successo riproduttivo.

Nell’Europa occidentale c’è stata una notevole continuità in un’ampia serie di istituzioni che hanno penalizzato la poligamia e incanalato la sessualità non monogamica verso sbocchi non riproduttivi, o per lo meno ritenuti tali, oppure l’hanno del tutto soppressa. Malgrado i cambiamenti in queste istituzioni e malgrado i vasti mutamenti delle condizioni politiche ed economiche, le istituzioni familiari occidentali, favorite da una storia evolutiva unica nel suo genere (cfr. il capitolo 4) hanno chiaramente mirato all’imposizione sociale della monogamia. In linea di massima questo sforzo ebbe successo.

 

Effetti della monogamia.

 

La monogamia come precondizione al profilo demografico “a bassa pressione” dell’Europa e alla rivoluzione industriale.

La monogamia è un aspetto centrale dell’unicità occidentale è può benissimo costituire una condizione necessaria del peculiare profilo demografico “a bassa pressione” dell’Europa46. In una società sessualmente competitiva come la Cina classica, le serve erano anche le concubine del padrone di casa47 così che le risorse domestiche potevano essere direttamente tradotte in riproduzione. Nel modello europeo nordoccidentale i maschi facoltosi davano sostegno economico a molti più individui non imparentati con loro di quanto avvenisse nelle società sessualmente competitive dell’Eurasia.

Vi sono fondate ragioni per supporre che la monogamia sia stata una condizione necessaria per il peculiare profilo demografico europeo “a bassa pressione” descritto da Wrigley e Schofield48. Tale profilo demografico è il risultato del matrimonio tardivo e dell’esclusione dal matrimonio di un’ampia percentuale di femmine in periodi di scarsità economica. Il collegamento teorico con la monogamia consiste nel fatto che il matrimonio monogamico porta ad una situazione in cui i poveri di entrambi i sessi non sono in grado di sposarsi, mentre in un sistema poligamico un’eccedenza di femmine povere abbassa semplicemente il prezzo delle concubine per i maschi ricchi. Così, ad esempio, Wrigley e Schofield hanno osservato che verso la fine del XVII secolo circa il 23% degli individui di entrambi i sessi rimaneva celibe o nubile in una fascia di età tra i 40 e i 44 anni, ma che, in seguito al mutamento delle opportunità economiche, tale percentuale era scesa al 9% agli inizi del XVIII secolo, con una corrispondente diminuzione dell’età degli sposi49. Come per la monogamia, questo è stato un modello unico tra le società stratificate dell’Eurasia.

A sua volta, il profilo demografico a bassa pressione sembra avere avuto conseguenze economiche. Il tasso di matrimoni non fu soltanto il principale freno alla crescita della popolazione ma, specialmente in Inghilterra, esso mostrò una tendenza a ristagnare ben oltre le condizioni economiche favorevoli, così che si ebbe una tendenza all’accumulazione capitale in tempi di prosperità piuttosto che una pressione costante della popolazione sulle scorte di cibo:

 

Il fatto  che l’adeguamento altalenante tra le fluttuazioni economiche e quelle demografiche si verificasse in maniera così tranquilla, tendendo a produrre ampie anche se graduali oscillazioni nei salari reali, rappresentò un’opportunità di liberarsi dalla trappola dei bassi redditi che, in alcuni casi, si ritiene abbia frenato tutte le nazioni preindustriali. Un lungo periodo di aumento dei salari reali, modificando la struttura della domanda, tende ad imprimere una spinta sproporzionatamente forte alla domanda dei beni che vanno al di là di quelli atti a soddisfare le necessità di base della vita, e perciò a settori dell’economia la cui crescita è particolarmente importante ai fini di una rivoluzione industriale50.

 

Vi sono dunque alcune ragioni per supporre che la monogamia, generando un profilo demografico a bassa pressione, sia stata una condizione necessaria per l’industrializzazione. Questo argomento suggerisce che la monogamia possa in effetti aver costituito un aspetto centrale della necessaria architettura della modernizzazione occidentale.

Similmente, in uno studio sull’età matrimoniale e sugli effetti ne derivarono per un’ampia serie di ambiti, si conclude che senza il regime del matrimonio tardivo il tenore di vita in Inghilterra non avrebbe conosciuto un miglioramento fino al 1870.

 

Il matrimonio tardivo non solo portò ad una contrazione del numero delle nascite, ma fornì anche maggiori opportunità di apprendimento informale alle donne, soprattutto attraverso il “servizio”. Un’elevata percentuale di donne nubili in età fa i 15 e i 25 anni lasciava la famiglia per lavorare altrove, invece di allevare bambini come accadeva in altre società. Ciò ampliò gli orizzonti femminili nella misura in cui lo si confronti col passaggio diretto dalla vita nella famiglia dei genitori alle esigenze della maternità e della gestione della casa [come avveniva nelle famiglie congiunte dell’Europa meridionale]. In tutto questo periodo la famiglia fu la principale istituzione per l’educazione e l’addestramento dei futuri lavoratori. L’istruzione scolastica, in Inghilterra, non divenne obbligatoria fino al 1880. Agli inizi del XIX secolo pochi bambini frequentavano regolarmente la scuola e pochi vi rimanevano per più di un anno e mezzo. Le capacità lavorative e la disciplina apprese venivano trasmesse e costruite, con l’avvicendarsi delle generazioni, sopratutto dalla famiglia. [Mostriamo] come, col passare dei secoli, il graduale incremento di questo capitale umano fece crescere la produttività e portò infine alla rivoluzione industriale51.

 

Monogamia e investimento nella prole.

I sistemi poligamici tendono a tradursi in una devoluzione delle risorse verso la riproduzione e solo in misura relativamente minore in un investimento nella prole. Per un maschio di una società poligamica l’investimento in un’altra moglie o concubina e nella sua prole a basso costo rappresenta un’attrattiva52. L’investimento in ulteriori concubine tende ad avere un elevato ritorno in termini riproduttivi e richiede un piccolo investimento nella prole. Tipicamente, ai figli delle concubine veniva data un’eredità relativamente piccola e veniva accettata la loro discesa nella scala sociale. Tra i figli delle donne degli harem si rileva un basso rapporto maschi-femmine, con una preponderanza di femmine53. In termini teorici questo implica un punto a favore della prole a basso investimento, perché in generale per le femmine è più facile riuscire ad accoppiarsi54. Sebbene le figlie di queste concubine avessero uno status sociale inferiore a quello paterno, esse tendevano a sposarsi. D’altro canto, i figli maschi delle classi superiori erano oggetto di competizione tra le famiglie di status inferiore per quanto riguarda la dote. In entrambi i casi, vi è poca necessità che i padri investano tempo, energia o denaro nella prole delle loro concubine.

La monogamia, all’opposto, restringe l’investimento dei singoli maschi alla prole di un’unica femmina. Col declino delle relazioni di parentela estesa (vedasi oltre) e l’istituzionalizzazione della monogamia per tutte le classi sociali, il mantenimento dei figli venne ad essere completamente a carico della famiglia nucleare indipendente. Come si dirà più avanti, questa famiglia, basata solo sui genitori e i loro figli, fu l’antesignana critica della modernizzazione occidentale.

 

Il cristianesimo in contrapposizione all’antico ordine sociale aristocratico greco-romano.

 

La struttura familiare romana è stata discussa nell’Appendice al capitolo 2. Larry Siedentop sostiene che San Paolo abbia sostanzialmente capovolto questo mondo di gerarchie naturali55. Nell’ideologia cristiana l’individuo prese il posto dell’antica famiglia IE come sede della legittimità morale. L’ideologia cristiana era concepita per tutti gli uomini, cosa che portò ad un senso di egualitarismo morale, almeno all’interno della comunità cristiana, piuttosto che a quello di una gerarchia naturale. Le anime individuali erano considerate come agenti morali dotati di uguale valore agli occhi di Dio.

Ciò nondimeno, il cristianesimo non inventò l’universalismo morale, ma piuttosto si costruì a partire da correnti culturali che si erano già sviluppate nel modo greco-romano:

 

[L’universalismo cristiano] ebbe un profondo debito con gli sviluppi del pensiero greco. Perché il dibattito riguardo alla cittadinanza nella polis aveva dato inizio ad una presa di distanza delle persone dalle identità meramente familiari e tribali, mentre la filosofia tardo-ellenistica aveva introdotto un linguaggio speculativo “universalista” di ampiezza ancor più grande. La portata intellettuale era stata a sua volta rafforzata dalla sottomissione di una così gran parte del mondo mediterraneo ad un unico potere, Roma56.

 

In altre parole, le tendenze all’universalismo si stavano sviluppando già prima del cristianesimo all’interno delle società occidentali, al di là di quelle già evidenti nell’antica cultura aristocratica, probabilmente esacerbate, in ultima analisi, dal consistente afflusso nelle società greco-romane di genti prive di legami familiari con gli elementi aristocratici originari. Ciò non sorprende data la tendenza dei confini di gruppo, nelle culture IE, a diventare col tempo permeabili57.

Siedentop afferma le persone non furono più definite da ruoli sociali attribuiti sulla base base delle diseguaglianze naturali; le persone erano ora definite soggettivamente, attraverso la loro coscienza e le loro intenzioni nel compiere un atto ed erano libere di formare associazioni volontarie e di assumere ruoli volontari in un sistema che non era più rigidamente gerarchico ed ereditario.

Un altro aspetto sovversivo del cristianesimo fu che gli eroi cristiani erano martiri, laddove gli eroi IE erano guerrieri aristocratici. «Proveniente da una famiglia di spicco e spesso associato alla fondazione di città, l’antico eroe era tipicamente un maschio, forte, scaltro, vincente»58. I martiri cristiani erano l’opposto, ma «fecero presa sul’immaginario popolare»59.

Siedentop sottolinea la crudeltà e la mancanza di freni dei potenti del mondo antico. I cristiani, verso la fine del III secolo, «divennero i portavoce delle classi inferiori», sviluppando una «retorica basata sull’“amore per il povero”», una «sorta di populismo cristiano»60. I vescovi aprirono le braccia ai «soggetti di condizione servile, agli indigenti, agli stranieri, ai gruppi privi di status nella gerarchia dei cittadini; offrirono loro una patria. Fu un’offerta irresistibile»61.

«L’eguaglianza delle anime in cerca della salvezza fu centrale nella credenza cristiana»62. Tale credenza cominciò ad avere una vasta influenza sociale nella società romana del II secolo63. Come misura di quanto la mentalità cristiana avesse pervaso la società romana, quando Giuliano tentò di restaurare il paganesimo, a metà del IV secolo, «il nuovo sacerdozio che egli cercò di creare doveva avere come criterio “l’amore di Dio e dei propri simili”, mentre “la carità” doveva essere la sua vocazione»64. Difficile vedere in ciò una visione del mondo aristocratica. Piuttosto, si trattava di un mondo che «quantomeno si avvicinava alle istituzioni morali cristiane»65.

L’eclissi del mondo aristocratico del successo militare continuò nel IV secolo, quando il monachesimo cominciò ad essere organizzato in base a principi totalmente opposti all’etica aristocratica tradizionale che contemplava il perseguimento della ricchezza e del successo mondano. Furono fondati i conventi; divenne cosa comune, per le donne appartenenti alle famiglie delle classi superiori, fare voto di verginità. E la visione del mondo aristocratica che disprezzava il lavoro fu rifiutata; il lavoro ebbe una dignità. San Basilio (ca. 330 – ca. 378) basò la sua comunità monastica sull’eguaglianza e la reciprocità, sull’assenza di proprietà personale e sul pubblico servizio (ad esempio nelle scuole e negli ospedali). Il discredito nel quale il monachesimo cadde nel XVI secolo

 

rende difficile cogliere il prestigio che aveva nei primi secoli. Tuttavia, alla fine dell’Antichità l’immagine che esso offriva di un ordine sociale fondato sull’eguaglianza, che limitava il ruolo della forza e che onorava il lavoro, dedicandosi alla preghiera e alle opere di carità, gli conferì una potente presa sulle menti. Il monachesimo conservò l’immagine di una società regolare quando la pax romana venne minata, dapprima dalla caduta dell’impero d’Occidente (476) successiva alle invasioni germaniche, in seguito dopo la conquista musulmana dell’Oriente66.

 

L’eclissi della visione del mondo aristocratica può anche essere constatata nella filosofia cristiana. Alcuni hanno attribuito il sorgere dell’individualismo a Sant’Agostino, a motivo dell’enfasi da lui posta sulla volontà (che mediava tra l’appetito, basato sui desideri sviluppatisi nel corso dell’evoluzione, e la ragione, basata sui processi cerebrali superiori e su quelli decisionali). Laddove un principio fondamentale degli antichi filosofi greci era che alla base delle motivazione vi fosse la ragione, Agostino affermò che la ragione non agisce da sola e che è influenzata dalle emozioni (come “il piacere”67, l’amore o l’odio, una posizione con la quale qualsiasi psicologo moderno si troverebbe d’accordo). Agostino respingeva la diseguaglianza naturale perchè tutti sono sottoposti al potere divino, sebbene, a livello intuitivo, egli pensasse che le persone caratterizzate da un superiore intelletto o da una minore peccaminosità avessero un maggior valore. Agostino dunque «completa la demolizione dell’antico razionalismo. La famiglia patriarcale, la società aristocratica che stava alla base della polis, il cosmos quale gerarchia di fini o di scopi, tutto questo diventava sospetto e vulnerabile senza il suo sostegno»68. Il razionalismo antico fu sostituito dal bisogno della preghiera, «perché attraverso la preghiera gli uomini possono cercare il sostegno della grazia alle loro migliori intenzioni»69. Gli uomini hanno bisogno del «sostegno divino» per agire rettamente70. E tuttavia, non possiamo mai raggiungere la perfezione morale.

Esiste dunque uno stretto legame tra l’individualismo e la nozione di perfezione morale come un qualcosa che dev’essere sempre cercato ma che non si raggiunge mai. «Per Agostino (e Kant) nessuno di noi potrà mai affermare di aver avuto successo in ambito morale. Tutti noi siamo soggetti a fallire ed è questo fallimento (tragico, ma anche fonte di umiltà) che contiene un potente messaggio egualitario»71. In ogni caso, la perfezione morale diviene la misura definitiva del valore di una persona, una cosa di cui si dovrebbe tenere conto in un’epoca come l’attuale, in cui l’adesione all’ideologia multiculturale e ad un’immigrazione che ha la portata di una sostituzione tra popoli è stata propagandata con successo come un imperativo morale in tutto l’Occidente. L’importanza di mantenere una reputazione di persona moralmente retta è uno dei temi principali dei capitoli 6-8, che pongono l’accento sul sorgere delle comunità morali quale fattore fondamentale per l’organizzazione sociale dell’Occidente, sull’eclissi definitiva della visione del mondo aristocratica e sui meccanismi psicologici che stanno alla base delle comunità morali.

Riducendo il potere del paterfamilias il cristianesimo intendeva anche ridurre il potere dei padri sui figli e elevare lo status della donna. Le donne facoltose costituirono un fattore cruciale per il successo della Chiesa primitiva, e l’adulterio venne considerato come un peccato compiuto sia dall’uomo che dalla donna, invece che una trasgressione soltanto femminile (come si osserva, in generale, in una prospettiva interculturale). L’influenza cristiana diede altresì luogo a mutamenti in senso umanitario nella legislazione sulla schiavitù, per quanto Siedentop non sostenga che il cristianesimo abbia posto fine a tale pratica. Tra i cristiani vi furono sia apologeti (p. es. Agostino) che oppositori della schiavitù (p. es. Gregorio di Nissa72).

Ciò nondimeno, durante il tardo impero romano il cristianesimo esercitò una forte spinta egualitaria. La retorica dei vescovi urbani fu fortemente inclusiva: «Era una retorica che incoraggiava le donne, la popolazione povera urbana e perfino gli schiavi a sentirsi parte della città, in un modo che prima non sarebbe stato possibile»73.

 

Il cristianesimo nell’Europa post-romana.

 

Nel suo scritto dal titolo La germanizzazione del cristianesimo nel primo Medioevo74, James Russell descrive la cristianizzazione come un processo adattabile e graduale che tipicamente non incominciava con la richiesta che i convertiti accettassero tutte le dottrine cristiane e in particolare non interferiva col «codice guerriero indoeuropeo» che era il cuore della cultura dei popoli germanici75. La germanizzazione del cristianesimo

 

fu in primo luogo una conseguenza della deliberata inculturazione all’interno del cristianesimo della mentalità religioso-culturale germanica ad opera dei missionari cristiani. Questo processo di adattamento ebbe come risultato una sostanziale trasformazione del cristianesimo da una religione salvifica universale a una religione popolare germanica e, alla fine, europea. La risposta socio-psicologica dei popoli germanici a questa forma di cristianesimo adattata alla loro cultura comprese l’accettazione di quegli elementi tradizionali cristiani che coincidevano con la religiosità germanica e la risoluzione degli elementi dissonanti attraverso una loro reinterpretazione in accordo con l’ethos e la visione del mondo germanici76.

 

Il cristianesimo non cercò di sradicare la cultura guerriera germanica sostanzialmente IE (che accettava il mondo e che mirava al conseguimento della fama imperitura per le azione compiute in questa vita) allo scopo di promuovere la speranza cristiana di salvezza nell’aldilà. Piuttosto, i papi sfruttarono lo spirito guerriero nell’interesse della diffusione del cristianesimo; ad esempio, lo scritto di Bernardo di Chiaravalle dedicato ai cavalieri templari giustificava l’uccisione dei non cristiani. In altri casi, la cristianizzazione reinterpretò preesistenti concetti germanici (ad esempio il sacro Heil (carisma) del re, che era legato alla buona salute del regno, venne ad essere permeato di connotazioni di santità e di salvezza individuale)77. Il termine dell’inglese antico che designava il capo di un comitatus (Männerbund) venne reso con dominus, termine latino corrispondente a lord e utilizzato anche per riferirsi a Cristo.

Il cristianesimo fu anche più individualista rispetto alle credenze germaniche tradizionali, nel senso che attribuiva valore alla salvezza individuale piuttosto che ad un orientamento religioso centrato sul popolo in cui l’accento era posto sulla comunità78. Le norme etiche germaniche tradizionali «sembrano essere derivate, in ultima analisi, da una spinta sociobiologica alla sopravvivenza di gruppo mediante l’altruismo praticato all’interno del gruppo stesso. La devianza dalla norma etica consisteva pertanto nella violazione del codice d’onore dei propri consanguinei o del proprio comitatus»79. La violazione di queste norme costituiva una macchia per l’intero gruppo di consanguinei, mentre le azioni eroiche si riflettevano su di esso positivamente. Come indicato in precedenza, la Chiesa agì in modo da spezzare i legami di parentela estesa e di promuovere in generale l’individualismo in tutti gli ambiti della vita europea, per quanto in un contesto in cui, tra i popoli germanici, erano già presenti tendenze all’individualismo (vedasi il capitolo 4).

Ciò nondimeno, la cristianizzazione fu piuttosto limitata, almeno verso la metà dell’VIII secolo80: «Dalla persistenza della mentalità e dei valori germanici nella letteratura germanica profana e dalla germanizzazione delle pratiche liturgiche e dei canoni agiografici, sembra che il successo di tale sforzo di trasformazione della visione del mondo sia stato limitato»81. Certamente, questo non vuol dire che nell’Alto Medioevo non abbia avuto luogo una cristianizzazione più completa, né che l’influenza cristiana nella direzione dell’individualismo egualitario e dell’eclissi definitiva della visione del mondo aristocratica non sia proseguita nei secoli seguenti.

 

La Chiesa alla ricerca del potere.

 

Come osservato in precedenza, la Chiesa perseguì con energia politiche che si opponevano agli interessi riproduttivi dell’aristocrazia. Questo comportamento della Chiesa nel mondo post-romano è comprensibile in termini di ricerca del potere. Ma accanto all’attività volta a regolamentare i matrimoni dell’aristocrazia, la Chiesa agì anche per ridurre il potere dei gruppi di parentela estesa e spesso si fece sostenitrice dei diritti degli individui e delle città contro i signori feudali. Ogni istituzione che cerchi il potere per sé cerca di ridimensionare gli altri centri di potere, e la Chiesa non fu un’eccezione. In questa sua attività l’ideologia dell’egualitarismo morale fu un’arma potente.

 

L’ideologia dell’egualitarismo morale come strumento di espansione del potere ecclesiastico.

Le tendenze egualitarie che si contrapponevano agli interessi aristocratici furono incoraggiate dall’ideologia ecclesiastica dell’egualitarismo morale. Questa azione arrivò addirittura a riconcettualizzare la stessa morale. Ad esempio, il cristianesimo favorì le spiegazioni [morali, n. d. t.] basate sull’intenzione perché ciò privilegiava l’interiorità della coscienza, laddove il codice delle leggi germaniche poneva l’accento sul danno, al di là delle intenzioni. La Chiesa combattè l’idea germanica antiegualitaria (aristocratica) che persone differenti avessero valore differente rispetto alla punizione, affermando che il rango o lo status di libero o di schiavo non dovessero avere importanza. Siedentop sostiene che il diritto canonico perseguì forme di generalizzazione in base ad un’ideologia universalista: le persone erano fondamentalmente uguali, avevano gli stessi diritti, ecc. «La legge va intesa come applicabile a tutti (tutte le anime) indistintamente»82. Il diritto romano evitava le astrazioni perché ritenendo le persone portatrici di diritti naturali differenti, a motivo delle differenze naturali di status, non era possibile generalizzare.

La legge naturale cominciò ad essere intesa come implicante diritti naturali per gli individui (p. es. quello ad un giusto processo) e non come una norma che prescrive diseguaglianze naturali basate sulle differenze di status, talento o capacità intellettive. Perciò Graziano ed altri affermarono che tutti gli esseri umani possiedono «un’intrinseca natura morale»83. Un pensiero del genere «gettò le fondamenta del progressismo moderno»84.

Il Codice Visigoto, in particolare (promulgato nel 642-643 dal regno visigoto che governava la Francia sudoccidentale e la Penisola Iberica) venne profondamente influenzato dal clero e fu più egualitario degli altri codici germanici. Idee cristiane di universalismo morale «cominciarono ad incidere sulla concezione carolingia delle corrette relazioni tra governanti e governati […] ma soltanto entro certi limiti»85. Per esempio, Carlo Magno fu famoso per la sua spietatezza nei confronti dei non credenti (sassoni e musulmani) a dispetto dell’idea che chiunque sia un agente morale. Le influenze cristiane sulle leggi riguardanti la schiavitù limitarono il potere dei padroni: gli schiavi potevano essere condannati alla pena capitale soltanto da un pubblico processo; una coppia di schiavi sposati non poteva essere divisa. Si ebbe pertanto una mescolanza tra consuetudini germaniche e influenze cristiane.

Nel XIV secolo diversi diritti vennero tutelati: la proprietà, il consenso al governo, l’autodifesa, il matrimonio e i diritti procedurali. I canonisti seguirono la linea di pensiero per cui il diritto alla proprietà comportava il dovere della condivisione in tempo di bisogno. Ciò portò all’idea che il povero avesse dei diritti: l’antenato concettuale del moderno stato sociale. I governanti avevano dei limiti rispetto a quanto potevano fare al di là degli obblighi reciproci di vassallaggio.

In effetti, malgrado il peso dei forti conflitti tra il gruppo cristiano e quello musulmano o ebraico, i diritti naturali vennero definiti come applicabili anche agli stranieri, indice questo del pervasivo universalismo del cristianesimo medievale. Così Innocenzo IV: «Tutti gli uomini, sia fedeli che infedeli, sono stati creati pecore di Cristo, anche quando non siano parte dell’ovile della Chiesa»86.

Nella seconda metà dell’XI secolo l’Europa «stava acquisendo un’identità morale» centrata sui concetti cristiani di egualitarismo morale87. Le Crociate, un’impresa collettiva cristiana contro i musulmani, visti come gruppo esterno dai connotati negativi, furono un evento decisivo che ebbe come risultato un’identità cristiana condivisa che scavalcò le differenti identità regionali europee, una forma di collettivismo cristiano contrapposto al gruppo musulmano considerato ostile. Ciò spiega perché l’assassinio dell’arcivescovo Thomas Becket nel 1170 ebbe ripercussioni in tutta Europa e il luogo della sua morte divenne meta di pellegrinaggio.

In sostanza, la Chiesa aveva creato una comunità morale basata sull’universalismo egualitario cristiano.

All’interno di questa comunità morale tutte le altre identità, come quelle etniche, di classe sociale o regionali (p. es. l’appartenenza ad un particolare regno) possedevano uno status morale inferiore.

 

La politica ecclesiastica di contrasto al potere dei gruppi di parentela estesa.

Come per il caso della monogamia, la Chiesa ebbe un ruolo anche nel declino del potere delle reti di parentela estesa. In questo caso, comunque, la politica della Chiesa fu coadiuvata dall’ascesa di forti governi centrali, che parimenti scoraggiarono il potere delle famiglie estese e alla fine lo sostituirono nel ruolo di garanti degli interressi individuali.

Da un punto di vista evoluzionista è difficile sovrastimare l’importanza potenziale della parentela. A motivo del loro legame biologico, ci si aspetta che le persone imparentate abbiano interessi comuni, una maggior disponibilità alla cooperazione e addirittura un comportamento altruista. Le tribù germaniche che colonizzarono gran parte dell’Europa occidentale verso la fine dell’impero romano erano organizzate come gruppi di parentela basati sui rapporti di consanguineità tra maschi, per quanto esistessero anche strutture sociali di ordine superiore non basate sulla parentela, come i Männerbünde.

 

Poiché gli antichi germani non potevano fare affidamento sulla protezione e l’assistenza di un impero burocratico quando erano minacciati dai nemici o dalla carestia, ciascun uomo o donna della comunità aveva l’obbligo di aderire al principio sociobiologico fondamentale della sopravvivenza del gruppo, che si incarnava nei vincoli familiari e nella solidarietà comunitaria88.

 

Era questo mondo di gruppi parentali a base tribale che i re e la Chiesa volevano sradicare.

La tesi generale dei capitoli 2-4 è che i gruppi europei, soprattutto nell’Europa nordoccidentale, erano meno inclini alle relazioni di parentela estesa rispetto ad altre culture che precedevano di molto l’influenza cristiana, probabilmente come conseguenza della loro peculiare storia evolutiva. Di conseguenza, sebbene la parentela estesa abbia avuto un peso nell’Europa altomedievale, essa non fu così potente come in molte altre culture (si veda in particolare il capitolo 4). Ciò nondimeno, è certamente interessante documentare il ruolo avuto dalla Chiesa nell’incoraggiare la tendenza all’allontanamento dalla solidarietà della parentela estesa. Dato che gli europei sono relativamente inclini all’individualismo, ci si aspetta che essi siano relativamente inclini ad allentare i legami con la parentela estesa in situazioni che vedano favoriti i loro interressi individuali.

Il quadro che se ne ricava è quello di uno sviluppo graduale, in Occidente, di un’aristocrazia basata sulla famiglia nucleare e libera da obblighi nei confronti dei parenti collaterali, che dominava un popolo di contadini caratterizzato da una famiglia semplice, inserita in una società di vicini e amici piuttosto che in un gruppo di parentela estesa. Questa struttura sociale fu una conquista del tardo Medioevo. Le relazioni di parentela estesa non rivestivano importanza per i contadini dell’Inghilterra o della Francia tardo-medievali89. La Chiesa contribuì allo sradicamento dei vincoli di parentela estesa nell’Europa occidentale opponendosi al matrimonio tra consanguinei (parenti) e sostenendo quello basato unicamente sul consenso tra gli sposi. Riguardo alla consanguineità, la Chiesa proibì il matrimonio tra individui appartenenti a livelli di parentela via via più ampi. Nel VI secolo la proibizione fu estesa ai cugini di secondo grado e verso l’XI secolo arrivò a quelli di sesto grado, tra individui cioè che avevano in comune il sesto avolo. Chiaramente, queste proibizioni riguardo alla consanguineità andavano ben al di là di quanto prevede la teoria evoluzionista90. Inoltre, la parentela biologica non era la sola ad essere importante, perché il matrimonio era  proibito anche tra affini (parenti divenuti tali per via di un matrimonio) di pari grado, come pure tra individui legati da parentela spirituale (come i parenti dei padrini o delle madrine). Queste regole devono pertanto essere concettualizzate come un’ideologia funzionale al perseguimento del potere: l’effetto di tale politica fu di minare le reti di parentela estesa e di creare un’aristocrazia libera da obblighi nei confronti del gruppo parentale in senso lato.

Qualunque sia stata la motivazione data dalla Chiesa a queste proibizioni, vi sono prove che l’aristocrazia obbedì alle regole ecclesiastiche. Nella nobiltà francese dei secoli X e XI furono pochissimi i matrimoni tra individui con un grado di parentela più prossimo di quello di quarti o quinti cugini91. Queste pratiche indebolirono i gruppi di parentela estesa, perché essendo divenuto più ampio il raggio entro cui il matrimonio era considerato incestuoso, venne impedita la solidarietà tra gruppi parentali eliminando «il rafforzamento del sangue tramite il matrimonio»92. Il risultato fu che la parentela biologica venne ad essere ampiamente diffusa in tutta la nobiltà, piuttosto che concentrata ai suoi vertici. A beneficiarne furono dunque i discendenti diretti della famiglia piuttosto che il gruppo più ampio dei parenti: «Gli uomini che occupavano posizioni mondane elevate […] si sforzarono di consolidare le loro fortune e le loro famiglie in modo da assicurare il maggior patrimonio possibile ai loro diretti discendenti, a detrimento della parentela più distante»93.

In aggiunta a questa politica nei confronti della consanguineità, la dottrina della Chiesa riguardante il consenso nel matrimonio agì come una forza contraria alle relazioni di parentela estesa. «La famiglia, la tribù, il clan vennero subordinati all’individuo. Se qualcuno intendeva sposarsi poteva scegliere il proprio compagno, e la Chiesa avrebbe difeso tale sua scelta»94. Il matrimonio divenne il risultato di un consenso e fu ratificato dal rapporto sessuale. Sottraendo la sostanza del matrimonio al controllo della famiglia e del signore laico e trasferendola ai soggetti coinvolti, la Chiesa stabilì la propria autorità nei confronti dei tradizionali vincoli di parentela e di famiglia.  La libertà di scelta del coniuge fu la regola in Inghilterra per  tutta l’epoca moderna, mentre il controllo da parte dei genitori venne esercitato soltanto per l’1% della popolazione, corrispondente alla sezione più alta dell’élite95.

 

Il sostegno ecclesiastico alla diversificazione dei centri di potere.

Il paesi e le città medievali cominciarono a governarsi autonomamente e ad essere perciò centri di potere indipendenti o semi-indipendenti. In generale, questi centri tendevano ad essere più egualitari rispetto ai sistemi feudali, e differivano nettamente dai modelli di città greci e romani basati sul dominio dell’aristocrazia. Questi nuovi centri di potere ebbero spesso sanguinosi conflitti con i signori feudali e in tali occasioni la politica della Chiesa fu incline a favorire le città96. Perciò le persone che si sottraevano al servaggio trovarono spesso rifugio nelle città e furono protette dalla Chiesa.

Ciò nondimeno, Henri Pirenne osserva alcuni casi in cui la Chiesa si oppose agli interessi delle città, o perché le controllava direttamente (città vescovili) o perché era subordinata alla nobiltà che le controllava (prima che le conseguenze della rivoluzione papale si realizzassero pienamente) ovvero a motivo della generale antipatia della Chiesa nei confronti del commercio. Perciò, mentre molti vescovi «si distinsero […] per la loro manifesta sollecitudine per il bene comune», «le città vescovili furono in prima linea sul fronte dello scontro» tra i cittadini e gli altri livelli del potere, fatto che indica ancora una volta come la Chiesa fosse occupata a massimizzare il proprio potere. Verso la fine dell’XI secolo e agli inizi del XII «la classe media e i vescovi vivevano in uno stato di ostilità permanente e, di fatto, sull’orlo di una guerra aperta. Solo la forza fu in grado di avere la meglio tra simili avversari»97.

Tuttavia, molti vescovi furono presi in mezzo tra gli interessi della nobiltà, che li aveva sostenuti, e gli abitanti delle città in ascesa. In questo conflitto i cittadini avevano alleati potenti nei re, che tentavano di controllare il potere della nobiltà. Alla fine molte città ottennero gradualmente la libertà dai signori feudali. Queste città non possedevano una sovranità completa; i re esercitavano nei loro confronti dei diritti, come quello di giudicare i reati capitali, ma esse erano spesso libere dagli obblighi feudali e dalle tasse reali. Queste aeree urbane produssero una classe media che «conteneva i semi di un moderno ordine costituzionale»98, sebbene fossero presenti anche tendenze oligarchiche.

 

Il cristianesimo e la tradizione razionale dell’Occidente.

 

A cominciare dall’Antichità greco-romana, la discussione e l’argomentazione logica hanno caratterizzato le culture occidentali molto più di qualsiasi altra cultura. Come ha fatto notare Ricardo Duchesne, per quanto i cinesi abbiano fatto molte scoperte pratiche, essi non hanno mai sviluppato l’idea di un universo razionale e ordinato, retto da leggi universali comprensibili agli uomini. Né hanno sviluppato «un metodo deduttivo di dimostrazione rigorosa in base al quale una conclusione o un teorema potessero essere provati tramite il ragionamento a partire da una serie di assiomi autoevidenti»99.

Malgrado il ruolo subordinato che la ragione ebbe nel pensiero cristiano e i periodi di dogmatismo in cui, ad esempio, gli eretici erano trattati duramente, lo spirito della discussione e dell’argomentazione logica così evidente presso i greci sopravvisse nel cristianesimo: «Le convinzioni cristiane furono sottoposte alla disciplina della logica e la speculazione metafisica ai requisiti di un’argomentazione ordinata»100. «L’abitudine alla disputa (o argomentazione disciplinata) si conservò nella Chiesa della tarda Antichità […] Essa venne ad integrarsi nella vita della Chiesa»101.

Questa visione razionale del mondo fu accompagnata da un’intensa competizione individualista sul mercato delle idee (come si è visto nel capitolo 2 per la Grecia classica) e dallo sviluppo delle scienze (discusso nel capitolo 9, che pone in luce la natura individualista dell’impresa scientifica). La filosofia di S. Tommaso d’Aquino illustra bene l’importanza della razionalità anche in un ambito, come quello religioso, particolarmente incline al dogmatismo. Fortemente influenzato da Aristotele, Tommaso sviluppò prove razionali dell’esistenza di Dio. Nessun’altra tradizione intellettuale ha mai compiuto un tentativo del genere.

 

Il dibattito tra realismo e nominalismo.

Un buon esempio di disputa occidentale che ebbe grande rilevanza ai fini dell’ideologia egualitaria fu il dibattito tra realismo e nominalismo associato a due ordini mendicanti, quello dei domenicani e quello dei francescani. Questi ordini godevano di elevato prestigio nelle città ed erano molto popolari tra gli strati più poveri; nel XIII secolo si svilupparono rapidamente ed ebbero un ruolo di primo piano nella definizione dell’ambiente intellettuale delle università.

La tradizione domenicana, associata soprattutto a Tommaso, fu aristotelica e incline al razionalismo, riflettendo la visione del mondo degli antichi basata sulle diseguaglianze. D’altro canto, Siedentop vede l’inizio della tradizione francescana nel XIV secolo, con Duns Scoto e specialmente con Guglielmo di Ockham, come la continuazione della tradizione egualitaria cristiana d’ispirazione agostiniana. La tradizione francescana si basò sul nominalismo (posizione secondo la quale le classi [universali] sono costruzioni della mente umana e soltanto gli oggetti particolari esistono) e sull’empirismo (visione secondo cui i fatti possono essere scoperti tramite l’esperienza e non dedotti razionalmente dai primi principi). Per i francescani, una volontà moralmente retta (intenzione) era più importante dell’abilità nel ragionamento, mentre per gli antichi questa abilità era vista come distribuita in maniera diseguale tra gli uomini, fatto da cui derivava una diseguaglianza naturale. La volontà era dipendente dal controllo intenzionale e pertanto disponibile a chiunque. I nominalisti sostenevano che la ragione non aveva un potere motivazionale; essa «poteva e doveva dar forma all’azione, ma non poteva determinarla»102. Un’agire retto richiedeva l’intervento della grazia.

La tradizione francescana, seguendo Agostino, vedeva la diseguaglianza morale come l’idea comune a tutta la filosofia antica.

 

Che l’idea della diseguaglianza naturale prendesse la forma della divisione tra guardiani, guerrieri e operai di Platone, o della divisione tra cittadini e schiavi di Aristotele, ovvero della concezione aristocratica degli stoici secondo la quale soltanto pochi potevano raggiungere la “vera” conoscenza e la virtù, di fatto tale idea escludeva quell’universalismo morale che, per Agostino, era l’aspetto cruciale del messaggio di S. Paolo103.

 

Contrariamente agli aristotelici, Ockham diffidava dell’abilità umana di spiegare il mondo come risultato di una «necessità razionale»104. Dio avrebbe potuto creare le cose in maniera differente (la “liberà di Dio”). Il nominalismo di Ockham, perciò, «esaltava la contingenza piuttosto che la necessità razionale»105. Ockham si fece dunque sostenitore del ragionamento induttivo verificato tramite i sensi piuttosto che del ragionamento deduttivo derivato da principi primi. Se Dio era libero di creare il mondo in qualsiasi modo volesse, la realtà era contingente e doveva essere scoperta tramite l’osservazione e l’esperimento.

I nominalisti prepararono il terreno alla scienza empirica rifiutando l’idea aristotelica delle “cause finali” (fini, scopi) e ponendo l’accento sulle cause efficienti (meccaniche) in una maniera abbastanza simile alla classica analisi della causalità di David Hume. Più che ricercare una consequenzialità logica, essi esigevano  la prova empirica.

Come osservato in precedenza, i teorici cristiani [del diritto, n. d. t.] posero l’accento sulla coscienza individuale, piuttosto che sul danno, quale elemento centrale della moralità. Pertanto riconobbero che gli individui possono commettere errori in buona fede. E’ la coscienza (l’intenzione) che rende un atto morale o meno, non la mera conformità ad una convenzione, «anche se si tratta di dottrine ed istituzioni della Chiesa»106.

L’insistenza dei nominalisti sulla libertà umana e sulla coscienza individuale ebbe profonde implicazioni, coerenti con l’idea generale che fosse nell’interresse della Chiesa promuovere l’individualismo. I canonisti svilupparono l’idea che la legittimità (anche quella della Chiesa) dipendesse dal consenso, non dalla coercizione o dal potere. Ciò portò ad una concezione del governo rappresentativo e delle corporazioni come costituiti da individui consenzienti e aventi il medesimo status. I vescovi non possedevano il dominium nell’accezione antica del temine (dominio su subordinati) ma era l’intera comunità dei credenti che aveva il dominio sulla Chiesa. I rappresentanti dovevano “ricevere un mandato” da coloro che rappresentavano. Il nesso tra queste idee e il sorgere del protestantesimo e, successivamente, dell’individualismo egualitario appare ovvio.

 

Il cristianesimo e l’Europa post-medievale.

 

Siedentop afferma che le istituzioni morali cristiane aventi al loro centro la coscienza individuale e l’egualitarismo morale finirono per provocare il tracollo della Chiesa come istituzione religiosa egemone. Il pensiero progressista «emerse quando le intuizioni morali prodotte dal cristianesimo furono rivolte contro un modello autoritario di Chiesa»107. Nel XIV secolo sorsero richieste di un governo rappresentativo nella Chiesa. A tali richieste il papato oppose resistenza, col risultato di una diffusa “agitazione” contro la Chiesa (p. es. gli hussiti in Boemia, i lollardi in Inghilterra). Si trattò di movimenti sostanzialmente democratici che rifiutavano la struttura autoritaria della Chiesa, promuovevano la devozione individuale e lottavano per poter leggere le Scritture nelle lingue nazionali: i precursori del protestantesimo.

Pertanto le elementari idee progressiste che erano state diffuse dalla Chiesa precedettero il protestantesimo, ma furono contraddette dalla struttura collettivista della Chiesa stessa. Alla fine quelle idee (eguaglianza di status, libertà individuale, libertà di coscienza e governo rappresentativo) si contrapposero agli interessi della Chiesa allo stesso modo di gran parte delle sette protestanti. Ciò ebbe come conseguenza le guerre di religione della Riforma, dopo le quali si diffuse un generale scetticismo circa la saggezza di imporre l’ortodossia religiosa. Tali tendenze perdurarono, così che nel XVIII secolo il clericalismo fu visto come il nemico del laicismo progressista. Prese piede una mentalità secondo la quale «le credenze non imposte formano la base dell’autorità “legittima”»108.

Comunque, date le premesse biologiche del mio pensiero, non posso fare a meno di rimanere colpito dal commento che lo storico ottocentesco Thomas Macaulay fa nella sua Storia dell’Inghilterra, laddove sottolinea le particolari caratteristiche della «razza germanica»:

 

La Riforma era stata una rivolta sia nazionale che morale. Non era stata soltanto un’insurrezione del laicato contro il clero, ma anche un’insurrezione di tutti i rami della grande razza germanica contro la dominazione straniera. E’ una circostanza altamente significativa che nessuna grande società la cui lingua non sia quella teutonica sia mai diventata protestante, e che dovunque si parli la lingua derivata da quella dell’antica Roma la religione che attualmente prevale sia quella della Roma moderna109.

 

La Riforma e la fine della “dominazione straniera” della Chiesa collettivista finirono per provocare la piena fioritura dell’individualismo egualitario tra gli europei nordoccidentali di cui si tratterà nei capitoli seguenti.

 

Conclusione: la Chiesa facilitò l’individualismo occidentale, ma non ne fu la causa.

 

Siedentop produce un forte argomento sul ruolo svolto dal cristianesimo nello sviluppo dell’individualismo occidentale a partire dell’antichità. Vi sono comunque delle prove, alcune delle quali menzionate da Siedentop, che le radici dell’egualitarismo e dell’individualismo europei siano assai più profonde.

La monogamia (che implica l’egualitarismo sessuale) è un aspetto peculiare della cultura occidentale, che precede di molto l’avvento del cristianesimo. I costumi matrimoniali della Roma più antica si staccarono dai modelli IE col rifiuto del prezzo della sposa (il pagamento effettuato dallo sposo), una pratica comune nelle società tribali del mondo e strettamente collegata alla competizione sessuale maschile (i maschi abbienti sono in grado di acquistare più femmine). La monogamia romana si conservò tramite il controllo del comportamento sessuale (la bigamia e la poligamia erano illegali) e le leggi relative alla legittimità (gli illegittimi subivano il disprezzo sociale; il matrimonio con schiavi era tipicamente proibito); le leggi sull’eredità penalizzavano i figli che non fossero il prodotto di un matrimonio monogamico (gli illegittimi non potevano ereditare; i figli degli schiavi mantenevano lo status della madre)110. In una società fortemente poligamica come quella della Cina classica non accadeva nulla di tutto ciò, così che, ad esempio, i figli di una concubina erano del tutto legittimi e potevano ereditare, a seconda delle decisioni del padre.

Esisteva anche una componente ideologica nella monogamia romana, in base alla quale ci si attendeva che le persone di spicco o in posizioni di prestigio nelle istituzioni fossero monogame o rinunciassero alla riproduzione. Al principio della repubblica e fino al 254 a. C. la più alta carica religiosa, quella di pontifex maximus, poteva essere rivestita soltanto dai patrizi, ed era assai prestigiosa e ricercata. A questi sommi sacerdoti era richiesto un matrimonio monogamico (detto confarreatio) che poteva essere sciolto soltanto dalla morte; sebbene il divorzio in una confarreatio fosse divenuto possibile nel periodo della tarda repubblica, esso rimase raro e difficile da ottenere. In origine, al sommo sacerdote di Giove (flamen dialis) si richiedeva che sposasse una vergine e che avesse genitori sposati secondo la confarreatio (richiesta che divenne meno rigida quando l’accesso alla carica venne consentito anche ai plebei); il suo matrimonio rimase indissolubile per tutto il periodo repubblicano. Le vergini vestali, che erano altamente rispettate come parte della religione di stato, erano figlie di patrizi che si erano sposati mediante confarreatio; erano modelli di castità che mantenevano la verginità negli anni della loro fertilità. Per finire, lo stoicismo, che divenne un movimento potente tra gli artisti, gli intellettuali e i politici dell’impero, esaltò l’ideale della famiglia monogamica fondata sull’affetto coniugale e sulla continenza sessuale di entrambi gli sposi111.

Vi furono anche tendenze egualitarie in campo politico, nella misura in cui i plebei ottennero gradualmente un considerevole potere e opportunità di mobilità sociale ascendente (vedasi l’Appendice al capitolo 2). Questi mutamenti rispecchiano l’osservazione generale secondo la quale le barriere tra gli IE e i popoli europei da essi conquistati si dissolsero gradualmente e la mobilità sociale ascendente divenne possibile per quei soggetti maschi che possedevano talento militare (cfr. capitolo 2). In effetti si dovrebbe ricordare che la cultura IE non va intesa come simpliciter aristocratica. Come sottolinea Ricardo Duchesne112, essa andrebbe intesa meglio come aristocratico-egualitaria: gerarchica ma egualitaria tra i pari aristocratici. L’abbandono della pratica del prezzo della sposa e la delegittimazione della prole nata al di fuori del matrimonio monogamico, come avvenne nella Roma repubblicana, possono essere considerati una versione estrema dell’individualismo aristocratico.

Perciò, sebbene non vi siano dubbi sul fatto che Roma presentasse tratti marcati di una società aristocratica, come sostiene Siedentop, quei tratti non erano affatto assoluti, ed elementi di egualitarismo possono essere rintracciati a partire dalla più antica storia romana. Il cristianesimo dunque, che compare durante l’impero dopo l’enorme afflusso di popolazioni a Roma, dev’essere visto come qualcosa che accentuò ed elaborò delle tendenze che erano già evidenti nella cultura romana. In una prospettiva evoluzionista, quei nuovi popoli non avevano legami col ceppo fondatore e avevano interesse a destituire il sistema aristocratico. Il cristianesimo articolò i loro interessi in tal senso. Le forze egualitarie che alimentarono l’ascesa dei plebei nell’età repubblicana si erano allargate fino ad includere le masse multietniche dell’impero (nel 212 Caracalla concesse la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell’impero) accompagnate da una potente ideologia religiosa di egualitarismo morale.

Vi sono altri motivi per sottolineare la fondamentale componente etnica dell’individualismo e dell’egualitarismo occidentali. Ad esempio, esistevano importanti differenze tra la cristianità occidentale e quella orientale, come pure all’interno della stessa cristianità occidentale. Riguardo a quest’ultima, a partire dal primo Medioevo il modello di famiglia occidentale fu circoscritto all’Europa nordoccidentale, in particolare nelle aree comprese nell’impero franco, in Britannia e in Scandinavia, ma non (come si sottolinea nel capitolo 4) nella regione dell’attuale Francia a sud della Loira, ed escludendo gran parte dell’Europa al di fuori della linea di Hajnal, malgrado tali aree fossero parte della cristianità occidentale (p. es. l’Italia meridionale, l’Irlanda, la Penisola Iberica meridionale, la Croazia e parti dell’Europa orientale)113. Dalla struttura familiare individualista, che molti studiosi considerano un fattore critico per la comprensione dell’ascesa dell’Occidente, erano pertanto escluse porzioni significative della cristianità occidentale.

Si potrebbe sostenere che le differenze nelle strutture familiari tra l’Europa orientale e quella occidentale si possano spiegare con la più tardiva introduzione del cristianesimo nell’Est. La Polonia, ad esempio, fu cristianizzata relativamente tardi (a cominciare dal X secolo) in confronto all’impero franco (dove la cristianizzazione cominciò con la conversione di Clodoveo I nel 496). Comunque le società scandinave, che hanno la struttura familiare più individualista d’Europa (si veda il capitolo 4) furono anch’esse convertite piuttosto tardi. La Danimarca, ad esempio, il primo paese scandinavo cristiano, divenne cristiana soltanto dopo la conversione di Aroldo Dente Azzurro nel 972114. La Svezia la seguì molto più tardi, fondando la prima arcidiocesi nel 1264, e da allora lo sradicamento delle pratiche e delle credenze pagane richiese altri 150-200 anni115. Le differenze etniche forniscono una spiegazione molto più semplice.

Al di fuori della cristianità occidentale, un problema fondamentale che si pone a chi supponga che il cristianesimo di per sè sia stato la causa delle pratiche familiari europee risiede nel fatto che la discendenza, le famiglie congiunte (formate cioè dall’unione coabitativa delle famiglie di più fratelli) e i modelli patrilineari conservarono la loro importanza nelle aree ortodosse orientali, vale a dire l’Europa sudorientale e la Russia. Oltre a ciò, i gruppi cristiani del Medio Oriente rimasero tribali, in ciò rispecchiando la cultura di quell’area116. Dato che molti studiosi individuano l’unicità dell’Occidente nei particolari modelli familiari dell’Europa nordoccidentale (cfr. capitolo 4) il cristianesimo o la Chiesa occidentale non possono esserne l’unica causa117.

Per inciso, va notato che anche altre religioni, come l’islam, sono universaliste, desiderando accogliere come membri tutti gli uomini. In ogni caso, nessun’altra religione come il cristianesimo del primo Medioevo operò in modo tanto energico per conseguire il potere temporale e per usare quel potere al fine di prevalere sulle strutture di tipo clanico e tribale. L’islam è universalista, ma non tentò mai di scalzare la natura tribale della società basata sui rapporti di parentela estesa; le società islamiche in tutto il medio Oriente sono rimaste tribali fino ai nostri giorni, cosa che ha rappresentato una notevole difficoltà per i programmi di costruzione nazionale tanto caratteristici della recente politica estera occidentale.

Ciò nondimeno, il potere della Chiesa appare importante, così da dover essere tenuto in considerazione  da qualunque analisi completa. La Chiesa rappresenta senza dubbio un unicum tra le culture del mondo come istituzione religiosa che fu capace di piegare la cultura in senso lato ai propri interessi, massimizzando il proprio potere nei confronti dell’aristocrazia e dei gruppi di parentela estesa118. Come osservato in precedenza, un aspetto centrale del potere della Chiesa durante l’Alto Medioevo fu la sua immagine pubblica di istituzione altruista sul piano riproduttivo. All’apice del suo potere, tra il XII e il XIV secolo, essa riuscì a costruire una sfera morale distinta dal potere politico o militare (un potere spirituale contrapposto a quello temporale) pur impegnandosi, dal canto suo, in una notevole politica di potenza. Malgrado ciò, come osserva Siedentop, vi sono ampie prove che la Chiesa abbia spesso usato il suo potere spirituale per ottenere quello temporale (ad esempio scomunicando i re che cercavano di divorziare dalle loro mogli o che nominavano eredi i loro figli illegittimi). «La Chiesa perseverò nella sua iniziativa morale che era, dopo tutto, la sua ragion d’essere»119.

Questa preoccupazione per il potere temporale fu evidente nel IV secolo, quando la Chiesa esercitò il proprio potere non per regolamentare la vita sessuale degli aristocratici, bensì per contrastare il potere ebraico120. In effetti, la teologia cristiana quale venne sviluppandosi in questo periodo era, nella sua essenza, antiebraica, e il conseguimento da parte della Chiesa di una posizione ufficialmente riconosciuta coincise col declino del potere ebraico e con la promulgazione di leggi contro gli ebrei che possedevano schiavi cristiani. In oltre, per quanto in maniera non costante, la Chiesa continuò ad esercitare un controllo sul potere ebraico, come ad esempio quando, con il Concilio Laterano del 1215, essa impose agli ebrei di indossare un abbigliamento distintivo. E sebbene i frati mendicanti fossero un modello di altruismo riproduttivo, essi peraltro furono la punta di diamante della mentalità antiebraica dell’epoca; ciò è importante per spiegare il ruolo altamente coinvolgente della Chiesa di quel periodo121.

 

Questo spostamento ideologico (nel quale gli ebrei furono «rappresentati sotto una luce più negativa») coincise con un’attiva campagna contro il giudaismo. «I frati si intromisero nelle pratiche della vita ebraica, entrando a forza nelle sinagoghe e sottoponendo gli ebrei a prediche offensive, obbligandoli a partecipare a dibattiti il cui esito era predeterminato, esponendoli alla violenza della folla. L’intento dei frati era ovvio: eliminare la presenza degli ebrei dalla cristianità, sia inducendoli a convertirsi, sia distruggendo ogni resto del giudaismo anche quando non rimaneva più nessun ebreo»122 […] Un autore ebreo dell’epoca scrisse che i francescani e i domenicani «opprimono ovunque Israele. […] Sono i più abietti di tutta l’umanità»123, 124.

 

Alcuni sovrani devoti, come Luigi IX di Francia, ebbero un ruolo nell’impedire lo sfruttamento dei non ebrei da parte degli ebrei. Un biografo di Luigi suo contemporaneo, Guglielmo di Chartres, riporta le parole del re, che si dichiarava determinato «a far sì che gli ebrei non opprimano i cristiani tramite l’usura e che non sia loro permesso, sotto l’egida della mia protezione, di intraprendere tale attività ed infettare le mie terre col loro veleno»125.

Nel periodo medievale, dunque, la Chiesa edificò la sfera morale facendone la sua sfera di influenza. L’efficacia di questa politica dipese in ultima analisi dal fatto che un gran numero di persone era profondamente credente: i re e gli aristocratici temevano la scomunica perchè avrebbero perduto l’appoggio del loro popolo. Ci si potrebbe chiedere cos’altro avrebbe potuto fare un’organizzazione non militare per conseguire il potere sull’aristocrazia, sui re, ecc. In un’ottica strategica, la Chiesa scelse di agire in ambiti che erano a prima vista morali e che diventarono religiosi di conseguenza.

In conclusione, la Chiesa promosse politiche tendenti all’individualismo coerenti con il suo interesse a divenire un’istituzione potente ed egemonica, alla cui base stavano le preesistenti tendenze all’individualismo delle culture IE e dei CR nordoccidentali. L’individualismo era e rimane forte nell’Europa nordoccidentale perché lì quelle tendenze derivanti dall’evoluzione sono più forti. Alla fine, l’individualismo giocò contro la Chiesa in quanto istituzione autoritaria e collettivista, col risultato che il protestantesimo fiorì in gran parte dell’Europa nordoccidentale, presto seguito dall’individualismo radicale illuminista.

E’ degno di nota, a questo riguardo, che un un’importante fattore che motivò la Riforma sia stata la percezione della corruzione nella Chiesa, in aspetti ad esempio quali la pratica della vendita delle indulgenze (Lutero), la ricchezza di molti monasteri, l’indolenza di molti monaci, lo sfruttamento economico della venerazione delle reliquie (Erasmo)126. Com’era accaduto alla vigilia della rivoluzione papale, la Chiesa aveva perduto la propria statura morale, diventando vulnerabile.


Note.

 

  • Si veda Kevin MACDONALD, The Establishment and Maintenance of Socially Imposed Monogamy in

Western Europe, “Politics and the Life Sciences”, 14 (1995): 3-23; Kevin MACDONALD, Focusing on the Group: Further Issues Related to Western Monogamy, “Politics and the Life Sciences”, 14 (1995): 38-46.

  • Si vedano ad esempio David C. GEARY, The Origin of Mind: Evolution of Brain, Cognition and General

Intelligence, Washington, DC, American Psychological Association. 2005: Kevin MACDONALD, Effortful

Control, Explicit Processing and the Regulation of Human Evolved Predispositions, “Psychological

Review”, 115, n. 4, 2008: 1012-1031; Keith STANOVICH, Who is rational? Studies of Individual Differences in Reasoning, Hillsdale, NJ, Erlbaum, 1999; Keith STANOVICH, The Robot’s Rebellion: Finding Meaning in the Age of Darwin, Chicago, The University of Chicago Press, 2004.

  • Dan CHIAPPE, Kevin MACDONALD, The Evolution of Domain-General Mechanisms in Intelligence and Learning, “Journal of General Psychology”, 132, n. 1, 2005: 5-40.
  • MACDONALD, Effortful Control, Explicit Processingand the Regulation of Human Evolved

Predispositions.

  • Kevin MACDONALD, Evolution and a Dual Processing Theory of Culture: Applications to Moral Idealism and Political Philosophy, “Politics and Culture”, Issue, # 1, April, 2010, senza nn. di pagine; si veda anche Kevin MACDONALD, Evolution, Psychology and a Conflict Theory of Culture, “Evolutionary Psychology”, 7, n. 2, 2009: 208-233.
  • Un’analisi in MACDONALD, Effortful Control, Explicit Processingand the Regulation of Human Evolved Predispositions.
  • Mario BEAUREGARD, Johanne LÉVESQUE, Pierre BOURGOUIN, Neural Correlates of Conscious SelfRegulation of Emotion, “Lournal of Neuroscience”, 21, n. 18, 2001: 1-6.
  • Alan G. SANFEY, Reid HASTIE, Mary K. COLVIN, Jordan GRAFMAN, Phineas Gauged: Decision-Making and the Human Prefrontal Cortex, “Neuropsychologia”, 41, 2003: 1218-1229.
  • John GERRING, Ideology: A Definitional Analysis, “Political Research Quarterly”, 50, 1997: 957-994;

Kathleen KNIGHT, Transformations of the Concept of Ideology in the Twentieth Century, American Political Science Review, 100, 2006: 619-625.

  • MACDONALD, Evolution, Psychology and a Conflict Theory of Culture.
  • Richard D. ALEXANDER, Darwinism and Human Affairs, Seattle, University of Washington Press, 1979; esempi etnografici si vedano in Mark V. FLINN, Bobbi S. LOW, Resource Distribution, Social Competition and Mating Patterns in Human Societies, in Daniel I. RUBENSTEIN, Richard W. WRANGHAM (eds.), Ecological Aspects of Social Evolution, Princeton, Princeton University Press, 1986: 217-243; Kevin MACDONALD, Production, Social Controls and Ideology: Toward a Sociobiology of the Phenotype, “Journal of Social and Biological Structures”, 6, 1983: 297-317.
  • ALEXANDER, Darwinism and Human Affairs.
  • Si veda Kevin MACDONALD, Mechanisms of Sexual Egalitarianism in Western Europe, “Ethology and Sociobiology”, 11, 1990: 195-238; si veda altresì la Conclusione di questo capitolo.
  • Quanto segue si basa su MACDONALD, The Establishment and Maintenance of Socially Imposed Monogamy in Western Europe.
  • Walter ULLMAN, The Growth of Papal Government in The Middle Ages: A Study in the Ideological Relation of Clerical to Lay Power, 3.a ed., London, Methuen, 1970, 1.
  • Georges DUBY, The Knight, the Lady and the Priest, trad. Barbara Bray, London, Penguin Books,1983, 162.
  • MACDONALD, Evolution, Psychology and a Conflict Theory of Culture.
  • La ricerca sulla punizione altruistica, esaminata nella sezione del capitolo 3 riguardante il comportamento delle popolazioni WEIRD, può essere considerata un’eccezione. Ma qui, le persone sono motivate a punire egoisticamente gli altri anche a discapito dell’interesse personale, cioè sono motivate a punire persone che si ritiene non si comportino secondo un codice di reciprocità.
  • Il plauso dei mezzi di informazione contribuisce ad una buona reputazione, e questo è senz’altro un fatto positivo. Ma mi è difficile vedere come possa tradursi in benefici tangibili per la maggior parte delle persone. Per esempio, una piccola percentuale di americani bianchi e una grande percentuale di celebrità di Hollywood ha adottato bambini poveri appartenenti ad altre razze piuttosto che alla propria. Costoro diffondono un messaggio che li identifica come “brave persone” e il loro comportamento, tipicamente, è lodato dai media e dalla società in generale; come si vedrà nel capitolo 8, questo è il risultato della conquista dell’egemonia morale da parte della sinistra. Ma a meno che un simile comportamento non renda possibile avere altri figli biologicamente propri, aiutare i propri consanguinei, ecc., non vedo come esso possa essere adattivo sul piano biologico; perfino le ricompense finanziarie sembrerebbero illusorie per la maggior parte delle persone.
  • Larry SIEDENTOP, Inventing the Individual: The Origins of Western Liberalism, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2014: 179.
  • Citato in John E. LYNCH, Marriage and Celibacy of the Clergy: The Discipline of the Western Church:

An Historical-Canonical Synopsis, “Jurist”, 23, 1972: 14-38, 33.

  • SIEDENTOP, Inventing the Individual.
  • Ibid., 186.
  • Ibid., 192. [25] Ibid., 282.
  • Gerd TELLENBACH, The Church in Western Europe from the Tenth to the Early Twelfth Century, Cambridge, Cmbridge University Press, 1993: 101.
  • I frati mendicanti erano vincolati al voto di povertà e seguivano uno stile di vita ascetico; rinunciavano alla proprietà e si dedicavano alla predicazione pubblica, vivendo delle donazioni dei loro ascoltatori. [28] C. H. LAWRENCE, The Friars: The Impacto od Early Mendicant Movement on Western Culture, London, Longman, 1994: 126.
  • TELLENBACH, The Church in Western Europe from the Tenth to the Early Twelfth Century, 103.
  • Ibid., 101.
  • Citazione nel testo da G. MICCOLI, Monks, in Lacques LE GOFF (ed.), Medieval Callings, trad. L. G.

Cochrane, Chicago, University of Chicago Press, 1990: 37-74, 57.

  • TELLENBACH, The Church in Western Europe from the Tenth to the Early Twelfth Century, 105.
  • Ibid., 103.
  • MICCOLI, Monks, 57.
  • SIEDENTOP, Inventing the Individual, 204, 206.
  • Ibid., 218.
  • Ibid., 231.
  • Ibid.
  • Ibid., 221.
  • Jeremy COHEN, The Friars and the Jews: The Emergence of Medieval Anti-Judaism, Ithaca, NY,

Cornell University Press,1982; Mark R. COHEN, Under Crescent and Cross: The Jews in the Middle Ages,

Princeton, NJ, Princeton University Press, 1994; William Chester JORDAN, The Frenche Monarchy and the

Jews: From Philip Augustus to the Last Capetians, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1989;

Kevin MACDONALD, Separation and Its Discontents: Toward an Evolutionary Theory of Anti-Semitism, Westport, CT, Praeger, 1998 (2.a ed. Bloomington, IN, 1stbooks Library, 2004): cap. 3 e 4; James PARKES, The Jew in the Medieval Community, 2.a ed., New York, Hermon Press, 1976.

  • Robert CHAZAN, Medieval Jewry in Northern France: A Political and Social History, Baltimore, The

Johns Hopkins University Press, 1973; John GILCHRIST, The Church and Economic Policy in the Middle Ages, New York, St. Martin’s Press, 1969; JORDAN, The Frenche Monarchy and the Jews; MACDONALD, Separation and Its Discontents.

  • Le radici del collettivismo della Chiesa si possono far risalire al tardo impero romano, quando [il cristianesimo, n. d. t.] divenne la religione ufficiale dell’impero con Costantino. Durante questo periodo la Chiesa cercò attivamente di ridimensionare il potere ebraico, ad esempio incoraggiando la legislazione contro gli ebrei che possedevano schiavi cristiani, un progetto che richiese un elevato livello di disciplina interna e di influenza sul governo. L’ideologia cristiana divenne sostanzialmente uno schema di strategia di gruppo antiebraica. Cfr. MACDONALD, Separation and Its Discontents, cap. 3.
  • Christopher HILL, Society and Puritanism in Pre-Revolutionary England, 2.a ed., New York, Schocken Books, 1967: 349.
  • Ronald A. MARCHANT, The Church under the Law: Justice, Administration and Discipline in the Diocese of York 1560-1640, Cambridge, Cambridge University Press, 1969: 224.
  • David HERLIHY, Medieval Households, Cambridge, Harvard University Press, 1985: 157.
  • Si veda la sezione che inizia con «As noted in Ch. 4», E. A. WRIGLEY, R. S. SCHOFIELD, The Population History of England, 1541-1871, Cambridge, UK, Cambridge University Press, 1989 (ed. orig.

Edward Arnold, Ltd., 1981).

  • Per esempio Patricia EBREY, Concubines in Sung China, “Journal of Family History”, 11, 1986: 1-24. [48] E. A. WRIGLEY, R. S. SCHOFIELD, The Population History of England, 1541-1871: A Reconstruction, Cambridge, Harvard University Press, 1981.
  • Ibid.
  • Ibid., 439; si veda anche HAJNAL, European Marriage Patterns in Perspective; MACFARLANE, Marriage and Love in England.
  • James FOREMAN-PECK, PENG Zhou, Late Marriage as a Contributor to the Industrial Revolution in England, “The Long Run” (blog della Economics History Society), 13 Febbraio 2018.

https://ehsthelongrun.net/2018/02/13/late-marriage-as-a-contributor-to-the-industrial-revolution-in-england [52] Patricia DRAPER, Henry HARPENDING, A Sociobiological Perspective on Human Reproductive

Strategies, in Kevin MACDONALD (ed.), Sociobiological Perspectives on Human Development, New York, Springer Verlag, 1988: 340-372.

  • Marcia GUTTENTAG, Paul F. SECORD, Too Many Women?, Beverly Hills, CA, Sage Publications, 1983.
  • Robert TRIVERS, Social Evolution, Cambridge, Harvard University Press, 1986.
  • SIEDENTOP, Inventing the Individual.
  • SIEDENTOP, Inventing the Individual, 61.
  • Si veda il capitolo 2 e l’Appendice al capitolo 2 sulla Roma repubblicana.
  • Ibid., 79.
  • Ibid., 80.
  • Ibid., 82.
  • Ibid., 83.
  • Ibid., 88.
  • E’ interessante come Sant’Agostino fosse motivato a dire che l’abbandono delle antiche divinità non era responsabile del sacco di Roma da parte di Alarico nel 410, «affermando che tutte le istituzioni umane erano soggette alla decadenza e al crollo» (Ibid., 89). Una solida società aristocratica sarebbe forse stata maggiormente in grado di difendersi?
  • SIEDENTOP, Inventing the Individual.
  • Nella Chiesa più antica i vescovi e i presbiteri erano scelti in base al “consenso generale”, ma non fu più così quando la Chiesa si legò all’impero (Ibid., 93).
  • Ibid., 98-99.
  • Ibid., 102.
  • Ibid., 104.
  • Ibid.
  • Ibid., 105.
  • Ibid., 107. Come nota Siedentop, la dottrina può essere osservata nella filosofia morale di Kant, nel tardo XVIII secolo; come si vedrà nel capitolo 8, conservare una reputazione di persona moralmente retta è cosa di importanza vitale nel mondo contemporaneo.
  • San Gregorio di Nissa, che è considerato un Padre della Chiesa, fu un ardente antisemita. La sua opposizione alla schiavitù fu probabilmente in parte motivata dalla sua preoccupazione riguardo agli ebrei che possedevano schiavi cristiani, in un’epoca in cui la riduzione in schiavitù di cristiani ad opera di ebrei era una questione di primo piano; cfr. Kevin MACDONALD, Separation and Its Discontents: Toward an Evolutionary Theory of Anti-Semitism, Bloomington, IN, AuthorHouse, 2004 (ed. orig. Westport, CT, Praeger, 1998) cap. 3, passim. Gregorio scrisse che «[Gli ebrei sono] gli uccisori del Signore, assassini dei profeti, ribelli contro Dio, nemici di Dio, […] avvocati del diavolo, razza di vipere, diffamatori, calunniatori, gente dall’animo oscuro, lievito dei farisei, sinedrio di demoni, peccatori, uomini malvagi, ubriaconi e nemici della rettitudine».
  • SIEDENTOP, 121.
  • James C. RUSSELL, The Germanization od Early Medieval Christianity: A Sociobiological Approach to Religious Transformation, New York, Oxford University Press, 1996.
  • Ibid., 39.
  • Ibid.
  • Ibid., 205.
  • Ibid., 200.
  • Ibid., 204.
  • Ibid., 213. 212.
  • Ibid., 207.
  • SIEDENTOP, Inventing the Individual, 241 [83] Ibid.
  • Ibid., 244.
  • Ibid., 152.
  • Ibid., 258. [87] Ibid., 193.
  • RUSSELL, The Germanization od Early Medieval Christianity, 120.
  • Barbara HANAWALT, The Ties thet Bound: Peasant Families in Medieval England, New York, Oxford

University Press, 1986; Dominique BARTHELEMY, Kinship, in Philippe ARIES, Georges DUBY (eds.), A

History of Private Life, vol II: Revelations of the Medieval World, Cambridge, Harvard University Press, 1988.

  • Da un punto di vista evoluzionista, il matrimonio con parenti stretti porta alla depressione endogamica e ad un aumento del rischio di malattie genetiche causate da geni recessivi. Molte culture permettono il matrimonio tra cugini primi e poche, come il giudaismo tradizionale, permettono quello tra zio e nipote. Come si afferma qui, le società occidentali tendono ad essere più esogame di quelle mediorientali.
  • B. BOUCHARD, Consanguinity and Noble Marriages in the Tenth and Eleventh Century, “Speculum”, 56, 1981: 268-287.
  • John GOODY, J., The Development of the Family and Marriage in Europe, Cambridge, UK, Cambridge University Press, 1983: 145. Un effetto di questa politica, evidenziato da Goody, fu che le famiglie rimanevano spesso senza eredi diretti e lasciavano le loro proprietà alla Chiesa.
  • Karl E. LEYSER, Rule and Conflict in Early Medieval Society, London, Edward Arnold, Ltd., 1979: 50.
  • John T. NOONAN, Power to Choose, “Viator”, 4, 1973: 419-434, 430.
  • MACFARLANE, Marriage and Love in England.
  • Henri PIRENNE, Medieval Cities: Their Origin and the Revival of Trade, Princeton, NJ, Princeton University Press, 1925, 1952, 1980: 112.
  • Ibid., 116.
  • SIEDENTOP, Inventing the Individual, 276.
  • Ricardo DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization, Leiden, Brill, 2011: 250.
  • SIEDENTOP, Inventing the Individual, 113.
  • Ibid.
  • SIEDENTOP, Inventing the Individual, 301.
  • Ibid., 303.
  • Ibid., 306.
  • Ibid., 307.
  • Ibid., 316.
  • Ibid., 331. [108] Ibid., 335.
  • Thomas BABINGTON MACAULAY, History of England from the Accession of James II, vol. I, Philadelphia, Porter and Coates, 1848 (senza numeri di pagina); https://www.gutenberg.org/files/1468/1468h/1468-h.htm. Macaulay, che come storico di forte orientamento Whig non può certamente essere accusato di favoritismo nei confronti della Chiesa, non ignora ciò che egli considera le influenze culturali positive del cristianesimo. Il periodo successivo all’invasione normanna è largamente considerato dagli storici come un’epoca nella quale gli inglesi furono dominati da un’élite estranea e oppressiva. Macaulay riconosce alla Chiesa di aver difeso gli autoctoni dall’oppressione normanna sulla base dell’universalismo morale cristiano, seppure in maniera alquanto inefficace:

 

Vero è che, subito dopo la battaglia di Hastings, i prelati e gli abati sassoni vennero deposti con la forza e che avventurieri ecclesiastici provenienti dal continente vennero collocati a centinaia nel possesso di lucrosi benefici. Tuttavia, perfino allora alcuni devoti ecclesiastici normanni levarono le loro voci contro una tale violazione delle costituzioni della Chiesa, rifiutarono di accettare la mitria dalle mani di Guglielmo e lo ammonirono a non dimenticare che gli isolani sconfitti erano suoi fratelli cristiani. Il primo protettore che gli inglesi trovarono all’interno della casta dominante fu l’arcivescovo Anselmo […]

Quanto grande sia stato il ruolo che gli ecclesiastici cattolici romani ebbero in seguito nell’abolizione della servitù feudale, lo sappiamo dalla testimonianza ineccepibile di sir Thomas Smith, uno dei più abili consiglieri protestanti di Elisabetta. Quando quel proprietario di schiavi, in punto di morte, domandò l’estrema unzione, i suoi assistenti spirituali lo esortarono secondo la regola, per il bene della sua anima, ad emancipare i suoi fratelli per i quali Cristo era morto. La Chiesa aveva utilizzato il suo formidabile apparato con tale successo, che prima dell’avvento della Riforma aveva emancipato quasi tutti gli schiavi del regno eccetto i propri; i quali, per renderle la dovuta giustizia, sembra fossero trattati in maniera assai mite (Ibid., corsivo mio).

  • MACDONALD, Mechanisms of Sexual Egalitarianism in Western Europe.
  • Ibid.
  • DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization.
  • il capitolo 4; si veda inoltre Michael MITTERAUER, Why Europe? The Medieval Origins of Its Special Path, trad. Gerald Chapple, Chicago, University of Chicago Press, 2010 (ed. orig. tedesca 2003): 62.
  • Catholic Encyclopaedia, voce “Harold Bluetooth”: http://www.newadvent.org/cathen/0714b.htm [115] Wikipedia, voce “Christianization of Scandinavia”: https://en.wikipedia.org/wiki/Christianization_of_Scandinavia.
  • Kevin MACDONALD, Socialization for Ingroup Identity among Assyrians in the United States, articolo presentato a un simposio sulla socializzazione identitaria di gruppo agli incontri della International Society for Human Ethology, Gand, Belgio, 29 Luglio 2004; https://www.researchgate.met/publication/308059453.
  • Jonathan Schulz et al. presentano dati che tentano di mostrare come le regole della Chiesa riguardanti l’incesto siano state il fattore decisivo per la nascita dell’individualismo europeo. Questa visione non è in grado si spiegare come mai i modelli familiari individualisti siano più forti in Scandinavia, area che fu cristianizzata molto più tardi di altre regioni dell’Europa occidentale, né può spiegare la variazione clinale nord-sud dei modelli familiari in Francia e, forse, nell’Italia settentrionale rispetto a quella meridionale, sebbene la complessa storia politica di quest’ultima regione, che include la conquista bizantina, implichi un più breve periodo di influenza da parte della Chiesa cattolica. Jonathan SCHULZ, Duman BAHRAMI-RAD, Jonathan BEAUCHAMP, Joseph HENRICH, The Origins of WEIRD Psychology, manoscritto non pubblicato, Department of Human Evolutionary Biology, Harvard University, 2018.
  • Michael Mitterauer evidenzia anche il ruolo peculiare della Chiesa imperiale nel definire il carattere unico dell’Occidente; si veda MITTERAUER, Why Europe?
  • SIEDENTOP, Inventing the Individual, 146.
  • MACDONALD, Separation and Its Discontents, cap. 3.
  • Ibid., cap. 4.
  • COHEN, The Friars and the Jews, 97.
  • Citazione nel testo da Ibid., 13.
  • L’intera citazione è da MACDONALD, Separation and Its Discontents.
  • Citato in CHAZAN, Medieval Jewry in Northern France, 103.
  • W. BERNARD, The Dissolution of the Monasteries, “History”, 96, ottobre, 2011: 390-409.