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INDIVIDUALISMO E TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE: INDICE DEI CAPITOLI

INDIVIDUALISMO E
TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE.
Origini evolutive, storia e prospettive future.
traduzione italiana di Marco Marchetti

INDICE DEI CAPITOLI

 

PREFAZIONE.

 

  1. RICERCHE RECENTI SULLA GENETICA DELLE POPLAZIONI.

Tre distinti movimenti di popolazioni nell’Europa preistorica.

Percentuali della mescolanza di CROc, AA e IE.

La Cultura del Vasellame Bucherellato delle coste scandinave.

Ulteriori prove della variazione clinale nord-sud per i geni dei CROc e degli AA.

Selezione dell’abilità cognitiva generale e dei tratti fisici.

Differenze nella mappa genetica dell’Europa contemporanea.

Dati relativi ai cromosomi sessuali.

Conclusione.

Note al cap. 1

 

  1. IL RETAGGIO CULTURALE INDOEUROPEO: L’INDIVIDUALISMO ARISTOCRATICO.

Cultura indoeuropea.

Progressi tecnologici.

L’addomesticazione del cavallo.

Carri sofisticati.

La rivoluzione dei prodotti derivati.

Pratiche socio-culturali.

La cultura militarizzata degli IE.

La reciprocità come caratteristica della cultura IE.

La demolizione dei vincoli di parentela.

Le ricompense per il successo militare.

L’indoeuropeismo come cultura individualista e di libero mercato.

Sippe e Männerbünde.

L’individualismo aristocratico nell’antica Grecia.

L’individualismo aristocratico tra i popoli germanici dopo la caduta dell’Impero d’Occidente. Qual era il grado di omogeneità etnica dei gruppi germanici nell’Europa della Tarda Antichità e dell’Alto Medioevo?

Conclusione.

Note al cap. 2.

 

APPENDICE AL CAPITOLO 2: LA CULTURA ROMANA: MILITARIZZAZIONE, GOVERNO

ARISTOCRATICO E APERTURA VERSO I POPOLI CONQUISTATI.

Le radici indoeuropee della civiltà romana: l’ethos militare della Roma repubblicana.

La famiglia romana.

La religione pubblica romana.

Il governo aristocratico e non dispotico di Roma.

L’apertura della società romana: mobilità sociale e incorporazione di popoli diversi.

Mobilità ascendente dei plebei.

Mobilità sociale ascendente dei popoli assimilati.

Conclusione: Roma, una strategia evolutiva di gruppo fallimentare.

Note all’Appendice al cap. 2.

 

  1. IL RETAGGIO CULTURALE DEI CACCIATORI-RACCOGLITORI OCCIDENTALI IN

EUROPA: L’INDIVIDUALISMO EGUALITARIO.

L’egualitarismo come componente riconoscibile della cultura occidentale.

La tesi ecologica sull’individualismo dei CR.

La complessità sociale dei CR nordeuropei.

L’egualitarismo come tratto fondamentale dei CR settentrionali.

L’esogamia come caratteristica del matrimonio occidentale.

L’amore come elemento centrale del matrimonio occidentale.

Differenze psicologiche tra le popolazioni WEIRD e le altre.

Scambio sociale e punizione altruistica.

Altre tendenze psicologiche delle popolazioni WEIRD.

Ragionamento morale.

Differenze cognitive.

Conclusione.

Note al cap. 3.

 

  1. LE BASI FAMILIARI DELL’INDIVIDUALISMO EUROPEO.

Il matrimonio nell’Europa occidentale: alcune differenze fondamentali.

Dati descrittivi sui modelli di famiglia nell’Europa nordoccidentale e in quella meridionale. Caratteristiche del sistema familiare moderatamente individualista dell’Europa  nordoccidentale.

Datare le origini della famiglia individualista.

Svantaggi della famiglia individualista.

Influenze contestuali proposte come cause dell’individualismo moderato.

Il collettivismo moderato dell’Europa meridionale contrapposto all’individualismo moderato dell’Europa nordoccidentale.

Tendenze egualitarie nell’Europa nordoccidentale.

Le aree non feudalizzate dell’Europa nordoccidentale.

Parentela germanica e parentela irlandese.

Parentela germanica.

La parentela irlandese.

L’argomento etnico.

L’individualismo estremo a sostegno statale della Scandinavia.

Conclusioni.

Note al cap. 4.

 

  1. LA CHIESA NELLA STORIA EUROPEA.

Processo implicito ed esplicito: come l’ideologia motiva il comportamento.

Ideologia e controllo sociale a sostegno della monogamia nell’Europa occidentale.

La rivoluzione papale: la creazione dell’immagine della Chiesa come istituzione altruista.

La rivoluzione papale: il potere della Chiesa sulle élite secolari.

Il collettivismo ecclesiastico medievale.

Controllo sociale e ideologia per il mantenimento della monogamia socialmente imposta.

Il controllo del comportamento sessuale nel Medioevo e oltre.

Ideologie a sostegno della monogamia.

Conclusione.

Effetti della monogamia.

La monogamia come precondizione al profilo demografico “a bassa pressione” dell’Europa e alla rivoluzione industriale.

Monogamia e investimento nella prole.

Il cristianesimo in contrapposizione all’antico ordine sociale aristocratico greco-romano.

Il cristianesimo nell’Europa post-romana.

La Chiesa alla ricerca del potere.

L’ideologia dell’egualitarismo morale come strumento di espansione del potere ecclesiastico.

La politica ecclesiastica di contrasto al potere dei gruppi di parentela estesa.

Il sostegno ecclesiastico alla diversificazione dei centri di potere.

Il cristianesimo e la tradizione razionale dell’Occidente.

Il dibattito tra realismo e nominalismo.

Il cristianesimo e l’Europa post-medievale.

Conclusione: la Chiesa facilitò l’individualismo occidentale, ma non ne fu la causa.

Note al cap. 5.

 

  1. IL PURITANESIMO:     L’ASCESA     DELL’INDIVIDUALISMO EGUALITARIO      E

DELL’UTOPISMO MORALE.

Il puritanesimo come strategia evolutiva di gruppo.

La strategia di gruppo di Giovanni Calvino.

Il puritanesimo nel New England.

Le famiglie puritane.

Pratiche educative per i bambini.

Intelligenza e importanza dell’educazione.

I nomi puritani come indicatori di appartenenza al gruppo.

Il controllo comunitario del comportamento individuale: il collettivismo puritano.

Il puritanesimo fu una strategia evolutiva di un gruppo chiuso?

Il deterioramento dei confini del gruppo puritano.

La rivoluzione puritana in Inghilterra.

La rivoluzione puritana negli Stati Uniti.

Le tendenze intellettuali del XIX secolo di ispirazione puritana come versioni secolari dell’utopismo morale.

Il trascendentalismo come movimento di intellettuali di origine puritana.

Trascendentalisti famosi.

Orestes Brownson (1803-1876).

George Ripley (1802-1880).

Amos Bronson Alcott (1799-1888).

Ralph Waldo Emerson (1803-1882).

Theodore Parker (1810-1860).

William Henry Channing (1810-1884).

L’attivismo trascendentalista in nome della giustizia sociale.

Il trascendentalismo: un riepilogo.

La difficile associazione tra individualismo e identità etnica anglosassone nel XIX secolo.

Interesse personale e ideologia progressista.

Altre correnti intellettuali progressiste del XIX secolo.

Anarchismo libertario.

Il protestantesimo liberale.

Il determinismo culturale accademico e l’antidarwinismo.

La sinistra laica.

Il periodo della difesa etnica: 1880-1965.

Conclusione.

Note al cap. 6.

 

  1. L’IDEALISMO MORALE NEL MOVIMENTO ANTISCHIAVISTA BRITANNICO E IL

“SECONDO IMPERO BRITANNICO”.

Il contesto dell’Età della Benevolenza.

La psicologia dell’altruismo e dell’universalismo morale.

Il sistema empatico della personalità.

Idealismo morale e ideologia dell’universalismo morale.

Precedenti filosofici.

Empatia e abolizionismo.

Empatia e opposizione ideologica allo schiavismo: quaccheri, anglicani evangelici e metodisti.

I quaccheri.

Gli anglicani evangelici.

I metodisti.

Il puritanesimo come prototipo dell’“Età della Benevolenza”.

“Il secondo impero britannico” nel XIX secolo: un luogo più gentile e più mite.

La ribellione di Morant Bay in Giamaica e i suoi sostenitori in Inghilterra.

David Hackett Fischer: il “secondo impero britannico”.

La libertà di parola negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda.

La rivoluzione emotiva in Inghilterra: un’ipotesi etnica.

Le origini etniche e il declino dell’ethos aristocratico in Gran Bretagna.

Conclusione.

Note al cap. 7.

 

  1. LA PSICOLOGIA DELLE COMUNITÀ MORALI.

I processi dell’identità sociale come adattamento alle comunità morali.

Il ruolo dell’empatia nelle comunità morali: altruismo e altruismo patologico.

Il controllo dell’etnocentrismo: processo implicito e processo esplicito.

Comunità bianche implicite.

Gestire l’etnocentrismo bianco: il problema dell’identità bianca non esplicita.

Differenze razziali nella personalità.

Alcuni sistemi elementari della personalità.

Il sistema dell’approccio comportamentale (SAC).

Il sistema amore / cura del legame di coppia.

Il controllo esecutivo prefrontale (CEP).

Le differenze razziali nella personalità di Richard Lynn: i bianchi sono più generosi ed empatici rispetto alle altre razze.

La teoria delle storie di vita.

Sfide psicologiche allo sviluppo di una cultura esplicita dell’identità e degli interessi dei bianchi.

L’interesse personale e le strutture anti-bianche.

La teoria dell’apprendimento sociale: conseguenze per chi non domina la cultura.

Benefici e rischi della coscienziosità.

La dissonanza cognitiva come forza di inerzia psicologica.

Meccanismi psicologici per un rinascimento bianco.

La consapevolezza del rischio di diventare una minoranza alimenta l’etnocentrismo bianco.

Le espressioni di odio nei confronti dei bianchi promuovono l’etnocentrismo bianco.

I processi dell’identità sociale.

L’estremismo della cultura scandinava: egualitarismo, fiducia, conformismo e processi decisionali basati sul consenso.

Il caso speciale della Finlandia.

Conclusione: l’importanza di modificare la cultura esplicita.

Note al cap. 8.

 

APPENDICE AL CAPITOLO 8: IL RECENTE DETERIORAMENTO CULTURALE: ALCUNE

CORRELAZIONI CULTURALI RIGUARDO ALL’ASCESA DI UNA NUOVA ÉLITE.

Il generale declino culturale in America a partire dagli anni Sessanta.

Conclusione: l’effetto trasformativo della rivoluzione controculturale degli anni Sessanta.

Note all’Appendice al cap. 8.

 

  1. TRADIZIONE PROGRESSISTA E MULTICULTURALISMO.

L’individualismo come fattore predisponente alla scienza e al capitalismo.

L’individualismo come fattore predisponente alla scienza.

L’individualismo come fattore predisponente al capitalismo.

Cosa è andato storto? La nuova élite e la sua avversione per la nazione che essa governa. I movimenti intellettuali di sinistra hanno approfittato della tradizione progressista occidentale.

L’argomento morale a sostegno degli interessi dei bianchi.

Conclusione: l’incerto futuro dell’Occidente.

Note al cap. 9.

INDIVIDUALISMO E TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE: PREFAZIONE

KEVIN MACDONALD

 

 

INDIVIDUALISMO E  

TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE.

Origini evolutive, storia e prospettive future.

traduzione italiana di Marco Marchetti

Dichiarazione del traduttore

La presente traduzione italiana dell’opera: Kevin MacDonald, Individualism and the Western Liberal Tradition, Kindle Direct Publishing Edition, 2019 è stata realizzata nel 2020 per uso personale e senza scopo di lucro.  Le note del traduttore sono incate con “n. d. t.”

Translator’s Disclaimer

This italian translation of the book: Kevin MacDonald, Individualism and the Western Liberal Tradition, Kindle Direct Publishing Edition, 2019 was made in 2020 for personal use and not for profit.

Translator’s notes are marked with “n. d. t.”

PREFAZIONE.

 

Le origini di questo libro risalgono ai primi anni Ottanta, quando trascorsi un anno come Ph. D. privo di impiego. Munito della teoria evoluzionistica cominciai a leggere testi di antropologia e scoprii sostanzialmente che man mano che le società creavano livelli più alti di produzione economica, gli uomini ricchi e potenti erano in grado di controllare un numero crescente di donne. La cosa interessante era che, in generale, ciò non si verificava per l’Europa occidentale. La questione ebbe come conseguenza un certo numero di articoli sulla nascita e il mantenimento della monogamia nelle società occidentali (citati nel cap. 5) e, per ultimo, questo libro.

Certamente i problemi fondamentali sono cambiati nel corso degli anni. Gli argomenti critici sono, attualmente, perché l’Occidente abbia avuto tanto successo (la monogamia è parte di questa storia) e perché, negli ultimi decenni, sia tanto incline all’autodistruzione. La risposta breve a tutto ciò è l’individualismo, ma il mio tentativo di rispondere a queste domande richiede alcuni lunghi percorsi attraverso la genetica delle popolazioni, la storia e la preistoria europee, il mutamento delle élite in Occidente, specialmente dopo la Seconda Guerra Mondiale, come pure attraverso la ricerca psicologica. La lente teorica generale utilizzata è la psicologia evoluzionistica: io accetto il principio generale che gli esseri umani possiedano un insieme di meccanismi psicologici che influenzano il loro comportamento e che la variazione genetica fornisce un importante contributo a tali influenze.

Ma questo non implica ciò che solitamente si indica in modo irrispettoso come “determinismo genetico”. La storia umana è troppo complessa per accettare spiegazioni espresse esclusivamente in termini genetici. In diversi capitoli svilupperò le basi psicologiche delle influenze culturali e ideologiche basate sulle ricerche relative ai centri cerebrali superiori, tipicamente collocati nella corteccia prefrontale. Questi meccanismi sono incredibilmente elaborati negli esseri umani e, in un senso molto concreto, sono ciò che ci rende umani. Pertanto le ideologie e i controlli sociali che influenzano il comportamento umano giocano qui un ruolo centrale, tutavia non si sostiene che tali influenze siano un risultato deterministico della psicologia umana che interagisce col mondo sociale e materiale.

Inoltre, la storia umana è costellata di eventi contingenti e non può essere definita a priori o anche a posteriori in ogni dettaglio da una qualsiasi teoria. Ne sono consapevole, certo non tramite una psicologia evoluzionistica che postula quale strumento esplicativo un unico insieme di moduli universalmente disponibili, frutto dell’evoluzione1. La storia è piena di giri e di svolte che spesso dipendono dall’esito di particolari battaglie o conflitti politici, influenzati a loro volta da una schiera di fattori psicologici e contestuali. Per esempio, il capitolo 5 discute l’influenza culturale della Chiesa Cattolica e i meccanismi psicologici che soggiacciono a tale influenza, ma anche le ideologie e i controlli sociali così essenziali al suo successo nel corso dell’Alto Medioevo. C’è molto materiale, qui, sulle conseguenze dell’ascesa del Protestantesimo in Inghilterra, ma nessun tentativo di fornire una spiegazione esatta del perché ciò accadde. I resoconti storici hanno il vantaggio del senno di poi, ma restano pur sempre resoconti, decisamente lontani dal fornirci una spiegazione completa. Pazienza.

Come entra nel discorso, dunque, la psicologia evoluzionistica? Essenzialmente, la tesi è che le influenze etniche sono importanti per comprendere l’Occidente, e che l’invasione preistorica degli Indoeuropei ebbe un effetto trasformativo sull’Europa, inaugurando un lungo periodo di ciò che verrà indicato come “individualismo aristocratico”, risultante da variazioni nella genetica indoeuropea e nell’influenza culturale (capitolo 2). Comunque, a cominciare dal XVII secolo si affermò una nuova cultura detta “individualismo egualitario” che gradualmente divenne dominante, essa stessa influenzata dalle tendenze etniche dei cacciatori-raccoglitori settentrionali che erano rimaste relativamente sommerse durante il periodo della dominazione aristocratica. L’individualismo egualitario diede inizio al mondo moderno e noi viviamo oggigiorno con le sue conseguenze. Come per l’esito di particolari battaglie o conflitti politici, l’ascesa di questa nuova popolazione e di questa nuova cultura non è prevedibile nei dettagli, ma possiamo certamente, col senno di poi, delinearne le conseguenze.

Questo libro ha tratto beneficio, nel corso degli anni, dall’interazione con molti altri. In tempi recenti, desidero segnalare F. Roger Devlin, che ha rivisto il manoscritto e corretto diverse imperfezioni stilistiche. Voglio inoltre ringraziare Simon Ström, la cui competenza nel campo della genetica delle popolazioni è stata molto utile, e Luke Torrisi, la cui competenza riguardo al millenarismo protestante ha contribuito molto al materiale sull’America del XIX secolo.


Note

[1] Kevin MACDONALD, Mechanisms of Sexual Egalitarianism in Western Europe, in “Ethology and Sociobiology”, 11, 1990: 195-238.

 

 

 

 

 

 

INDIVIDUALISMO E TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE: Capitolo 1, RICERCHE RECENTI SULLA GENETICA DELLE POPLAZIONI

INDIVIDUALISMO E
TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE.
Origini evolutive, storia e prospettive future.
traduzione italiana di Marco Marchetti

RICERCHE RECENTI SULLA GENETICA DELLE POPLAZIONI.

Questo libro cerca di proporre una visione della cultura e della civiltà occidentali fondata sulla biologia, concentrandosi in particolare sull’individualismo, un tratto che, come tutti quelli che interessano gli psicologi, ha una base genetica1. Appare pertanto corretto cominciare tracciando la storia genetica dell’Occidente.

La base genetica di un carattere può evolvere mediante mutazioni vantaggiose o mediante plasticità fenotipica (vale a dire cambiamento come risultato dell’esperienza). In un organismo con un certo grado di plasticità gli eventi ambientali possono avere come risultato dei cambiamenti nel fenotipo. Se tale fenotipo è vantaggioso, l’organismo tenderà ad accumulare mutazioni che renderanno lo sviluppo del fenotipo più affidabile e avranno per risultato una influenza genetica ovvero un controllo su quel carattere2. Ciò viene talvolta indicato come evoluzione per “primato del fenotipo” (phenotype first evolution) perché i mutamenti genetici si verificano dopo che il carattere è originariamente apparso nella popolazione come risultato della plasticità3.

La plasticità evolutiva apre una via relativamente veloce alla produzione di fenotipi adattabili rispetto alla graduale accumulazione di mutazioni vantaggiose. Ciò nonostante, viene oggi accettato il fatto che l’evoluzione tramite l’una o l’altra via possa verificarsi entro intervalli di tempo storici4.

Grazie alla loro intelligenza gli esseri umani sono stati capaci di creare nuovi ambienti, ad esempio addomesticando gli animali e potendo in tal modo utilizzare i latticini come fonte di sussistenza. Questi nuovi ambienti, a loro volta, possono selezionare differenti mutazioni e, alla fine, tratti differenti, come la tolleranza al lattosio in un’economia basata sui latticini, o una minore statura risultante dall’adattamento ad una dieta agricola di bassa qualità (si veda più avanti). Come risultato, sostenere una base psicologica dell’individualismo occidentale non richiede che se ne documenti l’esistenza lungo un linea diretta a partire dalla popolazione che per prima visse in Europa circa 45.000 anni fa, e neppure da una molto più recente. Un tema di questo volume è che in Europa esiste un gradiente genetico e psicologico che va da nordovest a sudest, dove l’individualismo è più comune tra le popolazioni storiche dell’Europa nordoccidentale. Comunque, influenze genetiche su tratti collegati all’individualismo possono essersi sviluppate, continuando a subire una pressione selettiva positiva o negativa fino ai giorni nostri.

Ne deriva che diventa importante documentare le prime tracce dell’individualismo compiendo ricerche sulle più antiche popolazioni i cui profili comportamentali sono meglio conosciuti. I successivi capitoli documentano le tendenze individualistiche in quelle che furono più antiche e importanti influenze sull’individualismo europeo, ossia le culture indoeuropee (cap. 2) e quelle dei cacciatori-raccoglitori dell’Europa nordoccidentale (cap. 3). Appare evidente, da quanto segue, che almeno qualche influenza genetica da parte di quelle popolazioni continua ad essere presente nell’epoca contemporanea.

 

Tre distinti movimenti di popolazioni nell’Europa preistorica.

 

Vi è un consenso emergente riguardo a tre distinti movimenti di popolazioni verso l’Europa in epoca preistorica: 1) i cacciatori–raccoglitori occidentali (CROc), 2) gli agricoltori provenienti dall’Anatolia, noti come antichi agricoltori (AA) e 3) gli indoeuropei (IE), originatisi dalla cultura di Yamnaya della Steppa Pontica, nelle attuali Ucraina e Russia meridionale5.

  • I CROc sono la popolazione europea primordiale, che giunse in Europa circa 45.000 anni fa. Jones et al. suggeriscono il seguente scenario di un’antica separazione dei CROc da altri gruppi di migranti nel corso dell’originario esodo dall’Africa:

 

Data la loro origine geografica, sembra probabile che i cacciatori-raccoglitori del Caucaso (CRC) e gli AA siano discendenti di antichi coloni provenienti dall’Africa che si fermarono a sud del Caucaso, in un’area che si estende a sud e verso levante e forse anche ad est verso l’Asia centrale e meridionale. I CROc, d’altro canto, sono probabilmente i discendenti di un’ondata che si espanse ulteriormente in Europa6.

 

Entrati in Europa, i CROc sostituirono i Neanderthal, ma raccolsero una piccola quantità del materiale genetico di questi ultimi attraverso unioni miste7. Sulla base dell’esame di scheletri rinvenuti dalla Spagna all’Ungheria e datati al periodo Mesolitico (tra gli 11.500 e i 6000 anni fa circa) questa popolazione costituiva «un gruppo relativamente omogeneo»8.

In Scandinavia un sottogruppo distinto noto come cacciatori-raccoglitori scandinavi (CRS) si evolse a partire dai CROc, ma rimane incerto se tale sottogruppo abbia contribuito al patrimonio genetico dei moderni scandinavi.

  • Gli AA arrivarono dall’Anatolia intorno agli 8000 anni fa, introducendo l’agricoltura e definendo la transizione al Neolitico. Geneticamente essi non assomigliano agli attuali anatolici9.
  • Per finire, gli IE arrivarono dalla regione della Steppa Pontica durante la prima Età del Bronzo (ca. 4500 anni fa). I proto-IE, noti anche come Yamnaya, sono un amalgama composto da popolazioni vicino-orientali di “tipo armeno” (48-58%)10 e da tre gruppi di cacciatori-raccoglitori: quelli del Caucaso (CRC), gli antichi eurasiatici del nord (AEN), che comprendono a loro volta i cacciatori-raccoglitori della Siberia (AEN veri e propri) e quelli orientali (CROr). Gli AEN sono collegati agli indiani del Nordamerica11, mentre i CROr sono la propaggine orientale di uno spettro genetico di cacciatori-raccoglitori che va da oriente a occidente12.

Il quadro generale è che le popolazioni dell’Europa occidentale erano relativamente distinte l’una dall’altra, dal punto di vista genetico, nella prima Età del Bronzo, ma si mescolarono in maniera crescente in seguito all’influenza indoeuropea producendo come risultato una differenziazione minore (sebbene ancora significativa) nell’Europa contemporanea.

 

 

 

 

Abbreviazioni utilizzate nel capitolo:

AEN Antichi Eurasiatici del Nord
CRC Cacciatori-Raccoglitori del Caucaso
AA Antichi Agricoltori dell’Anatolia
CROr Cacciatori-raccoglitori Orientali
IE Indoeuropei
CR Cacciatori-Raccoglitori
CRS Cacciatori-Raccoglitori Scandinavi
CROc Cacciatori-Raccoglitori Occidentali

 

Percentuali della mescolanza di CROc, AA e IE.

 

La migrazione dall’Anatolia degli AA, che segna l’inizio del Neolitico, ebbe come conseguenza iniziale una «quasi completa sostituzione», nell’Europa meridionale, della precedente popolazione di CROc, che si ridussero ad una quota del 7-11% del genoma risultante. Comunque, in seguito vi fu un nuovo incremento del retaggio dei CROc fino al 23-28% nella prima Età del Bronzo13. Anche Haak et al. notano una «rinascita» della rappresentanza genetica dei CROc intorno a quest’epoca14.

Fatto importante per ciò che verrà discusso nel cap. 4, l’eredità genetica degli AA continua ad essere prevalente nell’attuale Europa meridionale, risultando massima in Sardegna (ca. 90%), mentre il contributo dei CRC e dei CROr (attraverso gli IE) prevale maggiormente nell’Europa settentrionale e centrale. Secondo Jones et al.:

 

I CRC, o una popolazione ad essi vicina, contribuirono al patrimonio genetico degli individui della cultura Yamnaya, considerati i vettori della profonda influenza degli antenati della Steppa Pontica che si diffusero ad occidente in Europa e ad oriente in Asia centrale insieme alla metallurgia, all’equitazione e, probabilmente, alle lingue indoeuropee nel terzo millennio a. C.15

 

Anche Allentoft et al. hanno studiato la penetrazione degli IE di derivazione Yamnaya in Europa durante l’Età del Bronzo, cominciata intorno ai 4500 anni fa con la cultura della Ceramica Cordata (rinvenuta tra i fiumi Reno e Volga e nella Scandinavia meridionale), come pure le prove di una più tarda presenza indoeuropea in Italia16. I DNA della Ceramica Cordata e degli Yamnaya formano un clade (un gruppo con un antenato comune) con esclusione degli armeni dell’Età del Bronzo, ad indicare che la mescolanza “di tipo armeno” degli Yamnaya notata in precedenza «ha origine nelle steppe piuttosto che nel Caucaso meridionale», vale a dire, non proviene veramente dall’Armenia17.

L’espansione degli IE portò i geni Yamnaya attraverso grandi distanze, dalla Scandinavia all’Asia meridionale. Ma è importante notare che le incursioni Yamnaya in Iran e in India non ebbero come risultato società individualiste, probabilmente perché le popolazioni locali conquistate rimasero fortemente collettiviste. Inoltre, come sottolineato nel cap. 2, gli IE mostravano notevoli tendenze all’individualismo, ma il loro metodo generale non era quello di estirpare i popoli conquistati; li dominavano, si servivano del loro lavoro, ecc., e alla fine si mescolavano con loro.

Haak et al. forniscono un sostegno alla componente indoeuropea dell’ascendenza degli europei trovando le prove di una «massiccia migrazione» degli Yamnaya in Europa iniziata circa 4500 anni fa e associata alla cultura della Ceramica Cordata18. Circa il 75% dell’ascendenza degli individui appartenenti a tale cultura rinvenuti in Germania proviene dagli Yamnaya, così come il 60% dei cromosomi Y, cosa che sta ad indicare come gli individui maschi conquistatori avessero un successo riproduttivo relativamente alto in confronto a quello degli abitanti maschi precedenti. Fu un influsso di carattere improvviso, che suggerisce un’invasione piuttosto che una diffusione culturale, idea che corrisponde bene alla cultura fortemente militarizzata dei proto-IE di cui si parla nel cap. 2.

Oltre al 75% circa di ascendenza Yamnaya, Haak et al. stimano per gli individui della Ceramica Cordata un

4% circa di CROc e un 17% di AA. Tra gli europei moderni il più elevato patrimonio genetico di ascendenza Yamnaya si osserva nei norvegesi, con un valore intorno al 55%; le percentuali decrescono nell’Europa meridionale e orientale (la più bassa si ha in Sardegna, col 10%). I loro risultati indicano dunque una direttrice di variazione nord-sud per il patrimonio genetico derivante dai CROc. La percentuale più elevata tale patrimonio si trova negli Stati Baltici (Lituania ed Estonia, col 40% circa) mentre essa è nulla in Spagna e in Italia. La Norvegia e l’Islanda contemporanee hanno una percentuale del 17-20% all’incirca. Questo indica che dopo il periodo della Ceramica Cordata dell’Europa centrale (tra i 4900 e i 4400 anni fa) vi fu una ripresa del contributo genetico dei cacciatori-raccoglitori in tutta l’area europea.

Haak et al. concludono:

 

I nostri risultati forniscono appoggio ad una visione della preistoria europea contrassegnata da due principali migrazioni: prima l’arrivo dei primi agricoltori (AA), all’inizio del Neolitico, dal Vicino Oriente, poi l’arrivo dei pastori Yamnaya dalle steppe, nel corso del tardo Neolitico. I nostri dati mostrano inoltre che entrambe le migrazioni furono seguite da una ripresa delle popolazioni precedenti: la prima durante il Neolitico medio, quando il patrimonio genetico dei CR tornò a crescere dopo il declino dell’inizio del Neolitico; la seconda tra il tardo Neolitico  e l’epoca attuale, quando il patrimonio degli AA e dei CR aumentò dopo il declino avvenuto alla fine del Neolitico. La seconda ripresa deve avere avuto inizio proprio nel periodo del tardo Neolitico – Età del Bronzo, poiché i gruppi umani delle culture del Vaso Campaniforme (ca. 4800-3800 anni fa) e di Unetice (ca. 4300-3600 anni fa) possedevano un retaggio genetico Yamnaya ridotto se confrontato con quello dei primi individui della Ceramica Cordata, e paragonabile a quello di alcuni europei odierni […]. Oggi il patrimonio genetico di origine Yamnaya è minore nell’Europa meridionale e maggiore in quella settentrionale.

 

Oltre ai ritrovamenti di Haak et al. menzionati in precedenza, Lazaridis et al. osservano che gli AEN (che arrivarono nel’Europa occidentale attraverso l’influenza genetica degli IE) sono rappresentati tra i moderni europei per un massimo del 20%19. Essi deducono dai loro dati che gli europei meridionali contemporanei ereditarono il loro patrimonio genetico proveniente dai CR principalmente attraverso gli AA, come risultato della mescolanza di questi ultimi con i CROc nel sud dell’Europa. D’altro canto gli europei del nord acquisirono fino al 50% del loro patrimonio derivante dai CROc attraverso i CROc dell’Europa settentrionale, vale a dire che il loro patrimonio collegato ai CR fu superiore a quello derivante dai loro antenati AA. Questo indica che i CROc dell’Europa settentrionale non furono semplicemente rimpiazzati dagli AA o dagli IE, ma finirono per mescolarsi con questi gruppi. Haak et al. notano inoltre come in generale gli europei abbiano una porzione di patrimonio genetico derivante dai CROc maggiore rispetto a quella dovuta agli AEN. Quest’ultima era assente prima della transizione neolitica all’agricoltura, tanto nei CROc quanto negli AA, una scoperta coerente col fatto che gli AEN diedero il loro contributo genetico alla cultura Yamnaya, a sua volta implicata nell’invasione indoeuropea che cominciò all’inizio dell’Età del Bronzo.

 

La Cultura del Vasellame Bucherellato delle coste scandinave.

 

La scoperta di un patrimonio genetico derivante dai CROc maggiore e più duraturo di quello fornito dagli

AA che con essi si erano mescolati nella loro migrazione verso nord è concorde con i ritrovamenti di Malmström et al. relativi alla cultura neolitica del Vasellame Bucherellato della Scandinavia meridionale (ca. 5200-4300 anni fa)20. Questa cultura coesistette sia con quella del Bicchiere Imbutiforme (derivata dagli AA) che con quella della Ceramica Cordata (dominata dagli IE). La Cultura del Vasellame Bucherellato, insieme a quella tardo mesolitica di Ertebølle, era una cultura di CR che viveva presso il mare e la cui dieta si basava principalmente su molluschi e altri alimenti d’origine marina, come pure sulla caccia e la raccolta. Come si vedrà nel cap. 3, queste comunità erano sedentarie almeno per la maggior parte dell’anno e svilupparono ampie società con una struttura complessa.

I ritrovamenti relativi alla Cultura del Vasellame Bucherellato comprendono una quantità di aplotipi mitocondriali unici (in particolare gli aplotipi U e K) che non si trovano nei campioni relativi alla Cultura del Bicchiere Imbutiforme (derivata dagli AA) né in quelli della Ceramica Cordata (derivati dagli IE) e formano un gruppo con i campioni mesolitici relativi ai CR provenienti dall’Europa centrale e dalla Penisola Iberica. Basandosi sulle notevoli differenze nella prevalenza degli aplotipi mitocondriali tra i CR del Vasellame Bucherellato e gli altri gruppi, Malmström et al. hanno concluso che quei CR possano aver contribuito per una porzione variabile tra 0 e il 60% agli aplotipi mitocondriali della popolazione svedese contemporanea, pur non potendo respingere un contributo degli individui del Bicchiere Imbutiforme, fino a una completa sostituzione dei CR del Vasellame Bucherellato. Collegandosi ai dati di Lazaridis et al. circa il contributo unico fornito al patrimonio genetico dai CROc del nord, al di là di quello risultante dalla mescolanza tra AA e CROc nell’Europa meridionale, appare probabile, per l’attuale popolazione svedese, un contributo diretto derivante dai CR del Vasellame Bucherellato, o almeno da qualche altro gruppo settentrionale di CR. Malmström et al. osservano che la possibile continuità tra la cultura tardo mesolitica di Ertebølle e gli scandinavi attuali rimane una questione aperta. Tenendo conto di quanto si dice nel cap. 3 riguardo alla cultura di Ertebølle, questo rimane un tema importante per la ricerca futura.

Inoltre, esiste una continuità genetica tra i CRS e la popolazione del Vasellame Bucherellato. Mittnik et al. hanno osservato come i CRS non abbiano fornito un contributo genetico alla popolazione della Svezia meridionale agli inizi del Neolitico. Comunque i loro risultati relativi al Neolitico medio hanno mostrato una continuità genetica tra CRS e popolazione del Vasellame Bucherellato nella stessa area, proponendo un modello biunivoco tra il contributo genetico derivato dai CRS (74±6%) e quello derivato dagli AA (26±6%). Per il tardo Neolitico e la prima Età del Bronzo i loro risultati sono coerenti con alcune mescolanze locali tra AA e CRS: «La popolazione neolitica di CR del Vasellame Bucherellato mostra una notevole continuità genetica con i CRS»21.

Pertanto, un contributo diretto dei CRS al patrimonio genetico dell’attuale popolazione svedese rimane possibile, sebbene i dati ottenuti finora siano anche coerenti con l’ipotesi che il contributo genetico pari a circa il 20% derivante agli attuali svedesi dai CR (si veda sopra) provenga completamente dai CROc, sia attraverso la mescolanza con gli AA che indipendentemente da essa.

 

Ulteriori prove della variazione clinale nord-sud per i geni dei CROc e degli AA.

 

Il gradiente nord-sud nei geni dei CROc è il tema di uno studio compiuto da Pontus Skoglund et al. sui resti di tre CR antichi di 5000 anni e di un AA della stessa epoca, tutti ritrovati nell’attuale Svezia22. Confrontati aìcon campioni europei e levantini contemporanei, i tre CR neolitici sono apparsi molto al di fuori della distribuzione dei campioni moderni, ma nella direzione dei finlandesi e di altri individui europei settentrionali contemporanei. D’altro canto, l’agricoltore svedese si accostava agli europei meridionali contemporanei. Skoglund et al. hanno stimato che gli svedesi odierni abbiano la seguente percentuale di patrimonio genetico collegato agli AA con un gradiente nord-sud: 31±6% (al nord), 36±7% al centro e 41±8% al sud. La componente derivante dagli AA decresce complessivamente dal 95±13% dei sardi al 52±8% negli individui di discendenza europea nordoccidentale. Skoglund et al. suggeriscono la presenza di ostacoli al flusso genetico che gradualmente si ridussero, e che gli europei odierni si collochino in una posizione intermedia tra la popolazione primordiale dei CROc e gli agricoltori che entrarono in Europa da sudest durante la transizione al Neolitico, evidenziando ancora una volta il contributo dei CR al patrimonio genetico dell’Europa contemporanea, particolarmente di quella settentrionale23.

Un ulteriore studio di Skoglund et al. relativo ad un CR mesolitico, sei CR neolitici e quattro agricoltori neolitici, ha evidenziato una continuità genetica tra i CR mesolitici e quelli neolitici, come pure una differenza genetica rispetto agli agricoltori neolitici24. A corroborare le precedenti scoperte, gli agricoltori neolitici (AA) si avvicinano geneticamente alle popolazioni europee centrali e meridionali odierne, mentre i CR, sebbene al di fuori della variazione delle popolazioni europee contemporanee, risultano più vicini alle popolazioni nord-europee, e in particolare ai lituani, mentre gli odierni gruppi svedesi si trovano in posizione intermedia tra gli agricoltori e i CR neolitici, ma più vicini a questi ultimi. Il CR mesolitico utilizzato come termine di confronto non presentava tracce di geni derivanti dagli agricoltori, sebbene fosse vissuto assai dopo l’introduzione dell’agricoltura nell’area, mentre gli agricoltori neolitici mostravano una significativa discendenza dai CR, probabilmente come risultato di una mescolanza avvenuta nel corso della loro espansione verso nord, nelle zone precedentemente occupate dai CR. In questo studio la distanza genetica tra agricoltori e CR risulta maggiore di quella tra qualsiasi popolazione europea contemporanea (dove è massima tra i finlandesi e gli italiani meridionali)25.

Un altro studio sui CR mesolitici ha utilizzato la saliva presente nel cibo masticato da tre individui26, trovando che questi si collocavano geneticamente tra i CROr e i CROc, ma nella direzione dei secondi e più vicini alle popolazioni europee settentrionali contemporanee, se confrontati con quelle dell’Europa occidentale e centrale; essi presentano la maggiore distanza dalle popolazioni dell’Europa meridionale e orientale. Gli individui mesolitici rinvenuti in Norvegia erano più vicini al gruppo dei CROr, mentre quelli rinvenuti in Svezia (compresi i tre individui dello studio in questione) erano più vicini al gruppo dei CROc. Quest’ultima scoperta conferma quelle precedenti, secondo le quali la penisola Scandinava venne popolata a partire dalla fine dell’ultima epoca glaciale attraverso due distinte migrazioni, una dal sud (ca. 11.500 anni fa) composta da CROc e una dal nordest (ca. 10.300 anni fa) composta da CROr.

 

La conclusione che ne traggo è che in Europa esiste un gradiente genetico nord-sud, dove i geni degli AA sono assai più comuni al sud e i geni dei CROc (comprendenti quelli dei CRS) e degli IE risultano prevalenti al nord. Ciò implica che ogni contributo psicologico di origine genetica derivante dai CR e dagli IE sarà più comune tra gli odierni europei settentrionali che tra quelli meridionali, mentre gli analoghi contributi derivanti dagli AA saranno più comuni nell’Europa del sud.

Comunque, come osservato all’inizio di questo capitolo, queste continuità genetiche e variazioni clinali sono probabilmente influenzate anche dalla selezione in situ, ossia le differenze genetiche che sono continue rispetto a questi clinali preistorici seguitarono probabilmente ad evolvere nella misura in cui le popolazioni miste lungo il clinale tra l’Europa meridionale e quella settentrionale rimasero separate per diverse migliaia di anni. Ad esempio le predisposizioni psicologiche o i caratteri fisici di derivazione genetica in origine più pronunciati in uno dei tre gruppi poterono essere selezionati senza effetti importanti sull’intero autosoma. Dunque, se i tratti che predispongono all’individualismo erano più pronunciati tra i CR e gli IE che tra gli AA (come sembra appunto essere), questi geni poterono diffondersi nella popolazione senza un effetto rilevante sul contributo autosomico generale degli AA. La stessa cosa potè verificarsi per le caratteristiche fisiche, come la pelle chiara, i capelli biondi e gli occhi azzurri, dato che questi tratti possono essere stati più vantaggiosi nelle latitudini settentrionali, come pure aver costituito aspetti selezionati per via sessuale dell’attrazione fisica nel matrimonio individualista (cfr. paragrafo seguente e cap. 3). In ogni caso, un tema dei capitoli seguenti è che vi sono differenze psicologiche collegate all’individualismo che riflettono questa variazione genetica clinale nord-sud.

 

 

 

 

Selezione dell’abilità cognitiva generale e dei tratti fisici.

 

Michael Woodley et al. hanno compiuto degli studi di associazione genome-wide confrontando la frequenza dei geni che sono stati collegati all’abilità cognitiva generale (ACG) nelle popolazioni contemporanee con gli stessi geni degli europei che vissero tra i 4500 e i 1200 anni fa27. I risultati hanno mostrato una selezione per i geni collegati all’ACG nel corso di questo periodo.

Inoltre, come discusso nel cap. 8, malgrado la loro radice proto-indoeuropea, le parole fair e fairness27a compaiono soltanto nelle lingue dell’Europa nordoccidentale, dove originariamente si riferivano solo al comportamento all’interno della tribù. Questo è chiaramente un segno dell’importanza della reputazione morale all’interno del gruppo e suggerisce una selezione di questi tratti nell’Europa nordoccidentale, ma non altrove nelle vaste aree conquistate dagli IE. Questo elemento culturale e la sua base genetica potrebbero dunque essere il risultato dell’assimilazione dei conquistatori IE con i più egualitari CR del nordest dell’Europa. Malgrado le tendenze individualiste tanto degli IE quanto dei CR nordoccidentali, gli IE non si caratterizzano precisamente in quanto egualitari. Essi erano marcatamente gerarchici, e il loro egualitarismo si manifestava soltanto all’interno dell’élite militare aristocratica (cap. 2).

Riguardo ai tratti fisici, il gene del colore chiaro degli occhi apparteneva al 100% ai CR dell’Europa nordoccidentale28. Sebbene i più settentrionali CRS della regione che oggi è la Svezia possedessero il gene della pelle bianca, altri CROc rinvenuti in Spagna e in Lussemburgo non avevano l’allele della pelle chiara, che è praticamente fisso nelle attuali popolazioni europee, mentre i campioni provenienti dagli AA erano omozigoti per questo allele. Questi risultati indicano una selezione negativa per la pelle scura nell’Europa meridionale dopo l’arrivo degli AA29. Il ritrovamento dei geni della pelle chiara in questi resti scheletrici suggerisce che questa mutazione possa essere stata presente in alcune popolazioni di CROc, particolarmente nell’Europa del nord, e cioè nelle popolazioni con le quali più probabilmente i nordeuropei attuali presentano continuità genetica. In effetti un altro studio sui CRS ha osservato come questi possedessero i geni sia degli occhi chiari che dei capelli chiari30.

Riguardo ai proto-IE, i geni della pigmentazione chiara della pelle erano relativamente poco frequenti nei campioni di DNA antico provenienti dalla regione della Steppa Pontica, se confrontati con campioni tratti dai moderni ucraini, cosa che indica una selezione avvenuta man mano che gli IE si espandevano verso nord. I ricercatori hanno attribuito questi risultati a «una combinazione di pressioni selettive associate alla vita nelle latitudini settentrionali, all’adozione di una dieta agricola [vale a dire povera di vitamina D, che aumenta la pressione selettiva in favore di una pigmentazione più chiara] e all’accoppiamento selettivo [cioè preferenza, nell’accoppiamento, per compagni con la pelle chiara] che possono spiegare sufficientemente i cambiamenti osservati dal fenotipo più scuro dell’Eneolitico / Età del Bronzo ad uno in generale più chiaro tra gli europei orientali moderni, sebbene altri fattori selettivi non possano essere esclusi»31.

Come discusso nel cap. 3, il matrimonio individualista comporta in misura assai maggiore l’accoppiamento selettivo sulla base dei tratti del compagno, e ciò a causa della scelta individuale di quest’ultimo. La possibilità di un accoppiamento selettivo implicherebbe che la pelle chiara fosse considerata attraente in un potenziale compagno, così che uomini e donne di elevato valore sessuale avrebbero scelto compagni dalla pelle chiara. Per contro, nelle culture collettiviste i matrimoni avvengono spesso tra parenti e sono combinati dalle famiglie in quanto aspetto delle strategie familiari all’interno di gruppi di parentela estesa. In questo regime (che spesso comporta l’unione tra cugini primi) i matrimoni non riflettono necessariamente le preferenze degli sposi.

Il punto è che per una varietà di ragioni possibili, in Europa, dopo le migrazioni degli AA e degli IE, si verificò una selezione favorevole ad una pigmentazione chiara degli occhi, dei capelli e della pelle. Vi fu pertanto una fissazione della frequenza di un gene associato al colore bianco della pelle tra il Mesolitico e l’Età del Bronzo, un periodo durato più di 3000 anni32. Il gene degli occhi azzurri era già presente nelle popolazioni mesolitiche (come osservato in precedenza) ma è assente tra i proto-IE.

Inoltre, il gene della tolleranza al lattosio può aver avuto origine tra i proto-IE33. Questo gene doveva essere stato molto adattabile in una cultura basata sulla pastorizia e sui latticini come quella Yamnaya. Comunque, questo gene è stato trovato soltanto nel 5% degli europei dell’Età del Bronzo, per quanto il valore più alto si rilevi negli individui della Cultura della Ceramica Cordata (20%) che si ritiene sia derivante  dalla migrazione Yamnaya (il 28% dei resti degli individui di questa cultura presenta quel gene).

Vi è anche un gradiente nord-sud per quanto riguarda la statura, dove gli europei sono più alti al nord. Mathieson et al. rilevano queste differenze nell’Europa neolitica, suggerendo che la statura superiore derivi da un’influenza IE che è più forte al nord ed è associata ad una dieta ricca di latticini; osservano inoltre una selezione favorevole ad una statura più bassa nell’Europa meridionale come adattamento ad una dieta agricola di qualità relativamente inferiore34. Questo gradiente per la statura permane fino all’epoca moderna e riflette un gradiente genetico (e culturale) che ancora esiste in Francia (cfr. cap. 4).

 

Differenze nella mappa genetica dell’Europa contemporanea.

 

Esistono differenze genetiche tra gli europei contemporanei che presentano una evidente distribuzione geografica35. Malgrado il livello generale di variazione genetica in Europa sia basso, gli individui di una stessa area formano tra loro un gruppo, ad esempio anche all’interno delle aree germanofona, francofona e italianofona della Svizzera36. Un’analisi delle componenti principali rivela un’adeguata soluzione a due componenti. Dei due assi, quello che va da nord-nordovest a sud-sudest permette di spiegare il doppio della variabilità (30%) rispetto al secondo (da nord-nordest a sud-sudovest)37.

Nelis et al. hanno anche trovato un gradiente nordovest-sudest in cui la Finlandia rappresenta un’eccezione a nordest e la Svezia il paese più vicino alla Finlandia nell’Europa occidentale38. I risultati sono compatibili con la proposta avanzata nel cap. 4, secondo cui le differenze nella struttura familiare in Europa sono influenzate da un gradiente genetico che va da nord-nordovest a sud-sudest.

Nell’ambito della Scandinavia, Norvegia e Svezia sono chiaramente distinte dalle popolazioni germaniche del continente, mentre la Danimarca rientra in queste popolazioni; la Finlandia è un’eccezione posta più a nord e più a est. Gli autori mettono in guardia sul fatto che i loro risultati possano sottostimare le differenze genetiche tra le aree europee perché alleli relativamente poco comuni non sono sufficientemente campionati. I medesimi risultati sono stati ottenuti da Lao et al.39, che hanno nuovamente trovato due componenti principali correlate alla geografia, la prima delle quali spiega il 31.6% della variabilità, mentre la seconda il 17.3%.

Ancora una volta la Norvegia e la Svezia (ma non la Danimarca) costituiscono gli estremi settentrionali della distribuzione, insieme alla Finlandia (per quanto quest’ultima rappresenti un eccezione). Fatto interessante, visti i dati sulla struttura familiare esaminati nel cap. 4, l’Italia meridionale si colloca all’estremo sud del profilo genetico e si distingue in maniera notevole dall’Italia settentrionale, più germanica (dati rilevati anche da Nelis et al.)40. Lao et al. hanno anche rilevato differenze nord-sud in Spagna e in Germania. D’altro canto, i loro dati relativi alla Francia si basavano su un solo campione proveniente dall’area sudorientale; essi hanno trovato che questo campione era sostanzialmente separato dalle popolazioni germaniche, fornendo così una base genetica al clinale nord-sud relativo alla struttura familiare in Francia, che gioca un ruolo centrale nei dati discussi nel cap. 4.

 

Dati relativi ai cromosomi sessuali.

 

Sulla base del materiale sugli IE presentato nel cap. 2, ci si potrebbe aspettare che le migrazioni IE siano state fortemente sbilanciate in favore degli individui di sesso maschile, e ciò per diverse ragioni. Tra le più importanti, il fatto che una struttura di base della cultura IE era il Männerbund, una banda di guerrieri composta di soli maschi che andava alla ricerca di fama e di fortuna conquistando altri territori. Ora, non vi sono prove che queste culture IE abbiano estirpato i popoli che erano giunte a dominare; esse usavano la loro posizione per ottenere servigi attraverso la riduzione in schiavitù ovvero con un sistema più mite, paragonabile al servaggio medievale. Le donne venivano prese come compagne mentre i maschi erano utilizzati come forza lavoro. Sul lungo periodo divenne possibile una mobilità sociale ascendente per i maschi del gruppo conquistato (p. es. per quelli dotati di talento militare) e le barriere alla mescolanza si fecero gradualmente più deboli, dando come risultato una popolazione mista. Inoltre, le culture delle steppe erano fortemente caratterizzate in termini sessuali, dove la parte maschile dominava in ambiti quali le sepolture, le divinità e la terminologia relativa alla parentela41.

Malgrado queste considerazioni, le prove genetiche di una predominanza di cromosomi Y di origine Yamnaya sono contrastanti. Come osservato in precedenza, circa il 60% dei cromosomi Y derivanti da individui della Cultura della Ceramica Cordata derivano a loro volta dagli Yamnaya, ad indicare che i maschi conquistatori ebbero un relativo successo riproduttivo. Recentemente, Goldberg et al. hanno fornito prove che le migrazioni dalle steppe42 erano fortemente sbilanciate dal punto di vista sessuale, e hanno difeso i loro risultati contro le critiche43. Viste le considerazioni di carattere culturale fatte in precedenza e questi nuovi dati, sono incline ad accettare che la migrazione dalle steppe fosse fortemente sbilanciata in favore degli individui maschi. Inoltre un simile scenario sarebbe altamente compatibile col ritrovamento di alcuni cromosomi Y derivanti da genti che popolavano l’Europa prima della migrazione proveniente dalle steppe, visto che i maschi delle popolazioni conquistate erano utili ai conquistatori come forza lavoro e per altri servizi.

 

Conclusione.

 

Nel cap. 2 discuto la cultura IE in quanto basata sulla conquista militare e sulla dominazione dei popoli conquistati, ma anche in quanto caratterizzata da importanti aspetti dell’individualismo, come quello, ad esempio, di aver creato una cultura di libero mercato nella quale i legami di parentela avevano un’importanza ridotta, mentre i talenti e i risultati individuali erano apprezzati.

Comunque, l’espansione IE in gran parte dell’Asia (le loro conquiste raggiunsero l’odierna Cina occidentale, l’Iran e il subcontinente indiano) non produsse culture individualiste. Similmente, le conquiste dell’antica Macedonia e di Roma in Medio Oriente non ebbero conseguenze durature sull’organizzazione sociale collettivista e basata sulla parentela estesa che rimane tipica di quell’area anche oggi (cfr. cap. 4). Anche la secolare dominazione dell’impero romano (una derivazione della cultura IE, cfr. l’appendice al cap. 2) nell’Europa meridionale non ebbe come risultato l’individualismo, almeno nella stessa misura che nell’Europa nordoccidentale. In effetti, più si risale indietro nel tempo, più la struttura familiare nell’Europa meridionale appare collettivista, e tale modello sopravvive nell’epoca presente (cfr. cap. 4).

Ciò implica che nell’Europa nordoccidentale debbano esserci state tendenze all’individualismo preesistenti alla conquista IE, oppure che nell’ambiente naturale di quella regione vi fosse qualcosa di peculiare che ebbe come risultato l’evoluzione dell’individualismo in quell’area a partire dalla conquista IE, e tuttavia non nelle altre aree  che gli IE conquistarono, cosa che sembra improbabile. Tali tendenze individualiste non appaiono tra gli AA, la cui eredità genetica è assai più forte nel sud dell’Europa che nel nordovest individualista, il che implica che le ricerche debbano focalizzarsi sui CROc (inclusi probabilmente i CRS). Come osservato in precedenza, il contributo della cultura tardo-mesolitica di Ertebølle (una complessa cultura di CR basata su una dieta marina) alla struttura genetica delle popolazioni contemporanee rimane una questione aperta. Lo stesso vale per la cultura che le succedette, quella del Vasellame Bucherellato, e per i CRS in generale.

Tali caratteristiche ambientali atte a promuovere l’individualismo dovevano essere assenti non soltanto dall’Europa meridionale, ma anche da quella orientale, incluse l’Europa nordorientale e la Russia. Anche queste regioni furono conquistate da popolazioni provenienti dalle steppe, ma rimasero più inclini ad una struttura familiare collettivista, malgrado possedessero un clima temperato (cap. 4).

Come discusso nel cap. 3, un possibile aspetto legato all’ambiente può essere stata la capacità dei CR europei nordoccidentali di sviluppare culture complesse basandosi su una ricca dieta marina, che tuttavia richiedeva un ritorno stagionale ai piccoli gruppi su base familiare caratteristici dei CR. Società complesse di CR erano comuni in diversi luoghi: «sono ora disponibili prove abbastanza consistenti di società di CR politicamente complesse che durarono per secoli in diversi continenti»44. Come la cultura di Ertebølle, queste società complesse di CR tendevano a raggrupparsi in aree marine o fluviali ricche di risorse.

Come osservato all’inizio, il clinale genetico qui descritto potrebbe anche essere stato influenzato da una selezione locale successiva ai principali eventi migratori, ossia le differenze genetiche provenienti da questi clinali preistorici possono essersi evolute ulteriormente, nella misura in cui le popolazioni miste del sud e del nord Europa rimasero separate per lunghi periodi. Ad esempio, predisposizioni psicologiche o caratteri fisici di derivazione genetica originariamente più pronunciati in uno dei tre gruppi più importanti possono aver subito una selezione positiva nell’Europa nordoccidentale.

Inoltre la base genetica di tali tratti può aver coinvolto un numero relativamente piccolo di geni, senza effetti rilevanti sulle differenze genetiche tra gruppi nell’autosoma complessivo. Quando i genetisti esaminano le differenze genetiche tra due popolazioni, essi si concentrano non soltanto sui geni adattivi o maladattivi, ma anche su quelli che sul piano adattivo sono neutri. In effetti, una grande percentuale delle mutazioni genetiche umane è adattivamente neutra, o solo leggermente deleteria (secondo le stime di Boyko et al. rispettivamente il 27-29% e il 30-42%)45. Le percentuali autosomiche possono dunque generare stime fuorvianti circa il contributo di un particolare gruppo a particolari tratti. Come osservato in precedenza, vi sono prove di una selezione favorevole alla pigmentazione chiara delle pelle e probabilmente al colore chiaro degli occhi che avrebbe coinvolto assai pochi geni. Questa selezione avrebbe avuto un effetto minimo sulle distanze genetiche complessive tra le popolazioni studiate.

Dunque, se i tratti che predispongono all’individualismo erano più pronunciati tra i CROc e gli IE rispetto agli AA, questi geni avrebbero potuto diffondersi nella popolazione senza un effetto rilevante sul contributo autosomico complessivo degli AA, così che, ad esempio, il contributo autosomico dei CROc al patrimonio genetico degli europei contemporanei potrebbe sottostimare la loro influenza sulle basi genetiche delle predisposizioni psicologiche relative all’individualismo. La stessa cosa sarebbe potuta accadere anche per tratti fisici come la pelle chiara, i capelli biondi e gli occhi azzurri, visto che tali tratti avrebbero potuto essere selezionati per via sessuale quali aspetti dell’attrattività individuale nel matrimonio individualista (cfr. cap. 3). In ogni caso, un tema dei successivi capitoli è che esistono differenze psicologiche relative all’individualismo che riflettono il clinale genetico nord-sud.

A tale riguardo, come discusso nel cap. 3, è interessante il fatto che la popolazione finlandese abbia sviluppato tratti alquanto simili a quelli dei suoi vicini svedesi, pur rimanendo geneticamente distinta da essi (con qualche mescolanza, in particolare nella Finlandia occidentale) e rappresentando in generale un’eccezione rispetto agli europei occidentali, cosa che suggerisce una selezione in situ nel nordovest europeo.

 

In sintesi, le prove attualmente disponibili sono compatibili con la presenza di una popolazione primordiale di CROc a partire da circa 45.000 anni fa. Nell’Europa settentrionale, non più tardi di 8000 anni fa (datazione dei campioni di Motala in Svezia) una parte di questa popolazione si evolse in un gruppo distinto di CRS con pelle bianca e occhi azzurri. Nell’Europa meridionale i CROc aveva pelle scura e occhi chiari. Gli AA provenienti dal levante, con pelle bianca e occhi castani penetrarono in Europa circa 8000 anni fa, eliminando i CROc dalla pelle scura dall’Europa meridionale (con qualche mescolanza) e mescolandosi in misura minore con i CROc e forse i CRS nel nord. In fine, popolazioni dalla pelle bianca e dagli occhi castani provenienti dalle steppe Pontiche emigrarono in Europa attorno al 4500 a. C. sottomettendo militarmente gli altri gruppi già presenti (cap. 2) ma finendo poi per mescolarsi con essi.

Una considerevole rappresentanza genetica dei CROc (e probabilmente dei CRS) permane comunque fino ai nostri giorni. E’ stata già menzionata una ripresa della componente genetica dei CR nella prima Età del Bronzo. La tesi che verrà sviluppata nei capitoli seguenti è che vi sia stata una risorgenza dei CR non dal punto di vista genetico, ma da quello culturale, e cioè che alcune versioni dell’egualitarismo dei CR siano via via diventate dominati a partire dal XVII secolo, con il sorgere del puritanesimo in Inghilterra, e che tale cultura predomini tra gli europei dell’epoca attuale e specialmente nelle società derivate dall’Europa nordoccidentale. I due capitoli seguenti sono dedicati alla descrizione delle culture, tra loro assai diverse, di questi due gruppi individualisti: gli IE aristocratici e i CR egualitari.


Note.

  • Peter FROST, The Hajnal Line and Gene-Culture Coevolution in Northwest Europe, “Advances in Anthropology” 7 (2017): 154-174.
  • Mary Jane WEST-EBERHARD, Developmental Plasticity and Evolution, New York, Oxford University Press, 2003; si veda anche: Peter LA FRENIERE, Kevin MACDONALD, A Post-genomic View of Behavioral Development in Adaptation to the Environment, “Developmental Review” 33, n. 2 (2013): 89-102.
  • WEST-EBERHARD, Developmental Plasticity and Evolution.
  • Gregory COCHRAN, Henry HARPENDING, The 10,000 Year Explosion: How Civilization Accelerated Human Evolution, New York, Basic Books, 2010.
  • Iosif LAZARIDIS et al., Ancient Human Genomes Suggest Three Ancestral Populations for Present-day Europe, “Nature” 513, 409-413 (2014).
  • Eppie JONES et al., Upper Palaeolithic Genomes Reveal Deep Roots of Modern Eurasians, “Nature Communications” 6, November 17, 2015: 1-8, 4.
  • COCHRAN, HARPENDING, The 10,000 Year Explosion, 36-63.
  • Eppie R. JONES et al., Upper Palaeolithic Genomes Reveal Deep Roots of Modern Eurasians. La data della fine del Mesolitico è diversa nelle diverse parti d’Europa perché essa è definita dall’arrivo dell’agricoltura con gli AA, evento verificatosi prima nel sud e successivamente nel nord.
  • Iain MATHIESON et al., Genome-Wide Patterns of Selection in 230 Ancient Europeans, “Nature” 528, 2015: 499-503.
  • Ibid.; si veda anche Morton E. ALLENTOFT et al., Population Genomics of Bronze Age Eurasia, “Nature” 522, June 11, 2015: 167-172.
  • LAZARIDIS et al., Ancient Human Genomes Suggest Three Ancestral Populations for Present-day Europeans; Wolfgang HAAK et al., Massive Migration from the Steppe was a Source for Indo-European Languages in Europe, “Nature” 522, June 11, 2015: 207-211.
  • HAAK et al., Massive Migration from the Steppe was a Source for Indo-European Languages in Europe. [13] JONES et al., Upper Palaeolithic Genomes Reveal Deep Roots of Modern Eurasians; si veda anche: Pontus SKOGLUND et al., Origins and Genetic Legacy of Neolithic Farmers and Hunter-Gatherers in Europe, “Science” 336, April 27, 2010: 466-469.
  • HAAK et al., Massive Migration from the Steppe was a Source for Indo-European Languages in Europe.
  • Ibid., 4.
  • ALLENTOFT et al., Population Genomics of Bronze Age Eurasia.
  • Ibid., 169.
  • Wolfgang HAAK et al., Massive Migration from the Steppe was a Source for Indo-European Languages in Europe, 207.
  • LAZARIDIS et al., Ancient Human Genomes Suggest Three Ancestral Populations for Present-day Europeans.
  • Helena MALMSTRÖM et al., Ancient Mitochondrial DNA from the Northern Fringe of the Neolithic Farming Expansion in Europe Sheds Light on the Dispersion Process, “Philosophical Transactions of the Royal Society”, B 370, January 19, 2015: 11-10.
  • Alissa MITTNIK et al., The Genetic History of the Baltic Sea Region, “Nature Communications” 9. n.

442, January 30, 2018: 1.11.

  • Pontus SKOGLUND et al., Origins and Genetic Legacy of Neolithic Farmers and Hunter-Gatherers in Europe, “Science” 366, 2012: 466-469.
  • Si veda anche DAVIDSKI, On the Modern Genetic Affinities of Ice-Age Europeans, “Eurogenes Blogspot”, May 5, 2016.
  • Pontus SKOGLUND et al., Genomic Diversity and Admixture Differs for Stone-Age Scandinavian Foragers and Farmers, “Science”, 344, n. 6185, May 16, 2014: 747-750.
  • Oscar LAO et al., Correlation between Genetic and Geographic Structure in Europe, “Current Biology”, 18, August 26, 2008: 1241-1248.
  • Natalia KASHUBA et al., Ancient DNA from Mastics Connects Material Culture and Genetics of Mesolithic Hunter-Gatherers in Scandinavia, “Communications Biology, 2, n. 1, 2019.

https:// www.nature.com/articles/s42003-019-0399-1

  • Michael WOODLEY OF MENIE et al., Holocene Selection for Variants Associated with General Cognitive

Ability: Comparing Ancient and Modern Genomes, “Twin Research and Human Genetics”, 20, n. 4, August, 2017: 271-280.

[27a] N.d.T.: l’aggettivo fair significa sia biondo (chiaro di capelli) che giusto, corretto, imparziale; così il sostantivo fairness significa chiarezza, candore (di pelle) come pure correttezza, onestà, equità. Da ciò il collegamento tra caratteri fisici e caratteri morali espresso da tali termini.

  • MATHIESON et al., Genome-Wide Patterns of Selection in 230 Ancient Europeans; LAZARIDIS et al., Ancient Human Genomes Suggest Three Ancestral Populations for Present-day Europeans.
  • LAZARIDIS et al., Ancient Human Genomes Suggest Three Ancestral Populations for Present-day Europeans.
  • MITTNIK et al., The Genetic History of the Baltic Sea Region.
  • Sandre WILDE et al., Direct Evidence for Positive Selection of Skin, Hair and Eye Pigmentation in Europeans during the Last 5,000 Y, “Proceedings of the National Academy of Science” 111, n. 13, April 1, 2014: 4832-4837, 4835.
  • ALLENTOFT et al., Population Genomics of Bronze Age Eurasia. Casidy et al. (2015) hanno scoperto che un campione di tre individui provenienti dall’Irlanda dell’Età del Bronzo possedeva geni collegati agli Yamnaya (ca. 32%) mentre in un agricoltore neolitico irlandese tale influenza genetica non è stata rinvenuta.

Questi individui erano almeno eterozigoti per gli occhi azzurri, sebbene uno di loro avesse occhi marroni. Presumibilmente il gene per gli occhi azzurri derivava dall’influenza dei CR, che rimaneva consistente (ca. 26%). L’individuo appartenente agli AA aveva capelli scuri e occhi marroni; Lara CASSIDY et al., Neolithic and Bronze Age Migration to Ireland and Establishment of the Insular Atlantic Genome, “Proceedings of the National Academy of Science” 113, n. 2, January 16, 2016: 368-373.

  • ALLENTOFT et al., Population Genomics of Bronze Age Eurasia.
  • MATHIESON et al., Genome-Wide Patterns of Selection in 230 Ancient Europeans.
  • John NOVEMBRE et al., Genes Mirror Geography within Europe, “Nature Letters” 456, November 6, 2008: 98-101. Novembre et al. hanno trovato un FST (una misura della distanza genetica) di 0.004, che indica un grado molto basso di separazione genetica.
  • LAO et al., Correlation between Genetic and Geographic Structure in Europe. Lao et al. hanno anche trovato, in generale, una bassa variabilità genetica in Europa, rilevando un clinale nord-sud per la diversità genetica. Si è scoperto che gli europei del nord erano più strettamente imparentati tra loro di quelli del sud. [37] Si veda anche Michael F. SEDLIN et al., European Population Substructure: Clustering of Northern and Southern Populations, “PLOS Genetics”, 2006 (senza nn. di pag.). Sedlin et al. hanno trovato «chiare prove di ampie differenze nella struttura della popolazione tra gli europei del nord e quelli del sud». I campioni provenienti dall’Italia e dalla Spagna formavano un gruppo separato rispetto a quelli di altre popolazioni europee, e cioè dell’Europa occidentale, centrale, orientale e della regione scandinava. Tale contrasto è risultato evidente anche all’interno degli stessi campioni italiani e spagnoli, laddove quelli provenienti dalle zone settentrionali erano più simili a quelli delle regioni nordeuropee rispetto a quelli provenienti dalle zone meridionali (http://journals.plos.org/plosgenetics/article?id=10.1371/journal.pgen.0020143).
  • Mari NELIS et al., Genetic Structure of Europeans: A View from the North-East, “Plos One” 4, n. 5, May, 2009 (senza nn. di pag.; https://journals.plos.org/plosone/ article?id=10.1371/journal.pone.0005472).
  • LAO et al., Correlation between Genetic and Geographic Structure in Europe.
  • NELIS et al., Genetic Structure of Europeans.
  • Amy GOLDBERG et al., Ancient X Chromosomes Reveal Contrasting Sex Bias in Neolithic and Bronze

Age Eurasian Migrations, “Proceedings of the National Academy of Science” 114, n. 10, March 7, 2017:

2657-62.

  • Ibid.
  • Iosif LAZARIDIS, David REICH, Failure to Replicate a Genetic Signal for Sex Bias in the Steppe Migration into Central Europe, “Proceedings of the National Academy of Science” 114 n. 20, May 16, 2017:

E3873-E3874; Amy GOLDBERG, Torsten GÜNTHER, Noah A. ROSENBERG, Mattias JAKOBSSON, Reply to Lazaridis and Reich: Robust Model-based Inference of Male-biased Admisture during Bronze Age Migration from the Pontic-Caspian Steppe, “Proceedings of the National Academy of Science” 114 n. 20, May 16, 2017: E3875-E3877.

  • Jeanne ARNOLD et al., Entrenched Disbelief: Complex Hunter-Gatherers and the Case for Inclusive Cultural Evolutionary Thinking, “Joutnal of Archaeological Method and Theory 23, 2016: 448-499, 449.
  • Adam R. Boyko et al., Assessing the Evolutionary Impact of Amino Acid Mutations in the Human Genome, “PLOS Genetics”, May 30, 2008 (senza nn. di pag.); https:// journals.plos.org/plosgenetics/article?id=10.1371/journal.pgen.1000083.

 

 

 

 

 

 

 

INDIVIDUALISMO E TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE: Capitolo 2, IL RETAGGIO CULTURALE INDOEUROPEO: L’INDIVIDUALISMO ARISTOCRATICO

INDIVIDUALISMO E
TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE.
Origini evolutive, storia e prospettive future.
traduzione italiana di Marco Marchetti

IL RETAGGIO CULTURALE INDOEUROPEO: L’INDIVIDUALISMO ARISTOCRATICO.

Mentre l’uomo faustiano è un Io che, in ultima istanza, trae le proprie conclusioni riguardo all’infinito, e l’uomo apollineo, come un soma tra molti altri, rappresenta solo se stesso, l’uomo mago, col suo essere di tipo spirituale, è solo una parte di un Noi pneumatico che, discendendo dall’alto, è uno e il medesimo in tutti i credenti. Come corpo e anima egli non appartiene soltanto a se stesso, ma qualcos’altro, qualcosa di alieno e di più alto, risiede in lui, facendo di lui, con tutte le sue idee e le sue convinzioni, soltanto un membro di un consenso che, in quanto emanazione di Dio, esclude l’errore,  ma esclude altresì ogni possibilità per l’Ego di affermarsi. La verità è per lui qualcosa di diverso da ciò che è per noi. Tutti i nostri metodi epistemologici, che si basano sul giudizio individuale, sono per lui follia ed infatuazione, e i loro risultati scientifici sono opera del Maligno, che ha confuso ed ingannato lo spirito circa quelli che sono le sue vere disposizioni e i suoi veri scopi.

Oswald SPENGLER, da Il tramonto dell’Occidente1.

 

Muore il bestiame, muoiono i congiunti, ed anche tu morirai. Ma so che una cosa non morirà mai: la fama delle gesta di un defunto.

Proverbio vichingo islandese.

 

Gli indoeuropei (IE) furono dei gruppi di conquistatori fortemente militarizzati che iniziarono ad espandersi a partire dalla regione della Steppa Pontica a nord del Mar Nero fino a dominare l’Europa per almeno 3500 anni, terminando soltanto alla fine del Medioevo nell’Europa occidentale e continuando ad esercitare la loro influenza anche oltre quel periodo. Ciò che intendo dire con questo è che i sistemi sociali creati dagli IE ebbero significativi elementi in comune e rimasero sostanzialmente immutati nel corso di questo lungo arco temporale. Questo capitolo illustrerà gli aspetti fondamentali di tale sistema sociale, qui chiamato individualismo aristocratico per ragioni che saranno più chiare in seguito.

Come osserva Ricardo Duchesne, il retaggio IE è la chiave per comprendere l’anima irrequieta, aggressiva, indagativa, innovativa, “faustiana” dell’Europa. Gli IE furono un «popolo peculiarmente aristocratico dominato da figure emergenti di condottieri per i quali combattere al fine di guadagnare prestigio costituiva un ethos onnipervasivo. Questa culture viene interpretata come “lo stato di natura occidentale” e come la fonte primordiale dell’irrequietezza occidentale»2.

Come osservato nel cap. 1, l’opinione accademica attuale è che gli IE siano originari della dalla regione della Steppa Pontica, a sud della Russia e dell’Ucraina. Nel Vicino Oriente, in Iran e in India questo gruppo conquistatore finì per essere assorbito dalla popolazione locale, sebbene, ad esempio, vi sia qualche indizio che la casta sacerdotale dei brahmini indiani abbia una componente genetica IE maggiore rispetto a quella delle altre caste dell’India settentrionale3. In Europa gli IE soppiantarono le lingue autoctone ma non la popolazione autoctona; in origine almeno, come nelle altre aree da essi conquistate, costituirono élite aliene che dominavano gli europei più antichi.

 

Cultura indoeuropea.

 

L’aspetto nuovo della cultura IE fu che non si basava né su una sovranità centralizzata, né su gruppi di parentela estesa del tipo dei clan, bensì su un’élite aristocratica che era egualitaria al proprio interno. Un aspetto critico è che questa élite non era costituita sulla base dei legami di parentela, come accadeva nelle società basate sui clan, ma in funzione della ricerca della fama e della fortuna, e in particolare della prima. Gli uomini che diventavano capi non erano despoti, ma pari tra gli altri guerrieri, un egualitarismo tra aristocratici. I guerrieri di successo di distinguevano per l’abbigliamento, gli ornamenti, le cinture, ecc., con un’attitudine all’ostentazione. Ciò produceva «un’immagine del mondo vitale, orientata all’azione e lineare»4, vale a dire dinamica e tesa al conseguimento di un crescente prestigio. Il capo era un “primo tra gli eguali”, che comandava in virtù del consenso volontario piuttosto che tramite la forza, e l’essere un capo di successo significava far sì che molti clienti si impegnassero a garantire la loro lealtà.

 

Questi “gruppi di camerati” […] erano particolarmente dediti ad un comportamento predatorio e ad una vita “da lupi” fatta di caccia e di razzie, nonchè a compiere azioni superiori, addirittura sovrumane. I membri di tali gruppi erano in genere uomini giovani e non sposati, assetati di avventure. I seguaci giuravano di non sopravvivere a un capo che fosse stato ucciso in battaglia, come del resto da un capo ci si attendeva che desse, in ogni circostanza, esempio di coraggio e di abilità guerriera. […]. Solo riferendosi ai [guerrieri] aristocratici IE […] si può parlare, in termini hegeliani, di una lotta mortale per il puro prestigio5.

 

Gli IE originari, chiamati proto-indoeuropei (PIE), passarono attraverso un profondo cambiamento culturale da un’economia di caccia e raccolta a un’economia pastorale tra i 7800 e i 7200 anni fa6. I gruppi di CR tendono ad essere egualitari, ma il passaggio alla pastorizia ebbe come risultato l’ineguaglianza sociale. La pastorizia inoltre «richiedeva un’organizzazione sociale flessibile e opportunistica»7, come pure la capacità di procrastinare la gratificazione e di pianificare il futuro: poteva essere praticata soltanto «da persone disposte moralmente ed eticamente a vedere le loro famiglie patire la fame piuttosto che cibarsi del loro bestiame»8.

Comunque, oltre al passaggio all’economia pastorale, un aspetto critico del successo dei PIE veniva dall’aver sviluppato una cultura militarizzata che si dimostrò altamente efficace per dominare altri gruppi. Questa, a sua volta, si basava su altri importanti connotazioni culturali.

 

Progressi tecnologici.

 

L’addomesticazione del cavallo. I cavalli vennero addomesticati all’incirca 6800 anni fa9. A ciò seguì la pratica dell’equitazione, tra i 5700 e i 5000 anni fa10. Tali pratiche culturali resero possibili greggi di pecore e mandrie di bovini assai più ampi, ma costituirono anche un aspetto della militarizzazione, insieme all’invenzione dell’arco che poteva essere utilizzato cavalcando11. I cavalli delle steppe erano più grossi e più forti degli onagri (derivati dagli asini selvatici dell’Asia) che si trovavano nel Medio Oriente ed erano pertanto molto più efficaci per l’impiego militare. Il risultato fu che a partire da 5300 anni fa si ebbe un declino dell’agricoltura in Europa, dato che la terra venne dedicata al pascolo, e un incremento dell’attività bellica.

Carri sofisticati. Insieme all’equitazione, lo sviluppo di carri sofisticati facilitò l’espansione nelle vaste steppe, «vivendo sulle ruote»12. Ciò richiedeva ricchezza, per costruire i carri (per le ruote erano necessarie tecniche di carpenteria altamente sofisticate) e per mantenerli (ci volevano due cavalli, opportunamente addestrati). La società PIE divenne dunque più stratificata, con élite che si distinguevano per il possesso di carri13.

La rivoluzione dei prodotti derivati. I PIE trassero inoltre vantaggio da una “rivoluzione dei prodotti derivati” nella quale gli animali addomesticati non erano utilizzati soltanto per la loro carne (prodotto primario), ma anche per prodotti quali il latte, i formaggi e lo yogurt. Ciò forniva una dieta più nutriente di quella agricola, producendo guerrieri alti e muscolosi. Altri prodotti secondari erano il pellame e l’uso della forza animale per cavalcare, per il trasporto e per il lavoro (trazione dei carri).

 

Pratiche socio-culturali.

 

Se nell’arco di tempo che va dalle prime società IE al Medioevo europeo vi furono indubbiamente importanti cambiamenti tecnologici, molte delle più fondamentali caratteristiche socio-culturali delle società derivate dagli IE rimasero sorprendentemente immutate.

La cultura militarizzata degli IE. I PIE svilupparono una cultura completamente militarizzata. I ragazzi venivano addestrati per la guerra e per le razzie di bestiame. I giovani maschi «dovevano fare delle incursioni, imitando una banda di cani o di lupi, allo scopo di depredare i nemici»14. Tutti i giovani partecipavano a tali incursioni come parte della loro iniziazione al gruppo. L’aggressività di questi gruppi crebbe col crescere della ricchezza e dell’ineguaglianza sociale della cultura nel suo complesso, fattori che ebbero come conseguenza un incremento del prezzo delle spose: i maschi cioè erano costretti ad accumulare risorse sempre maggiori per potersi permettere di pagare la famiglia della futura moglie.

Al centro della società dei PIE era l’istituzione del Männerbund (detta altrimenti korios o comitatus) «la confraternita di guerrieri che un giuramento legava l’uno all’altro e ai loro antenati, nel corso di un’incursione prescritta ritualmente»15. Perciò il Beowulf, per quanto ritenuto ambientato in area germanicoscandinava nel VI secolo d. C., descrive un «ethos aristocratico di cameratismo ed eguaglianza»16.

 

La formazione di bande volontarie di guerrieri tenute insieme da giuramenti, dal cameratismo e da un interesse personale condiviso era una caratteristica fondamentale di tali domini. Era l’epoca in cui lo status sociale e il rango erano ancora pubblicamente definiti in base alle azioni eroiche di ciascuno e al numero di seguaci o clienti che ciascuno poteva permettersi»17.

 

Anche la religione IE aveva un fulcro militare. Tra i gruppi germanici, Odino è il dio dei Männerbünde, il «dio del furore in battaglia»18. I guerrieri presi dal furore della battaglia sono i “brerserker”. Il concetto è collegato a una credenza nel mutamento di forma in cui l’anima si svincola dal corpo e può muoversi esternamente ad esso (come lupo od orso) condizione nella quale può compiere azioni eroiche sovrumane. Snorri Sturluson, il cronista medievale delle saghe norrene, scrive: «Gli uomini di Woden [Odino] andavano senza hauberks [armatura] e si infuriavano come cani o lupi. Essi mordevano i loro scudi ed erano forti come orsi o tori. Uccidevano uomini, ma né il ferro né il fuoco li ferivano. Ciò è chiamato berserkgangr»19. I giovani uomini erano iniziati ai Männerbünde mediante un’impiccagione simulata e venivano loro insegnate le tecniche berserker20.

Il successo militare divenne un fattore critico per la competizione sessuale tra maschi. I maschi di successo erano in grado di permettersi il pagamento di prezzi delle spose che crescevano sempre più. Ciò venne razionalizzato attraverso il mito di Trito, divinità delle razzie di bestiame, con la credenza che il bestiame altrui fosse effettivamente destinato a coloro che compivano gli opportuni sacrifici (e cioè agli stessi IE!)21. La cultura IE era ciò che si può definire “ipermaschile”. Il testo di Lotte Hedeager, Mito dell’Età del Ferro e materialità: archeologia della Scandinavia, 400-1000 d. C., delinea il quadro di una società completamente militarizzata, nella quale la penetrazione sessuale maschile era un segno di potere, mentre l’essere penetrato costituiva, per un maschio, il più grave degli insulti22. Accusare un uomo di essere stato sodomizzato era muovere un’accusa grave, che comportava la stessa pena dell’omicidio. Gli uomini anziani, privi ormai della capacità di penetrare, assumevano lo status delle donne e venivano derisi addirittura dagli schiavi. Le donne erano considerate legittima preda di guerra e di razzia, e in quanto tali solitamente rese schiave.

La citazione che segue, tratta da Hedeager, riguarda proprio questa cultura ipermaschile e completamente militarizzata, che sembra essere stata caratteristica degli IE nell’Europa nordoccidentale almeno a partire dal 2500 a. C. e fino al Medioevo:

 

Nella società scandinava, estremamente competitiva e aggressiva, nella quale le faide avevano luogo ovunque, spesso protraendosi per molti anni e per diverse generazioni […] il concetto di onore ruotava attorno alla reputazione, al rispetto e al prestigio. La vita sociale e la reputazione erano organizzate gerarchicamente in base al dominio e alla sottomissione, al potere e all’impotenza. Al fondo della scala sociale le donne thrall [schiave] erano abitualmente soggette a stupri e barattate come oggetti sessuali. Descrivendo un mercato vichingo sul Volga nel 922, il diplomatico arabo Ibn Fadlan racconta come i vichinghi (i rus scandinavi) avessero abitualmente rapporti sessuali con i loro schiavi, spesso in pubblico e in gruppi di entrambi i sessi. Tale attività aveva luogo sia alla presenza di potenziali acquirenti che delle loro compagne ufficiali, mogli o fidanzate, che sembravano non esserne toccate […] La violenza ai danni di una donna libera, comunque, era una faccenda seria […].

All’interno di questa gerarchia sociale, il potere era esplicitamente connesso a metafore relative alla penetrazione: con la spada, il pene o la lingua. Coloro che penetravano (con le parole, con le armi o con il fallo) erano potenti (“maschi”); coloro che venivano penetrati erano privi di potere (“femmine”). In un contesto sociale, la sessualità forniva un codice simbolico al dominio e alla sottomissione e metteva in chiaro potere e differenze di status […]. L’accusa più grave nell’antica società scandinava ruotava attorno all’“effeminatezza” e alla penetrazione, con l’implicazione che la sessualità e l’antagonismo erano due facce della stessa medaglia23.

 

Analogamente, la parola latina vagina, da cui deriva il vocabolo inglese, significa guaina o fodero, ciò che viene penetrato dalla spada.

La reciprocità come caratteristica della cultura IE. L’individualismo aristocratico dei PIE era basato sulla reciprocità, non sul dispotismo o sui legami di parentela. Ad esempio, nella cultura dei PIE era centrale la pratica del dono come ricompensa per le imprese militari. Ci si aspettava che i condottieri di successo ricompensassero lautamente i loro seguaci24. Contratti che regolavano i rapporti reciproci, vincolati dal giuramento, erano caratteristici dei PIE, e questa pratica continuò con i vari gruppi IE che invasero l’Europa. Questi contratti formavano la base dei rapporti patrono-cliente, a loro volta fondati sulla reputazione: i capi potevano aspettarsi un leale servizio da parte dei loro seguaci, e questi potevano aspettarsi un’equa ricompensa per il servizio prestato al capo. Questo rappresenta un fattore critico, perché tali relazioni erano basate sul talento e sui risultati, non sull’etnicità (vale a dire su ricompense elargite in base alla vicinanza nella parentela) o su un rapporto di subordinazione dispotico (nel quale cioè i seguaci, sostanzialmente, non sono liberi).

I contratti vincolati dal giuramento non erano soltanto tipici dell’egualitarismo aristocratico dei Männerbünde, ma si estendevano ai rapporti di dominio e subordinazione tra le élite militari e i popoli conquistati, fornendo protezione in cambio di servizio. Considerando gli aspetti precedenti, troviamo qui la ricetta delle società di tipo feudale, dominate da élite militari con obblighi reciproci nei confronti delle popolazioni ad esse soggette, dove tuttavia i legami di parentela tra le élite e la popolazione dominata sono relativamente poco importanti.

La demolizione dei vincoli di parentela. La società dei PIE produsse istituzioni che tendevano a demolire i forti legami di parentela. David Anthony, ad esempio, scrive che le pratiche culturali Yamnaya relative alle relazioni di ospitalità portarono a distanziarsi dalla parentela per avvicinarsi alla reciprocità. Tali relazioni reciproche di ospitalità «funzionavano come un ponte tra le unità sociali (tribù, clan) che di norma limitavano tali relazioni ai loro parenti o coresidenti»25. Esistevano quindi dei meccanismi atti a provvedere relazioni di ospitalità a prescindere dalla parentela, in base ai quali ciascuno aveva obblighi reciproci di ospitalità; in un commento che illustra la pervasività e la longevità di tali pratiche, Anthony osserva come ciò fosse «un modo per incorporare individui estranei come persone con diritti e forme di protezione chiaramente definiti, com’era in uso dai tempi dell’Odissea fino all’Europa medievale»26, altro indicatore della persistenza della cultura IE per periodi storici molto lunghi.

Le ricompense per il successo militare. Oltre alle ricompense tangibili per le imprese compiute, i guerrieri di successo venivano onorati nelle composizioni poetiche. I condottieri famosi non solo offrivano banchetti e doni ai loro seguaci, ma venivano celebrati nei poemi, e la loro memoria sopravviveva a lungo dopo la loro morte. I canti che magnificano la generosità dei patroni erano assai caratteristici delle culture IE che si diffusero ampiamente (vedica, celtica, greca e germanica), segno della loro origine nella tarda cultura dei PIE27. Come sottolinea Duchesne, a livello cosciente gli IE praticavano la guerra principalmente per ottenere fama e gloria, «la fama delle azioni di un defunto»28. In ogni caso, ai vincitori rimaneva il bottino, assai concreto, derivante dalle campagne militari vittoriose.

L’indoeuropeismo come cultura individualista e di libero mercato. Per i miei scopi è particolarmente importante osservare come le culture militari create dagli IE fossero permeabili, come cioè fossero basate sulle imprese individuali piuttosto che sui legami di parentela. In effetti, le società IE riconoscevano come la parentela pregiudicasse le percezioni e il giudizio delle persone. Ad esempio, nel Codice Visigoto (642-643 d. C.) i parenti stretti o altri parenti non potevano testimoniare in una causa legale contro uno straniero. In Europa, dove le differenze genetiche tra i conquistatori e i loro sudditi non erano grandi, le barriere tra i gruppi caddero piuttosto rapidamente. Quando i visigoti conquistarono la Spagna, il matrimonio tra goti e romani fu inizialmente proibito. Tuttavia, il Codice Visigoto contemplava il matrimonio tra membri dei due gruppi, demolendo le barriere etniche in modo che gli individui potessero perseguire le loro strategie matrimoniali in base alla percezione del proprio interesse (p. es. strategie individuali o familiari, ovvero attrazione personale) invece di pretendere che i matrimoni avessero luogo all’interno dei gruppi etnici. D’altro canto, la mescolanza tra gli IE e le genti da essi conquistate ebbe conseguenze differenti nel Vicino Oriente, in Iran e in India, probabilmente perché le distanza genetica tra gli IE e le popolazioni locali, in queste aree, era assai maggiore rispetto a quella con gli europei, e perché i popoli conquistati erano geneticamente inclini ad un collettivismo su base parentale. Come risultato, in Oriente le società originariamente dominate da élite indoeuropee finirono per trasformarsi nei tipici dispotismi orientali. Come accadde in Europa, quando queste bande di razziatori  discesero nel Vicino Oriente e in India ebbe luogo una significativa mescolanza con le popolazioni locali. Così gli ittiti si fusero con la locale popolazione hatti in Anatolia, in India gli IE si fusero con la preesistente cultura di Harappa, e analogamente in Iran. In tutte queste aree essi abbandonarono lo stile di vita pastorale per l’agricoltura e svilupparono un governo dispotico avente al suo centro un sovrano che era «il solo personaggio dotato di un’individualità e autore di imprese eroiche»29. Tutti i sudditi e gli stranieri dovevano prosternarsi al suo cospetto, pratica comune praticamente a tutte le «civiltà idrauliche centralizzate» (ossia alle civiltà basate sull’agricoltura sostenuta da opere di irrigazione: Cina, India, Mesopotamia, Egitto, Inca, Aztechi) ma del tutto estranea alle culture IE d’Europa30. Erodoto ci fornisce un passaggio che è un classico sull’argomento. Alcuni inviati di Sparta giunsero a Susa e ottennero udienza dal re Serse. La guardia personale del re ordinò loro di prosternarsi di fronte a lui, ed anzi tentò di costringerli con la forza. Essi rifiutarono, dicendo che «non avrebbero compiuto un atto del genere, nemmeno se fossero stati forzati a piegare il capo; non era infatti loro costume inchinarsi ad un uomo»31. L’esogamia e la monogamia sembrano essere le caratteristiche centrali delle culture IE di derivazione Yamnaya dell’Europa. In effetti, il generale modello culturale delle bande maschili di razziatori alla ricerca di ricchezza e di donne implica che tali relazioni dovessero essere esogame, e, come osservato nel cap. 1, ciò è in accordo con i dati relativi ai cromosomi sessuali. Dunque la cultura della Ceramica Cordata dell’Europa centrale (4900 – 2950 anni fa), di derivazione Yamnaya32 praticava la monogamia, molto probabilmente mediante il rapimento delle donne33. Uno studio condotto su alcune sepolture della Ceramica Cordata di Eulau (attuale Germania) antiche di circa 4600 anni rivela famiglie nucleari i cui membri sono posti l’uno di fronte all’altro, talvolta con le braccia che si toccano, segno evidente dell’importanza dell’affetto reciproco34. Un’ampia percentuale delle donne adulte non era di origine autoctona, aveva avuto una dieta differente durante l’infanzia e mostrava una maggior varietà genetica rispetto ai maschi. E mentre i precedenti gruppi neolitici in quell’area praticavano sepolture collettive (segno di un collettivismo basato sulla parentela), sia gli Yamnaya che la cultura della Ceramica Cordata praticavano sepolture individuali in «piccoli tumuli familiari, riflettenti la trasmissione all’interno delle singole famiglie degli animali e delle altre proprietà attraverso le generazioni. In contrasto con ciò, le sepolture collettive, megalitiche o simili dei gruppi neolitici riflettevano una proprietà collettiva, condivisa dal clan, di cose, animali e terre»35.

Come si è osservato, i capi militari conservavano la loro posizione mediante il successo in guerra e il conferimento di doni ai loro seguaci, i più dotati dei quali ricevevano le ricompense maggiori. Un corollario di questo aspetto è che i seguaci sceglievano i capi di successo e abbandonavano quelli che fallivano. Tale sistema funzionava più o meno come un libero mercato basato sul merito piuttosto che sul nepotismo. Come in tutti i sistemi di libero mercato, il principio fondamentale è quello della reciprocità, sia che essa consista nell’elargire doni commisurati al contributo fornito alle imprese del Männerbund, sia, come nel mondo moderno, che consista nel pagare ai dipendenti uno stipendio proporzionato al valore da essi apportato all’azienda, pena il loro passaggio ad un’altra che proponga un’offerta migliore. E proprio come le aziende moderne competono per ottenere dipendenti capaci, i capi militari IE erano in competizione tra loro per attrarre un seguito di abili guerrieri.

La reciprocità, pertanto, occupa una posizione centrale nelle società basate sull’individualismo. Un altro importante esempio è quello riguardante il matrimonio. Mentre le società basate sulla parentela praticano tipicamente matrimoni combinati, spesso tra parenti (p. es. matrimoni tra cugini primi, comuni nel Medio Oriente) le società individualiste tendono alla libera scelta del compagno basata sull’attrazione personale (p. es. su tratti quali la bellezza fisica o l’intelligenza) e su altri interessi (p. es. economici) che a loro volta si fondano sulle qualità personali del compagno.

Coerentemente con un modello di libero mercato, Anthony collega la diffusione delle lingue IE a una «operazione di franchising» piuttosto che ad un’invasione:

 

La diffusione iniziale dei dialetti PIE fu probabilmente più simile a un’operazione di franchising che ad un’invasione. Almeno alcuni dei condottieri delle steppe devono essersi trasferiti in ciascuna delle nuove regioni, e il loro arrivo deve probabilmente essere stato accompagnato da razzie di bestiame e da violenze. Ma ugualmente importanti per il loro successo finale furono i vantaggi che essi godevano nelle istituzioni (di patronato-clientela e di ospitalità, che incorporavano gli estranei come individui con diritti e protezioni) e forse nelle manifestazioni pubbliche associate ai rituali IE36.

 

Se questo brano ha più di una sfumatura di correttezza politica, poiché minimizza, senza che ve ne sia la necessità, il ruolo della violenza nelle conquiste degli IE, tuttavia esso sottolinea in maniera corretta il fatto che i popoli conquistati dai gruppi IE non vennero sterminati, ma furono piuttosto dominati da élite militari che rimasero permeabili; i rapporti furono basati sulla reciprocità, pur essendo sbilanciati in favore dei conquistatori. Ciò nondimeno, i giovani uomini con talento militare potevano fare carriera e le giovani donne attraenti sul piano fisico e personale potevano impegnarsi nell’antichissimo fenomeno dell’ipergamia femminile (sposare uomini di status elevato).

Esistevano, comunque, dei limiti alla mobilità sociale. In un articolo del 1973 Roger Pearson sostiene che la mobilità sociale fosse soprattutto intergenerazionale, piuttosto che intragenerazionale. «In molti casi, come ad esempio tra i celti, i teutoni, gli indo-ariani e gli iranici, come pure nella Grecia omerica e nella Roma repubblicana, si può dimostrare come il matrimonio fosse prevalentemente endogamico all’interno di queste classi [nobili, cittadini liberi e schiavi] limitando pertanto efficacemente la mobilità sociale intragenerazionale in favore di una struttura di tipo castale»37. Modelli di endogamia “di tipo castale” sono attestati per tutti questi gruppi, dove la prole illegittima assumeva lo status del genitore di rango più basso. Malgrado i modelli “di tipo castale”, esisteva una mobilità sociale intergenerazionale, nel caso cioè in cui gli schiavi potevano diventare liberti, i liberti cittadini liberi e questi ultimi potevano addirittura diventare nobili. Ciò permetteva ai «membri delle caste inferiori dotati di talento» di elevarsi senza produrre grosse perturbazioni nel sistema sociale38. La parentela conservò una certa importanza, col risultato che occorsero diverse generazioni affinchè i nuovi arrivati al potere potessero dare origine ad un forte gruppo parentale. In effetti, Pearson fornisce prove tratte da diverse culture indoeuropee in base alle quali la reputazione di un individuo richiedeva l’appartenenza ad un certo status (p. es. di cittadino libero) da almeno tre generazioni affinchè tale status gli fosse effettivamente riconosciuto. Pearson osserva come ciò sia coerente con un sistema di parentela di tipo omaha, che enfatizza i rapporti verticali (un individuo, suo padre, suo nonno) piuttosto che quelli orizzontali, più tipici delle società claniche39. Coerentemente con ciò, secondo il Codice Visigoto menzionato in precedenza soltanto il discendente di seconda generazione di un liberto poteva testimoniare in tribunale.

Tuttavia, come si vedrà più avanti, i gruppi IE non erano sicuramente di quelli impermeabili in quanto limitati ai membri della parentela: piuttosto, si basavano assai più sui risultati individuali, in particolare per chi era membro di un Männerbund.

In questo senso, i gruppi IE devono essere considerati come fondamentalmente individualisti. Come osserva Hans-Peter Hasenfratz, i confini tra le tre classi sociali nelle antiche società germaniche non erano rigidi. I guerrieri godevano del maggior prestigio sociale ed erano reclutati tra i contadini e tra i figli dei guerrieri. Inoltre, «uno schiavo poteva divenire libero grazie ad azioni coraggiose; un contadino poteva diventare un nobile, e un nobile un re»40.

Non sarà mai abbastanza sottolineato il fatto che al centro della società germanica vi erano i Männerbünde, i gruppi guerrieri maschili, dove i legami sociali tra uomini erano più importanti della classe sociale e trascendevano il gruppo di parentela. Le ricompense per i membri dipendevano dalla competenza in battaglia, e il sesso praticato con le donne catturate era una ricompensa importante. Essere un guerriero significava essere un uomo nel pieno senso della parola. Le funzioni di governo e quelle sacerdotali erano assai strettamente collegate, come nella Roma repubblicana più antica41. I sovrani potevano venire uccisi se si verificavano un’annata sfavorevole o un cattivo raccolto, e a volte i re potevano offrire se stessi come vittime espiatorie, accettando la responsabilità per il destino del gruppo42.

Simili divisioni in classi sociali sono state osservate da altri studiosi. Bente Magnus indica tre differenti classi nella società tradizionale scandinava, i thrall (schiavi, servi) i contadini liberi e il conte43. La proprietà era amministrata dagli individui in nome della loro stirpe, sebbene nell’età vichinga (a cominciare dall’800 d. C. circa) «il potere della stirpe sulla terra fosse diminuito»44. A sostegno della possibilità di una mobilità sociale ascendente in queste società, troviamo schiavi che potevano diventare liberi se lavoravano la terra. Negli insediamenti esisteva di solito una fattoria più grande rispetto a quelle circostanti, «che suggerisce una qualche sorta di dominio»45.

Un altro aspetto individualistico dei Männerbünde che indubbiamente accresceva il loro dinamismo era il fatto che lo status ereditato contava poco. I due terzi circa della ricchezza di un capo venivano seppelliti o bruciati alla sua morte, mentre il rimanente andava ai viventi, così che anche i figli dei capi dovevano dar prova di sé nell’accumulare ricchezza e potere. Secondo una saga islandese menzionata da Hasenfratz, i figli di re e di conti potevano ereditare terreni, ma non denaro. Il denaro veniva sepolto col padre. Ciascun figlio doveva dimostrare quanto valeva in battaglia e nelle scorrerie. «E anche se i figli ereditavano le terre, essi non erano in grado di mantenere il loro status, nella misura in cui l’onore contava qualcosa, se non rischiando la loro vita e quella dei loro uomini in battaglia, guadagnandosi la propria ricchezza e la propria fama e  seguendo in tal modo le orme dei consanguinei»46. Vediamo qui, nuovamente, l’importanza della fama e dell’onore conseguiti attraverso le imprese militari.

Sippe e Männerbünde. Il termine germanico Sippe si riferisce ad un gruppo di individui nati liberi e uniti da legami di sangue; tale concetto non si applica agli schiavi. I matrimoni avvenivano all’interno della Sippe, e la unioni endogamiche erano comuni. Le saghe descrivono perfino matrimoni tra fratello e sorella, e ad un gruppo di divinità, i Vanir, era consentito di sposarsi tra fratelli.

Ciò suggerisce una società fortemente basata sui rapporti parentali. Esistevano tuttavia dei modi per ridurre l’importanza della parentela. I figli venivano spesso affidati a famiglie di rango superiore, creando così dei legami non basati sulla parentela. Accogliere ospiti per una durata di tempo fino a tre notti era un’usanza diffusa, e talvolta si procurava al visitatore una moglie o un’altra donna. Anche la pratica del dono cementava i legami sociali, obbligando chi riceveva a dare più di quanto aveva ricevuto. Si può osservare talvolta un senso di parentela non biologico: in una saga un uomo ne uccide un altro ed è quindi costretto a sposare la sorella del deceduto e a dare al figlio [da lei avuto] il nome dell’ucciso47!

La più importante di queste forze capaci di ridurre l’importanza della parentela era lo stesso Männerbund, perché era trasversale alla Sippe ed era basato non sui legami di parentela, ma su legami territoriali tra uomini della stessa età. Il Männerbund era superiore alla Sippe nel senso che era detentore di una “giustizia censoria” nel caso in cui il familismo della Sippe sfuggiva al controllo48. (Il Männerbund fu assunto dal nazionalsocialismo quale forma sociale ideale, che sostituiva la famiglia e si basava sull’onore e sul dovere)49.

Vi erano inoltre delle istituzioni che trascendevano la Sippe, nate come convocazioni religiose e poi evolutesi nell’Althing, un luogo sacro in cui le dispute tra le Sippe venivano appianate, i wergild [guidrigildi] venivano pagati, ecc. Si verificavano anche matrimoni all’esterno della Sippe, che talvolta portavano a conflitti con la Sippe della moglie dato che i fratelli di costei si sentivano in obbligo di proteggerla. Conflitti di questa natura possono essere stati una delle ragioni che resero attraente il cristianesimo agli occhi degli antichi popoli germanici, dato che questa religione relativizzava l’importanza degli obblighi di parentela50.

Le punizioni pubbliche erano inflitte da «una comunità legale che trascendeva la sib [Sippe]» (l’Althing in Islanda) che gestiva le proscrizioni, le esecuzioni51 e le richieste di wergild. I Männerbünde comminavano anch’essi punizioni che trascendevano la Sippe e che potevano talvolta degenerare in terrorismo.

Per quanto dunque elemento di indubbia importanza, la Sippe basata sulla parentela era subordinata ad istituzioni di livello superiore non basate sulle relazioni parentali. Suggerendo anch’egli un’importanza relativa della Sippe, David Herlihy osserva come tra le tribù germaniche la Sippe «si incontri raramente nelle fonti più antiche»52. In breve, «la Sippe germanica […] cominciò ad indebolirsi e a perdere funzioni e visibilità sul Continente già all’inizio del Medioevo», mentre al contrario l’Irlanda «rimase ancora a lungo legata alle sue istituzioni arcaiche»53 (cfr. cap. 4).

 

L’individualismo aristocratico nell’antica Grecia.

 

Il carattere di libero mercato della società IE non è coerente con l’idea di un governo dispotico. Se infatti gli individui sono liberi di scegliere i loro capi e di abbandonare quelli che si dimostrano inetti o non li ricompensano adeguatamente con doni generosi, non possono sorgere sovrani dispotici. Il dispotismo implica che gli altri non abbiano la libertà di perseguire i loro interessi. Vi è una grande differenza tra essere primo tra gli eguali ed essere un despota.

Le descrizioni della cultura greca del periodo miceneo (1600-1100 a. C.) fatte tanto da Omero quanto da Duchesne sono in linea con l’ipotesi dell’egualitarismo aristocratico. Gli aristocratici sono guerrieri che compiono azioni eroiche per procurarsi una fama immortale54. Il [loro] governo non è dispotico, ma al contrario implica ampie discussioni e dibattiti sul da farsi. I sovrani agivano dopo essersi consultati con gli altri aristocratici. Per Achille e gli altri eroi greci il fato era una scelta, spesso tragica. «Vi è inoltre uno spirito di esagerata fiducia nella capacità umana di lottare, nei momenti di paura e di dubbio, contro gli ostacoli più difficili»55. «Gli dei parlano come se si rivolgessero a loro pari, “con cortesia cavalleresca”, offrendo il loro consiglio, dicendo [agli eroi] come sia meglio seguire gli dei, se lo desiderano, mentre gli eroi comunicano con gli dei e rispondono senza perdere la loro libertà e il loro onore»56.

Sorprendentemente, Ippocrate (460-370 a. C.) il fondatore della medicina, considerava i greci sostanzialmente differenti dai persiani in base ad un’ottica notevolmente coerente con la tesi di Duchesne: «Gli europei […] erano indipendenti, disposti ad assumersi dei rischi, aggressivi e bellicosi, mentre gli asiatici erano pacifici al punto di essere privi di iniziativa, “non padroni di se stessi […] ma dominati da despoti”»57, un altro modo per dire che la loro partecipazione alla guerra era imposta, non volontaria.

Gli eroi IE, nell’antica Grecia e altrove, erano, prima di ogni altra cosa, degli individui, uomini che si distinguevano dagli altri per le loro imprese compiute alla ricerca della fama personale, come mostrano questi versi del Beowulf:

 

Poiché tutti dobbiamo aspettarci di lasciare / la nostra vita su questa terra, dobbiamo guadagnarci una qualche fama / se possiamo, prima di morire; l’audacia è la cosa / per la quale un combattente viene ricordato. / […] Un uomo deve agire così / quando intende costruirsi in battaglia / una gloria che duri a lungo; non è la vita ciò a cui pensa58.

 

Inoltre, come nel caso delle culture militari di libero mercato basate sulla scelta volontaria del capo, le culture urbane occidentali dell’antichità mantennero un approccio liberista verso altri ambiti della cultura, in particolare riguardo ai sistemi di credenza (ideologie) e alla scienza. Perciò, nella Grecia classica (vale a dire dopo il periodo omerico)

 

la base fondamentale della vita civile e culturale greca era l’ethos aristocratico dell’individualismo e della competizione che pervadeva la cultura [indoeuropea]. La letteratura ionica era distante dal mondo dei berserkers, e tuttavia era altrettanto fortemente competitiva. Le nuove opere drammaturgiche, filosofiche e musicali erano proposte in prima persona, come in una gara sportiva per la ricerca della verità […] Nella Grecia aristocratica non esistevano “Possessori della Via”; non c’erano saggi cinesi decorosamente deferenti verso i loro superiori e pretendenti un’adeguata deferenza dai loro subordinati. La ricerca della verità era aperta a tutti, e ciascun filosofo competeva per il prestigio intellettuale con un tono polemico, col quale cercava di screditare le teorie altrui e di promuovere le proprie59.

 

Ciò sottolinea la natura individualista delle imprese scientifiche. I movimenti scientifici sono gruppi altamente permeabili i cui membri sono pronti alla defezione qualora trovino una teoria migliore o i nuovi dati emersi non incontrino una spiegazione: un sistema liberista delle idee. D’altro canto, La Cultura della Critica sottolinea il contrasto tra la tradizione individualista della scienza occidentale e diversi movimenti intellettuali del XX secolo composti da seguaci servili gravitanti attorno a leader carismatici che esponevano dogmi preclusi a qualsiasi smentita empirica60. Gli individui convinti dal proprio giudizio ad adottare teorie differenti o a rifiutare dogmi fondamentali (come p. es. il complesso di Edipo freudiano) venivano semplicemente espulsi, solitamente con una grandine di invettive; il dissenso non era tollerato. Tali movimenti somigliavano molto più a gruppi autoritari ruotanti attorno a un despota che a ricercatori della verità individualisti.

Nonostante il loro individualismo, gli antichi greci mostrarono anche una tendenza ad un atteggiamento esclusivo (etnocentrico) maggiore rispetto ai romani61 o ai gruppi germanici che divennero dominanti in Europa dopo la caduta dell’Impero d’Occidente (si veda più avanti). Oltre ad un senso di appartenenza ad una più ampia cultura greca, i greci avevano un forte senso dell’appartenenza ad una particolare città-stato, e questo sentimento si radicava in un senso di etnicità comune profondamente intrecciato con i comportamenti religiosi. A differenza dei romani e malgrado la lingua e la cultura comuni, i greci «non superarono mai la natura esclusiva delle loro istituzioni per formare un’unione duratura»62.

La polis fu dunque sia esclusiva (al servizio dei soli cittadini, tipicamente definiti in base al sangue) che comunitaria (aderente a un ideale di cittadino-soldato in base al quale ci si attendeva che tutti si sacrificassero per la comunità). La città-stato significava, per il greci, il popolo (si definivano sempre come “gli ateniesi” o “gli spartani”) i loro antenati e i loro dei: «ciò spiega il patriottismo degli antichi, un sentimento vigoroso che fu per loro la virtù suprema, nella quale tutte le altre culminavano»63; «la pietà degli antichi era amore per il paese»64. Così si esprime Guillaume Durocher:

 

Già da un’epoca piuttosto antica la democrazia ateniese si tinse di ciò che Susan Lape chiama un’«ideologia razziale»65. Mentre Erodoto aveva affermato che la popolazione ateniese era il prodotto di una mescolanza tra i coloni ellenici e gli autoctoni pelasgi, gli ateniesi sostenevano di essere razzialmente puri, in contrapposizione agli altri greci, essendo nati direttamente dal suolo attico come veri autoctoni66.

 

Similmente, Sparta era essenzialmente uno stato etnico, dove gli spartiati fortemente xenofobi dominavano una popolazione conquistata e resa schiava, gli iloti, dalla quale si mantennero separati, senza matrimoni misti, per centinaia di anni67.

Pertanto il patriottismo greco, basato sulle credenze religiose e sul senso del legame di sangue, era in pratica fortemente centrato sulla singola città, facendo di tali aspetti l’interesse supremo, con scarsa considerazione per questioni  imperiali, per alleati o in generale per gli altri greci.

 

L’individualismo aristocratico tra i popoli germanici dopo la caduta dell’Impero d’Occidente.

 

Quando l’Impero Romano occidentale decadde, l’Occidente ricevette un nuovo afflusso di sangue vitale dal ramo germanico degli IE.

 

Furono il vigore, l’audacia e il desiderio di conquista delle bande guerriere germaniche che tennero in vita l’Occidente. Questi uomini erano rozzi e illetterati, molto inclini ad attaccare briga, ma apportarono energia, audacia e di fatto un amore per la libertà sincero e privo di complicazioni, un intenso sentimento dell’onore e un’irrequieta passione per la battaglia, per l’avventura e per la vita68.

 

Anche durante quello che si ritiene essere stato il punto più basso della libertà e della democrazia occidentali, il periodo medievale, la reciprocità, elemento fondamentale della cultura IE, rimase visibile: «Il principio aristocratico della sovranità mediante il consenso fu il tratto caratteristico del governo feudale. Il re non  era al di sopra dell’aristocrazia; egli era il primo tra i pari»69. La società medievale era una «società di proprietà fondiarie»: «regni, baronie, diocesi, comuni, gilde, università, ciascuna con importanti doveri e privilegi»70. Dunque, per quanto indiscutibilmente gerarchiche e addirittura basate sullo sfruttamento, le società medievali europee avevano una forte consapevolezza del fatto che le culture dovessero costruire un senso di coesione sociale sulla base della reciprocità, così che, con l’eccezione degli schiavi, la maggior parte dei membri, anche quelli più umili, prossimi al fondo della gerarchia sociale, avesse la sua parte nel sistema. E’ possibile concettualizzare tutto ciò come un’estensione della filosofia del Männerbund, dove ciascuno partecipava al successo del gruppo. L’ideale (e la notevole realtà) è quella che lo storico spagnolo Américo Castro ha definito «armonia gerarchica»71.

Il Codice Visigoto, in Spagna, illustra il desiderio di un governo non dispotico e di una coesione sociale risultante dal tenere in conto gli interessi di tutti (con l’eccezione degli schiavi). Quanto al dispotismo:

 

Si richiede che [il re] compia una diligente indagine circa la fondatezza delle proprie opinioni. Allora sarà evidente che egli avrà agito non per interesse privato, ma a beneficio del popolo; così che possa definitivamente apparire come la legge non sia stata fatta per un qualche vantaggio privato o personale, ma per la protezione e il profitto dell’intero corpo dei cittadini (Titolo I, II)72.

 

E proprio come i Männerbünde avevano un livello assai elevato di coesione sociale quale risultato del doni elargiti dai capi, così che ciascuno riceveva la propria parte della vittoria militare, la coesione sociale, nella società gotica, era vista come risultante dalla giustizia per tutti i cittadini e come motivazione per il popolo a «battersi contro il nemico». Nelle società individualiste i cittadini vedono il proprio interesse di “azionisti” coincidere con l’interesse del sistema nel suo insieme. Il re saggio crea coesione non mediante la coercizione, ma facendo in modo che ciascuno abbia la sua parte nel sistema:

 

Le leggi giuste sono essenziali alla coesione sociale di fronte ai nemici. Senza giustizia, il popolo non si batterà contro di loro. Non è questione di un astratto ideale morale, bensì di una necessità pratica […].

Perché l’amministrazione della legge è regolata dalla disposizione e dal carattere del re; dall’amministrazione della legge procede l’istituto della morale, dall’istituto della morale la concordia dei cittadini; dalla concordia dei cittadini il trionfo sul nemico. Pertanto un buon principe che governa bene il proprio regno, che compie conquiste mantenendo la pace in patria, che soverchia gli avversari stranieri diviene famoso sia come governante del suo stato, sia come vincitore dei suoi nemici, e avrà fama eterna in futuro; dopo la ricchezza terrena, avrà un regno celeste, dopo il diadema e la porpora, una corona di gloria, né cesserà di essere re; perché quando avrà lasciato il suo regno su questa terra e ne avrà conquistato uno in cielo, non vedrà diminuita, bensì  accresciuta la sua gloria (Titolo II, IV)73.

 

La principale eccezione era costituita dal fatto che agli schiavi non erano riconosciuti i diritti associati alla condizione di cittadini liberi. Ad esempio, non era loro permesso di servire nell’esercito, composto da cittadini liberi che avevano la loro parte nel sistema; le preoccupazioni riguardo alla coesione sociale non riguardavano gli schiavi.

L’assenza di dispotismo e la fondamentale reciprocità che stavano al centro della cultura IE si possono osservare nel codice di leggi descritto nella Saga di Njal, che fu scritta nel tardo XIII secolo e che racconta una vicenda che ebbe luogo nell’Islanda precristiana tra il 960 e il 102074. Il sistema giuridico islandese era basato su quello dei paesi nordici, dato che gli scandinavi avevano colonizzato l’Islanda; esso riflette chiaramente una mentalità individualista. In questa saga Njal, un avvocato, tenta di mediare, arbitrare e portare in tribunale alcune controversie tra islandesi, e il lettore viene così introdotto al sistema giuridico comunemente diffuso nell’Europa scandinava mille anni fa:

 

  • modesti contadini potevano far causa anche a potenti signori feudali e avere la possibilità di presentare le loro ragioni davanti a un tribunale;
  • venivano impiegati ufficiali giudiziari per convocare gli imputati in tribunale, dichiarando a voce le rivendicazioni fatte nei loro confronti; e gli imputati accettavano la notifica ripetendo quanto dichiarato parola per parola;
  • i casi venivano giudicati da tribunali distrettuali, e se una delle parti non accettava il verdetto poteva appellarsi all’Althing (un tribunale superiore) per un riesame del processo;
  • un tribunale aveva giurisdizione personale su un imputato soltanto se questo aveva compiuto le proprie azioni entro quella giurisdizione, o aveva prestato omaggio al suo godi, o signore feudale;
  • i giurati avevano una funzione inquirente, e le parti potevano esercitare obiezioni perentorie onde esonerare dal processo un certo numero di potenziali giurati per una qualsiasi ragione o anche senza motivazione;
  • gli avvocati potevano rappresentare le parti interessate nelle udienze e potevano chiamare dei testimoni a deporre o per essere interrogati; le azioni legali potevano essere assegnate a terze parti, che potevano portare la causa in tribunale per conto loro;
  • esisteva un sistema di diritto successorio in base al quale i possedimenti di un individuo deceduto venivano distribuiti tra i suoi eredi in modo equo; un sostitutivo detto “Jon” era utilizzato dagli avvocati scandinavi in maniera analoga all’uso che gli odierni avvocati fanno del “John Doe” per indicare le parti non identificate;
  • sia i mariti che le mogli potevano intentare una causa di divorzio, fatto che sta ad indicare una relativa parità tra i sessi in paragone alle culture del Medio Oriente;
  • un “declamatore della legge” eletto esponeva le leggi recitandole pubblicamente;
  • infine, esisteva un corpo relativamente ben compreso di leggi, diritti, procedure legali e pene specifiche per i crimini.

 

Qual era il grado di omogeneità etnica dei gruppi germanici nell’Europa della Tarda Antichità e dell’Alto Medioevo?

 

L’opinione accademica corrente tende a sminuire l’omogeneità etnica dei vari gruppi germanici che succedettero all’Impero Romano in Europa. Si tratta in parte di “correttezza politica” (una versione estrema della quale si trova ne Il Mito delle Nazioni di Patrick J. Geary, esplicitamente inteso a razionalizzare l’attuale fenomeno migratorio in Europa, giunto a livelli di deportazione75). Ciò nondimeno, posto il modello di base della conquista IE e della sottomissione delle popolazioni locali da parte di gruppi militari maschili sopra descritto, non sarebbe affatto sorprendente trovare che questi gruppi non erano etnicamente omogenei, almeno in origine. Comunque, date le tendenze degli IE all’assimilazione e le prospettive di mobilità ascendente dipendenti dai risultati personali, unitamente al fatto che le conquiste originarie furono completate intorno a 4500 anni fa, vi sarebbe stato tempo sufficiente per creare gruppi etnici significativamente omogenei anche in culture originariamente dominate da élite estranee.

I Goti, di Peter Heather, è un testo insolito, in quanto tenta di dare una risposta alla questione fondamentale dell’omogeneità etnica dei vari gruppi interni e vicini all’Impero Romano nei primi secoli dell’era cristiana76. E’ attualmente un atteggiamento più o meno universale, tra gli studiosi, quello di rigettare l’idea che gruppi come i goti fossero etnicamente omogenei così come li rappresenta, ad esempio, Tacito. Un gruppo etnico in senso stretto sarebbe unito per il fatto di avere antenati comuni e di essere originario di un particolare territorio.

Heather respinge una teoria dell’etnicità meramente strumentale come quella di Frederick Barth77, in cui le persone possono facilmente cambiare la loro appartenenza etnica e sceglierla liberamente; in quest’ottica le barriere etniche sono costruite socialmente piuttosto che fondate su legami vincolanti di parentela biologica. Questa prospettiva generale si combina, tipicamente, con l’idea che le élite spesso promuovano ideologie di etnicità «per creare un senso di solidarietà nelle popolazioni subordinate e legate ad esse»78.

All’estremo opposto dello spettro teorico, i primordialisti sottolineano che l’etnicità non si può cambiare facilmente, né è tipicamente considerata intercambiabile. Heather assume una posizione intermedia, per la quale le differenti teorie dell’etnicità si devono confrontare con le situazioni particolari, e soltanto la ricerca empirica può rispondere alla domanda su quale prospettiva meglio si adatti ad una particolare situazione; un punto di vista che trovo alquanto sensato, ma che, al di là del lavoro di Heather, viene raramente applicato. La visione tradizionale è quella secondo cui i goti erano originari della Scandinavia, si espansero a sud verso la Polonia e il Baltico e si divisero in due gruppi separati, gli ostrogoti e i visigoti, governati da due famiglie reali, rispettivamente i Balthi e gli Amals. Heather suggerisce che i dati sono compatibili col fatto che un numero ridotto di clan aristocratici goti sia migrato dalla Scandinavia alla Polonia settentrionale79. Ma poiché la cosa resta dubbia, egli fa cominciare la storia gotica con un gruppo insediato presso la Vistola, nella Polonia del nord, nel I secolo d. C. In un commento che descrive le migrazioni dei Männerbünde IE, egli osserva che «una serie di gruppi armati lasciò la Polonia settentrionale per ritagliarsi nuove nicchie ad est e a sudest dei Carpazi […] Almeno una parte di questo movimento fu portato avanti da bande di guerrieri: gruppi di giovani uomini in cerca di bottino […]. Tacito segnala che la banda di guerrieri era una caratteristica tipica della società germanica del primo secolo ed era ancora comune nel quinto»80.

Malgrado il ruolo centrale dei Männerbünde, Heather ritiene, sulla base dei reperti archeologici, che dell’ondata migratoria facessero parte anche donne e bambini81. Inoltre questi gruppi rappresentavano un esempio dell’egualitarismo aristocratico che abbiamo descritto in precedenza:

 

Processi di differenziazione sociale avevano creato tra i goti, verso il IV secolo, una potente élite politica composta da una classe di uomini liberi tra i quali esistevano già sostanziali differenze di ricchezza. Queste potevano essere abbastanza ampie e rigide da permetterci di considerare i più cospicui tra quegli uomini liberi almeno come una quasi-aristocrazia. Controllare tali uomini era tutt’altro che facile. Le fonti migliori ritraggono i capi goti del IV secolo impegnati a “sollecitare” e a “persuadere” i loro seguaci, piuttosto che a dare loro semplicemente degli ordini, e i consigli dei capi potevano essere respinti82.

 

Verso il IV secolo, quindi, esisteva nelle società germaniche, e in particolare tra i goti, «un’élite ben radicata»83. Possiamo vedere il tipico modello IE: scrivendo nel I secolo d. C., Tacito osservava come i capi avessero un «seguito di giovani uomini in età militare»84, ossia eserciti privati; il principale organo esecutivo era, comunque, pubblico: il comitatus, composto da maschi adulti e con funzioni militari, giudiziarie e politiche. Col IV secolo, Heather suggerisce un cambiamento in direzione di eserciti dominati da condottieri con un grande potere sociale, piuttosto che dal comitatus85.

Importante è l’affermazione di Heather secondo la quale la classe politicamente significativa tra i goti del V secolo «ammontava ad almeno un quinto (e forse anche di più) dell’intera popolazione maschile composta di 25.000-30.000 individui»86. Questo gruppo è probabilmente quello degli uomini liberi cui fanno riferimento i codici di leggi germanici altomedievali. Non si tratta di una piccola cerchia interna, ma di un gruppo piuttosto consistente: «Il potere non era appannaggio esclusivo di un gruppo assai ristretto di famiglie»87. Coerentemente con molti altri dati esaminati in precedenza, in un’ampia serie di gruppi germanici erano presenti tre classi generiche: i liberi, i liberti o semiliberi e gli schiavi88. «Tali gruppi erano, almeno in teoria, separati tra loro tramite severe leggi che proibivano i matrimoni misti, e le classi non libere erano considerevolmente svantaggiate. Caratteristico è il fatto che i loro membri ricevessero punizioni più severe a parità di crimine e che fossero privi di autonomia legale»89.

Esaminando l’influente punto di vista secondo il quale l’identità di gruppo era impersonata da un «gruppo molto ristretto di clan aristocratici dominanti»90, Heather concorda sul fatto che le cose stessero così nei secoli VI e VII, ma esprime dubbi riguardo al IV secolo, che egli caratterizza come dominato da «un’élite che rimaneva relativamente numerosa: un’ampia casta sociale di nobili emergenti e di uomini liberi, piuttosto che una classe aristocratica assai ristretta»91, stimando il numero dei goti “pienamente emancipati” tra 5000 e 10.000 per ciascuna generazione92. Questa classe pienamente emancipata aveva una parte assai più consistente nel sistema: nella guerra con Bisanzio (535-554 d. C.) i goti ricevettero poco aiuto dai romani, e quelli tra loro che non appartenevano alle élite si arresero. Per contro, la determinazione delle élite si indebolì soltanto quando le loro donne e i loro bambini vennero catturati.

Ciò suggerisce che nella misura in cui si procede verso il Medioevo i gruppi vennero ad essere sempre più dominati da ristrette élite simili a clan che esercitavano il loro potere su coloro che non erano considerati parte del clan; ci troviamo cioè di fronte ad élite costituite su base familiare che tendevano allo sfruttamento, perchè non si percepivano legate al resto della popolazione. Pertanto, nella Spagna visigota del VII secolo l’élite a base ampia venne sostituita da una «nobiltà dominante con diritti profondamente radicati»93. Processi paralleli si verificarono in tutti gli stati che succedettero all’Impero Romano d’Occidente: «Verso la fine del VII secolo i “franchi” della Neustria erano un gruppo formato all’incirca da una mezza dozzina di clan collegati tra loro»94.

Dunque, nelle società emergenti del Medioevo le élite dominanti sembrano avere agito come clan in contrapposizione al resto della società, privo di un’identità propria. «E’ anche possibile che la divisione della società gotica in caste distinte fosse essa stessa il risultato dei processi di migrazione e di conquista […] Gli immigrati conquistatori, ad esempio, potrebbero essersi trasformati in una casta d’élite di uomini liberi trasformando le popolazioni indigene conquistate, o alcuni elementi di esse, in subordinati, schiavi o liberti che fossero»95.

Ciò contrasta con la situazione creatasi quando gli unni, una popolazione asiatica, dominarono i goti. Le popolazioni non unne rimasero separate e subordinate, continuando a mantenere la loro identità di gruppo, probabilmente per via della differenza genetica e culturale tra unni e germani e per la tendenza relativamente inferiore degli unni all’assimilazione, in quanto popolazione non europea.

Heather perciò avanza l’ipotesi che essere un goto nel IV secolo fosse un’opzione aperta a chiunque ne accettasse le regole. I goti erano più simili a un esercito che a un popolo; un punto di vista comune tra gli storici è che questi gruppi tendessero ad essere prevalentemente (ma non esclusivamente) maschili, ma che «fossero composti da un’ampia mescolanza di elementi etnici, non solamente da goti»96. Riferendosi a testimonianze secondo le quali in tali gruppi erano presenti donne e bambini, Heather osserva che «queste testimonianze rendono assai difficile non vedere il seguito di Teoderico [re dei goti] come un gruppo sociale a base allargata impegnato in una migrazione su vasta scala, più o meno del tipo che tradizionalmente ci si immagina»97.

Pertanto, i regni goti del IV secolo

 

erano già multietnici […]. Essi probabilmente consistevano in una élite immigrata che ne definiva la natura, composta di quasi-nobili e di uomini liberi che erano i principali portatori della “goticità”. Questi immigrati coesistevano, comunque, con tutta una serie di subordinati, e i confini tra i gruppi erano soggetti a fluttuazioni […] Il fatto che la sopravvivenza e il profitto rispetto al potere romano fornissero un forte impulso alla creazione di nuovi supergruppi depone in parte a sfavore dell’importanza di una preesistente etnicità gotica. Ciò che veramente importava era l’appartenenza ad un ampio gruppo, non la sua composizione. Potremmo dunque aspettarci che l’esperienza condivisa del periodo delle migrazioni abbia prodotto un certo grado di omogeneizzazione, vale a dire l’assorbimento di subordinati nell’élite. I gruppi avevano bisogno di restare uniti per sopravvivere98.

Ritengo probabile […] che vi fosse un substrato di identità gotica comune agli individui goti del IV secolo che godevano dello status decisivo di uomini liberi. Esso venne tuttavia sommerso da altri strati di identità di tipo più particolare e distinto (tervingi, greuthungi, ecc.). Solo quando gli unni e i romani ebbero distrutto questi strati esterni che si interponevano tra loro, un senso più generale della goticità (col concorso di circostanze di pericolo e di opportunità) potè essere utilizzato per creare i nuovi supergruppi. Anche così, la goticità non fu un concetto a tal punto esclusivo che nuovi aspiranti membri venissero respinti. La “goticità” dei nuovi supergruppi fu pertanto una complessa mescolanza di status sociali rivendicati e riconosciuti, di somiglianze preesistenti e di preponderante pressione delle circostanze99.

 

Data la disponibilità delle società gotiche ad assorbire gruppi differenti, non sorprende che i goti si assimilassero all’originaria aristocrazia terriera romana. Dapprima i romani si volsero alle occupazioni ecclesiastiche, si rifugiarono nelle biblioteche o prestarono servizio “in massa” nell’esercito goto. Ebbero inizio i matrimoni misti con i goti, col risultato di un’assimilazione generale.

In Italia, ad esempio, l’assimilazione fu diffusa. L’Italia ostrogota era molto romana: re Teoderico (454-526) restò affascinato dalla cultura romana e considerò il proprio regno come la continuazione dell’Impero Romano100. La sua famiglia perseguì alleanze matrimoniali con altre élite (vandale, visigote, burgunde) dando in spose parenti femmine. Heather sostiene che nella Spagna visigota, verso il 700 d. C., «la classe dei proprietari terrieri della penisola (un miscuglio di goti immigrati e di romani indigeni) aveva tracciato, tramite la guerra e il matrimonio, la propria strada verso l’unità e la sintesi, sotto la bandiera dell’interesse goto»101.

Come già osservato in precedenza, a prevalere fu il principio del risultato individuale, piuttosto che i legami di parentela: quando Teoderico morì, i goti sostituirono il suo successore con una persona che non era suo parente, visto che il nipote del defunto, Teodato, era un capo mediocre. «Il nuovo re, Vitige, fece osservare che egli apparteneva alla dinastia di Teoderico non per sangue, ma perché le sue azioni erano di analoga levatura»102.

Com’era tipico delle società indoeuropee, per i seguaci il fattore determinante non era la parentela, ma il fatto che sarebbero stati ricompensati col bottino delle conquiste, cosa che indica la persistente importanza del dono, piuttosto che dei legami parentali, per tenere unite le coalizioni. Come osserva Heather, «il signore che distribuisce la debita ricompensa al coraggioso è un personaggio caratteristico della poesia eroica germanica»103.

L’etnicità rimase importante nei primi tempi successivi alla conquista. Le dispute tra goti e romani venivano arbitrate da due giudici, uno per ciascun gruppo. Ma alla fine i matrimoni misti divennero consueti104. All’epoca della morte di Teoderico (526 d. C.), «le popolazioni erano ancora distinguibili, ma un processo di fusione culturale era ormai bene avviato».

 

Riassumendo, in origine i goti avevano un carattere significativamente identitario: nel IV secolo, tra il 20% e il 50% di loro era costituito da una classe di uomini liberi che possedeva almeno un senso dell’identità gotica, se non un senso di parentela biologica (di quest’ultima Heather non parla in modo esplicito). L’identità di gruppo rivestiva in ogni caso una grande importanza in situazioni di minaccia o di espansione. Dopo che i goti ebbero ottenuto il dominio della Spagna, il loro senso dell’identità di gruppo cominciò a dissolversi, per essere sostituito da un società maggiormente strutturata in classi, nella quale le élite erano composte sia da romani che da goti, con una elevata incidenza di matrimoni misti. La strategia familiare connessa alla classe sociale divenne più importante dell’identità di gruppo. Questo è un esempio eloquente della debolezza dei vincoli di parentela estesa tra i popoli occidentali e della loro tendenza a frammentarsi in assenza di minacce.

Si potrebbe vedere in ciò un paradigma di quanto accadde, in generale, ai gruppi IE. Tipicamente, essi conseguirono un dominio militare che aveva al suo centro un’élite di condottieri con un gruppo di seguaci significativo sul piano bellico. Le classi elitarie erano permeabili, così che dopo la vittoria le élite precedenti potevano continuare ad esistere e avevano luogo matrimoni misti (p. es. tra ispano-romani e goti, nella Spagna del VII secolo). Individui dotati di talento provenienti dai ranghi inferiori della società potevano elevarsi allo status di membri dell’élite.

Inoltre, l’identità del gruppo IE originario si affievolì col tempo, man mano che la società si evolveva verso una struttura maggiormente basata sulle classi. In situazioni più definite, le élite abbandonarono gradualmente i legami con la parentela estesa, che vennero invece a concentrarsi maggiormente sui parenti più prossimi. Queste élite di epoca posteriore perseguirono strategie familiari nelle quali le relazioni tra parenti stretti erano importanti, ma la struttura della società nel suo insieme non assomigliava affatto a quella di un clan. In età altomedievale le strategie familiari delle élite finirono per fossilizzarsi, stabilendo il principio della successione familiare al posto di quello della successione basata sul talento e sui risultati ottenuti.

 

Conclusione.

 

Gli IE furono un gruppo di straordinario successo, che ebbe di gran lunga la maggiore influenza sulla cultura europea nel corso di circa 4000 anni, fino al Medioevo e anche oltre. Provvisti di una tecnologia militare e alimentare innovativa, così come di una cultura che premiava sopra ogni altra cosa i risultati militari e consentiva la mobilità ascendente ai guerrieri più abili, gli IE costituirono un forza inarrestabile nel mondo antico. In Europa essi incontrarono popoli che condividevano il loro individualismo, se non altri aspetti della loro cultura. Comunque, dato che le barriere poste ai matrimoni misti crollarono piuttosto rapidamente, i maschi delle antiche genti europee riuscirono fare carriera nell’ambiente culturale IE; per questa ragione i razziatori vichinghi biondi e con gli occhi azzurri, che a livello popolare incarnano la cultura ipermaschile e aggressiva degli IE, non discendono direttamente dai popoli delle steppe dalla pelle e dagli occhi relativamente scuri che a quella cultura avevano dato origine105.

Il contributo IE al retaggio genetico e culturale dell’Europa è pertanto molto grande, per quanto estraneo possa apparire all’attuale cultura occidentale. E in effetti esso è estraneo: mentre la cultura IE era fortemente gerarchica, l’Occidente attuale è decisamente egualitario, e non soltanto all’interno di una classe aristocratica elitaria. Mentre la cultura IE era completamente militarizzata e premiava soltanto le virtù guerriere, la cultura occidentale contemporanea attribuisce valore ad un insieme di qualità personali del tutto differenti come l’empatia e il successo economico e ad una posizione relativamente elevata della donna.

Il compito dei successivi capitoli relativi alle origini e alle prospettive dell’Occidente sarà quello di delineare la nascita e gli sviluppi della componente egualitaria dell’antico Occidente, i suoi punti di forza e i suoi lati vulnerabili.


Note

 

  • Oswald SPENGLER, The Decline of the West: Perspectives: Perspectives of World-History, Vol. II, tranns.

Charles Francis Atkinson, London, George, Allen & Unwin, 1928: 235.

  • Ricardo DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization, Leiden, Brill, 2011: 51.
  • Vagheesh M. NARASIMHAN et al., The Genomic Formation of South and Central Asia, “bioRxiv”

(preprint), March 31, 2018 (https://biorixv.org/content/biorixv/early/2018/03/31/292581.full.pdf) [4] Ibid., 374

  • Ibid., 376, 387, in corsivo nell’originale.
  • David ANTHONY, The Horse, the Wheel and the Language: How Bronze-Age Riders from the Eurasian Steppes Shaped the Modern World, Princeton, NJ, Princeton University Press, 2007; edizione in brossura 2010: 161.
  • Ibid., 137.
  • Ibid., 155.
  • Ibid., 201.
  • Ibid., 221.
  • Ibid., 221-24.
  • Ibid., 302.
  • Ibid., 405.
  • Ibid., 239, evidenziato nell’originale.
  • Ibid., 364.
  • DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization.
  • Ibid.
  • Hans-Peter HASENFRATZ, Barbarian Rites, trad. Michael Moynihan, Rochester, VT, Inner Traditions, 2011 (ediz. orig. tedesca Freiburg im Breisgau, Germania, Verlag Herder, 1999), 49.
  • Mochael SPEIDEL, “Berserks”: A History of Indo-European “Mad Warriors”, “Journal of World History” 13, n. 2, 1992: 253-90, 253-54.
  • HASENFRATZ, Barbarian Rites, 64-65.
  • ANTHONY, The Horse, the Wheel and the Language.
  • Lotte HEDEAGER, Iron Age Myth and Materiality: An Archaeology of Scandinavia, AD 400-1000, London, Routledge, 2011.
  • Ibid., 115-18.
  • ANTHONY, The Horse, the Wheel and the Language.
  • Ibid., 303.
  • Ibid., 343.
  • Ibid.
  • DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization, 438.
  • Ibid., 379.
  • E’ interessante notare che Duchesne descrive Stalin come un classico despota. Stalin, originario della Georgia, avrebbe posseduto una personalità dispotica orientale, circondandosi di «soggetti servili» e necessitando in continuazione di «cori di pubblica approvazione per rafforzare il proprio ego»; DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization, 424.
  • ERODOTO, Storie, 7, 136 (http://www.bostonleadershipbuilders.com/herodotus/book07.htm).
  • HAAK et al., Massive Migration from the Steppe Was a Source for Indo-European Languages in Europe.
  • Kristian KRISTIANSEN et al., Re-Theorising Mobility and the Formation of Culture and Language among the Corded Ware Culture in Europe, “Antiquity”, 9, n. 356, 2017: 334-347.
  • HAAK et al., Ancient DNA, Strontium isotopes, and osteological analyses shed light on social and kinship organization of the Later Stone Age, “Proceedings of the National Academy od Science”, 105, n. 47, November 25, 2008: 18226-18231.
  • Ibid., 343.
  • ANTHONY, The Horse, the Wheel and the Language.
  • Roger PEARSON, Some Aspects of Social Mobiliy in Early Historic Indo-European Societies, “Journal of Indo-European Studies”, 1, 1973: 155-161.
  • Ibid., 157.
  • Le società occidentali hanno una parentela di tipo eskimo, che mette in primo piano la famiglia nucleare identificando direttamente soltanto la madre, il padre i fratelli e le sorelle. Tutti gli altri parenti sono raggruppati in categorie. Essa utilizza termini sia classificatori che descrittivi, distinguendo genere, generazione, parentela lineare (consanguinei in linea di discendenza diretta) e parentela collaterale (consanguinei che non sono nella linea di discendenza diretta). Il sistema eskimo è definito dal suo carattere “cognatico” o “bilaterale”, non facendo distinzione tra la parentela della linea paterna e quella della linea materna. Ciò è compatibile con il contributo dei CROc alle origini europee (cfr. cap. 3). Una sistema di parentela di tipo clanico nel senso pieno del termine è quello sudanese, come anche, ad esempio, quello cinese.
  • HASENFRATZ, Barbarian Rites, 35.
  • Gary FORSYTHE, A Critical History of Early Rome, Berkeley, University of California Press, 2005: 135.
  • HASENFRATZ, Barbarian Rites, 40.
  • Bente MAGNUS, Dwellings and Settlements: Structure and Characteristics, in Judith JESCH (ed.), The Scandinavians from the Vendel Period to the Tenth Century: An Ethnographic Perspective, Woodbridge, U. K., Boydel Press, 2002: 5-32.
  • Ibid., 11.
  • Ibid.
  • HASENFRATZ, Barbarian Rites, 28-29.
  • Ibid., 63.
  • Ibid., 51.
  • Ibid., 50. Hasenfratz osserva, in questo passaggio, come Männerbünde «notevolmente degeneri» attaccassero a volte fattorie isolate, violentando e depredando.
  • Ibid., 55.
  • Ibid., 56. L’impiccagione era la tipica pena per il tradimento; venne usata dal Terzo Reich per i traditori, come revival dell’antica pratica.
  • David HERLIHY, Medieval Households, Cambridge, MA, Harward University Press, 1985: 44.
  • Ibid., 55.
  • DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization, 399.
  • Ibid., 417.
  • Ibid., 418.
  • Ibid., 484.
  • Ibid., 438. [59] Ibid., 452.
  • Kevin MACDONALD, The Culture of Critique: An Evolutionary Analysis of Jewish Involvement in

Twentieth-Century Intellectual and Political Movements, Bloomington, IN, AuthorHouse, 2002; ed. origin.:

Westport, CT, Praeger, 1998, cap. 6 e passim.

  • Riguardo ai romani si veda l’Appendice al presente capitolo.
  • Gary FORSYTHE, A Critical History of Early Rome: From Prehistory to the First Punic War by Prof.

Gary Forsythe, Berkeley, University of California Press, 2005: 368.

  • Numa Denis FUSTEL DE COULANGES, The Ancient City: A Study on the Religion, Laws, and Institutions of Greece and Rome, Kitchener, Ontario, Batoche Books, 2001 (origin. pubblic. nel 1862), 166 (https://socialsciences.mcmaster.ca/econ/ugcm/3113/fustel/AncientCity.pdf).
  • Ibid., 167.
  • Susan LAPE, Race and Citizen Identity in Classical Athenian Democracy, Cambridge, Cambridge University Press, 2010: 59.
  • Gillaume DUROCHER, Ancient Athens: A Spirited and Nativist Democracy, “The Occidental Quarterly”, 18, n. 3, Autunno 2018: 73-82, 78.
  • Gillaume DUROCHER, Ancient Sparta: The First Ethnostate?, “The Occidental Quarterly”, 19, n. 4, Inverno 2019-2020, in corso di stampa.
  • DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization, 465.
  • Ibid., 483, evidenziato nell’originale.
  • Ibid., 484; sul sorgere della proprietà fondiaria nell’Europa medievale come fenomeno all’origine del governo rappresentativo si veda anche Michael MITTERAUER, Why Europe? The Medieval Origins of Its Special Path, trad. Gerald Chapple, Chicago, University of Chicago Press, 2010 (ed. tedesca origin. 2003).
  • Américo CASTRO, The Structure of Spanish History, trad. Edmund L. King, Princeton, NJ, Princeton

University Press, 1954. 497; si veda anche Américo CASTRO, The Spaniards: An Introduction to Their History, trad. Willard F. King e Selma Margaretten, Berkeley, University of California Press, 1971. Castro sosteneva che l’Illuminismo non poteva svilupparsi in una Spagna pervasa dalla competizione tra due gruppi etnici, con riferimento al conflitto tra spagnoli ed ebrei: «Partendo da simili premesse era impossibile che ne derivasse un qualsiasi tipo di stato moderno, conseguenza, in fin dei conti, dell’armonia gerarchica del Medioevo» (The Structure of Spanish History, 497).

  • The Visigotic Code (Forum judicum), trad. S. P. Scot, Boston, MA, Boston Book Company, 1910; versione online: The Library of Iberian Resources Online (senza nn. di pag.): http://libro.uca.edu/vcode/visigoths.htm.
  • Ibid., Titoli II e IV.
  • Kyle J. BRISTOW, Our White Common Law, “The Occidental Quarterly”, 15, n. 1, Primavera 2015: 63-

68.

  • Patrick J. GEARY, The Myth of Nations: The Medieval Origins of Europe, Princeton, NJ, Princeton University Press, 2002.
  • Peter HEATHER, The Goths, Oxford, Blackwell, 1996.
  • Frederick Barth, Ethnic Groups and Boundaries, Long Grove, IL, Waveland Press, 1998.
  • HEATHER, The Goths, 4.
  • Ibid., 26.
  • Ibid., 45.
  • Ibid., 49.
  • Ibid., 57.
  • Ibid., 65.
  • Ibid., 66.
  • Ibid., 68. [86] Ibid., 73.
  • Ibid., 76. Questi gruppi erano assai bellicosi. Heather menziona i problemi che i capi avevano nel controllare l’«entusiasmo marziale» dei loro seguaci.
  • HEATHER, The Goths, 75.
  • Ibid., 75. Ciò appare evidente nel Codice Visigoto menzionato in precedenza.
  • Ibid., 88.
  • Ibid., 88.
  • Ibid., 273. [93] Ibid., 294.
  • Ibid., 285. Si notino le virgolette apposte alla parola “franchi”, che indicano come la componente etnica si fosse dissolta.
  • Ibid., 90. D’altro canto, la politica romana fu quella di frammentare i popoli conquistati e distribuirli ad ampio raggio nell’impero, al fine di indebolire i legami etnici.
  • Ibid., 169.
  • Ibid., 171-72.
  • Ibid., 175.
  • Ibid., 178.
  • Ibid., 221.
  • Ibid., 297. [102] Ibid., 239.
  • Ibid., 243-44. Heather descrive Vitige e Teudi come «membri anziani dei due clan che dominarono il trono dopo che la dinastia degli Amali era stata estromessa» (ibid., 247). Gli studiosi di storia medievale hanno osservato che la successione tende a diventare un problema quando manchi un figlio adulto pronto a salire al trono (ibid., 253).
  • Ibid., 257.
  • Sandre WILDE et al., Direct Evidence for Positive Selection of Skin, Hair and Eye Pigmentation in

Europeans during the Last 5,000 Y, “Proceedings of the National Academy of Science” 111, n. 13, April 1, 2014: 4832-4837, 4835.

 

 

 

 

INDIVIDUALISMO E TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE: APPENDICE AL CAPITOLO 2: LA CULTURA ROMANA: MILITARIZZAZIONE, GOVERNO ARISTOCRATICO E APERTURA VERSO I POPOLI CONQUISTATI

INDIVIDUALISMO E
TRADIZIONE PROGRESISTA OCCIDENTALE.
Origini evolutive, storia e prospettive future.
traduzione italiana di Marco Marchetti

APPENDICE AL CAPITOLO 2:

LA CULTURA ROMANA: MILITARIZZAZIONE, GOVERNO ARISTOCRATICO E APERTURA

VERSO I POPOLI CONQUISTATI.

Questa appendice intende mostrare come l’ethos IE si sia esemplificato nella Roma repubblicana. La mia idea generale è che le forze che maggiormente influenzarono la cultura europea post-romana furono di gran lunga rappresentate dai popoli germanici e dalla cultura dei CR dell’Europa nordoccidentale, entrambe influenzate a loro volta dalle conquiste degli IE (cfr. cap. 3 e 4) e che l’influenza romana sulla cultura europea fu, in ultima analisi, assai ridotta e trasmessa attraverso la lente del cristianesimo, nato durante l’Impero Romano ed istituzionalizzato come religione di stato romana al principio del IV secolo (cfr. cap. 5). All’epoca della caduta dell’Impero d’Occidente l’ethos IE che aveva alimentato l’ascesa di Roma era scomparso, sostituito da una cultura che attribuiva valore al celibato, alla castità e al martirio e credeva che tutti gli uomini fossero uguali davanti a Dio.

Inoltre, a partire dall’ultimo periodo della repubblica e durante l’impero, la popolazione originaria di Roma fu ampiamente sostituit, a causa del declino del ceppo fondatore e dell’afflusso di popoli stranieri risultante dalla politica di assimilazione e dall’elevata percentuale di schiavi che furono in gran parte resi liberi. L’Impero d’Occidente cadde in potere dei popoli germanici che succedettero a Roma nell’Alto Medioevo; queste tribù germaniche avevano conservato una variante del retaggio culturale IE in misura assai maggiore di quanto avesse potuto fare Roma dopo l’ascesa del cristianesimo.

Quanto segue si basa soprattutto sulla mia recensione di Una storia critica della prima Roma, di Gary

Forsythe1. Essa non lascia dubbi sul fatto che la Repubblica Romana avesse avuto inizio come una cultura

IE unica e affascinante, che tuttavia, come probabilmente l’Occidente contemporaneo, recava in sé i semi della propria distruzione.

 

Gary Forsythe ha scritto una classica storia della prima Roma repubblicana, il cui aspetto critico sta nell’aver messo in dubbio gran parte delle conoscenze tradizionali concernenti tale storia. Il quadro risultante, dopo che Forsythe ha rimosso quelli che egli considera gli aspetti discutibili della documentazione storica, ci fornisce un pregevolissimo ritratto di un’importante variante storica dell’eredità IE: una repubblica fortemente militarizzata con un governo aristocratico non dispotico. Durante questo periodo (509-264 a. C.) la società romana consentiva una mobilità ascendente ed era disponibile ad incorporare i popoli recentemente conquistati nel proprio sistema, con pieni diritti di cittadinanza. Questa apertura si mantenne nel corso della tarda repubblica e dell’impero.

 

 

 

 

Le radici indoeuropee della civiltà romana: l’ethos militare della Roma repubblicana.

 

Sostanzialmente, le città-stato mediterranee fondate dalle popolazioni IE non erano che versioni più stabili dell’organizzazione sociale elementare IE basata sui Männerbünde. Forsythe descrive «bande guerriere» dedite alla razzia e a combattere con i vicini come un elemento comune al mondo dei greci, dei romani, dei celti e dei germani2. Il comando si fondava sull’abilità militare e i seguaci giuravano di combattere fino alla morte. Al principio della repubblica romana i clan aristocratici potrebbero benissimo essere stati dei classici Männerbünde: la “visione corrente”, riguardo alla quale Forsythe si mostra scettico per via della debolezza della documentazione, è che la battaglia di Cremera del 478 a. C. (una grave sconfitta dei romani per mano degli abitanti di Veio, una città etrusca, che ebbe luogoo trent’anni dopo la fondazione della repubblica) fosse stata sostanzialmente intrapresa da un clan aristocratico (i Fabi, che a quel tempo detenevano il consolato) prima che lo stato acquisisse il pieno controllo dell’organizzazione militare3. In altri termini, nei primissimi anni della repubblica questi clan agivano con una certa indipendenza rispetto allo stato romano. La tipica relazione patrono-cliente rifletteva presumibilmente l’organizzazione dei Männerbünde, nella quale persone meno abbienti si legavano con obblighi reciproci a individui ricchi e potenti. Questa è probabilmente una sopravvivenza della cultura IE, nella quale i condottieri militari e i loro seguaci avevano obblighi reciproci. Forsythe nota come questo mitigasse le disparità sociali ed economiche4. Esistevano più livelli, così che un certo individuo poteva essere il patrono di persone più povere e al contempo il cliente di qualcuno più ricco e più potente di lui: «la tarda società romana era in generale tenuta insieme da una vasta e complessa rete di simili relazioni»5. Riflettendo la natura non dispotica della società romana (cfr. oltre) i patroni potevano essere “maledetti” a motivo di un’ingiustizia nei confronti dei clienti e quindi uccisi od ostracizzati.

Un tratto caratteristico della cultura IE è il fatto che la gloria militare fosse apprezzata più di ogni altra cosa. Forsythe osserva come, intorno al 311 a. C., «Roma fosse uno stato giovane e vigoroso guidato da aristocratici ambiziosi ed energici, bramosi di sfruttare la forza crescente dello stato per accrescere il loro prestigio personale, come pure l’influenza e il potere di Roma»6.

 

Diversi dati […] mostrano il quadro di un’aristocrazia romana consapevole del proprio potere e di quello dello stato romano, avida di gloria militare e lieta di goderne, ambiziosa di annunciare ed elencare pubblicamente i propri successi ai contemporanei ed ai posteri […]. [Tra le famiglie aristocratiche c’era] un forte senso dell’orgoglio familiare, della tradizione e della continuità7.

L’aristocrazia romana era pervasa da un ethos militare in base al quale l’onore più grande si conseguiva con la vittoria in battaglia, sia tramite atti di valore individuali che guidando operazioni militari di successo. Questo ethos non era soltanto mantenuto, ma altresì alimentato dalla rivalità competitiva che caratterizzava l’élite di governo romana […] Molti degli alleati italici di Roma possedevano un’analoga tradizione militare di lunga data, così che i vantaggi derivanti da guerre vittoriose (schiavi e bottino) univano tra loro, nell’intraprendere guerre, gli interessi dell’élite romana, della popolazione romana maschile adulta e degli alleati di Roma. Lo stato romano era pertanto configurato allo scopo di perseguire una politica estera aggressiva, caratterizzata dall’assunzione di rischi calcolati, dall’opportunismo e dall’interventismo militare. Di conseguenza, durante il periodo repubblicano furono pochi gli anni in cui i magistrati curuli romani non guidassero eserciti e non conducessero operazioni militari8.

 

Degna di nota è l’osservazione del fenomeno umano dell’autoinganno emergente dal fatto che Roma avesse prodotto motivazioni di tipo morale per molte delle sue guerre (fatto comune nel corso della storia dell’Occidente fino ai giorni nostri).

 

Nel descrivere le cause delle varie guerre gli storici romani di epoca tarda di solito magnificavano (quando non fabbricavano di sana pianta) le responsabilità del nemico, sopprimendo o distorcendo ogni misfatto compiuto dai romani […] Il senato romano è presentato come esperto nelle guerre con i popoli stranieri e assai abile nel manipolare le situazioni o gli stati nemici, così da crearsi una giusta motivazione per la guerra a sostegno della propria politica di espansione9.

 

Uno studio recente ha sostenuto che la razionalizzazione è un adattamento evolutivo degli umani10. Nel caso romano questa razionalizzazione alimentò indubbiamente l’orgoglio di gruppo.

Per via del prestigio connesso alla carriera militare, le famiglie aristocratiche evitavano il tribunato (che era composto da plebei e si occupava di questioni urbane interne piuttosto che di questioni militari) sebbene alcuni aristocratici di basso rango diventassero tribuni.

Forsythe descrive anche l’organizzazione sociale sostanzialmente IE dei galli che occuparono Roma nel 390 a. C. I galli erano meno organizzati dei romani o delle altre città-stato del Mediterraneo, ma avevano anch’essi un’élite guerriera che si dedicava al saccheggio:

 

Presso i celti, l’attività predatoria e la sovrappopolazione contribuirono congiuntamente all’ampliamento territoriale dei loro insediamenti e della loro cultura. Le incursioni compiute all’interno di nuove aree offrivano ai condottieri celti e alle loro bande di guerrieri ulteriori opportunità di arricchirsi e di guadagnare prestigio. Nello stesso tempo, le loro razzie aprivano sovente la strada a migrazioni più pacifiche e ad insediamenti; la Valle del Po nell’Italia settentrionale è forse il miglior esempio di questo fenomeno11.

 

L’intensa dedizione ad un’etica militare appare evidente nel tipico atteggiamento dei romani dopo una sconfitta. Quando furono battuti dal re greco Pirro, invece di trattare la pace i romani «risposero con sforzi ancor più grandi per risollevarsi»12. Quando, alla fine, riuscì a sconfiggere Pirro, Roma era arrivata sulla scena internazionale, ricevendo un ambasciatore dell’Egitto.

 

La famiglia romana.

 

Larry Siedentop definisce IE  la struttura familiare dominante dell’antica Grecia e della Roma precristiane.

Era un mondo nel quale «la famiglia era tutto» e il paterfamilias agiva non solo come un magistrato dotato di potere su tutti i membri della famiglia, ma anche come il suo sommo sacerdote. In effetti l’unità di base era un insieme di «piccole chiese familiari»13. La venerazione degli antenati maschi era fondamentale, così che, in un senso molto concreto, ciascuna famiglia aveva la propria religione. Sebbene la famiglia si basasse sui legami di sangue in linea maschile, un figlio adottivo poteva diventarne parte accettando gli antenati della famiglia di adozione come propri (fenomeno detto dagli antropologi “parentela fittizia”), mentre «un figlio che abbandonava la famiglia cessava del tutto di essere un parente, diventando uno sconosciuto»14.

Questo era un sistema patrilineare, dove le donne che diventavano mogli in un’altra famiglia perdevano la loro identità precedente e adottavano gli antenati del marito. Fatto importante, il confine della famiglia era altresì un confine morale: «Per lo meno all’inizio, si riteneva che coloro che stavano al di fuori dalla cerchia familiare non condividessero alcun attributo con coloro che stavano all’interno. Non era riconosciuto alcun elemento umano in comune, atteggiamento confermato dalla pratica della riduzione in schiavitù»15. L’affetto e la beneficienza erano circoscritti entro i confini della famiglia. Ciò aveva come risultato un sentimento familiare composto da senso del dovere, affetto e credenza religiosa: la pietas.

La proprietà non apparteneva all’individuo, bensì alla famiglia, dove il figlio maggiore possedeva la terra per conto dei propri antenati e dei propri discendenti. Le figlie non potevano ereditare. La società era dunque un’associazione di famiglie, non di individui. Il divario principale era quello tra pubblico e famiglia, non tra pubblico e privato.

Se la famiglia così strutturata formava la base del sistema sociale, esistevano altresì raggruppamenti più ampi, come la gens (famiglia estesa) i clan (in greco fratrìe, in latino curiae) e le tribù, secondo distanze genetiche via via maggiori. Questi gruppi più estesi erano composti da famiglie unite tra loro non da legami genetici, bensì da un’ideologia religiosa, a dimostrazione del fatto che la parentela biologica non rivestiva un’importanza determinante: «Queste ampie associazioni davano vita al loro sacerdozio, alle loro assemblee e ai loro riti»16. Le città nascevano quando un certo numero di questi raggruppamenti più ampi (le tribù) si univano e stabilivano un culto comune. Ciò tuttavia non cancellava le connotazioni religiose dei gruppi più piccoli, famiglie comprese. «La città che veniva ad emergere era dunque una confederazione di culti, un’associazione che si sovrapponeva alle altre associazioni, il tutto modellato sulla famiglia e sul suo culto»17. Non si trattava di un’associazione di individui.

Le regole a base religiosa prescrivevano i comportamenti in ogni ambito della vita, non lasciando alcuno spazio alla coscienza individuale. Le leggi erano viste come derivanti dalla religione più che come una decisione volontaria dei legislatori. Ciò produceva un forte patriottismo, essendo la religione, la famiglia e il territorio tra loro connessi. «Tutto ciò che era importante per [il romano], i suoi antenati, la sua vita morale, il suo orgoglio e la sua proprietà, dipendeva dalla sopravvivenza e dal benessere della città»18. Un simile attaccamento alle divinità cittadine fu la causa principale della difficoltà di unire tra loro le città della Grecia. L’esilio era la punizione estrema, poichè una persona esiliata non possedeva un’identità legittima.

Come in altre società aristocratiche IE, le barriere tra le classe dominante e quella dominata finirono per diventare permeabili e una mobilità sociale ascendente divenne possibile, per quanto lentamente. Il modello di cittadinanza aristocratico e la base etnica dell’aristocrazia erano decaduti assai prima che l’impero adottasse il cristianesimo (cfr. cap. 5).

Vi furono inoltre graduali mutamenti in direzione della fine primato del primogenito e della riduzione del potere del paterfamilias sui rami della famiglia estesa. I clienti (originariamente poco più che schiavi) divennero liberi di possedere proprietà.

Le idee di “gerarchia naturale” e di “ineguaglianza naturale” sono fondamentalmente aristocratiche. Pertanto, la “società giusta” di Platone, com’è delineata nella Repubblica, doveva essere governata dai filosofi poiché costoro erano veramente razionali, e Platone riteneva che esistessero differenze naturali nella capacità di essere razionali. Questa, espressa nel linguaggio moderno della genetica comportamentale, è l’idea secondo la quale esistono differenze individuali aventi una base genetica. Aristotele credeva che alcune persone fossero “schiave per natura”19, vale a dire che la gerarchia tra padroni e schiavi fosse naturale. Riflettendo temi comuni alla cultura IE20, gli antichi apprezzavano la fama e la gloria (valutazione positiva da parte degli altri) derivanti da autentiche virtù e dai successi militari e politici, non l’indolenza o l’amore per il lusso, e neppure il lavoro, perché i lavoratori erano spesso schiavi e il legittimo bottino di una conquista.

 

La religione pubblica romana.

 

Come osservato in precedenza, un aspetto importante della religione riguardava le “piccole chiese familiari”. Esisteva tuttavia anche una religione pubblica, che era “profondamente incorporata” nella cultura romana più antica. Si riteneva che i patrizi possedessero una «speciale conoscenza religiosa»21. I dati indicano «un antico nesso tra sacerdozio, senato, patriziato e autorità religiosa»22. Ad ogni modo, Roma divenne via via più secolarizzata, così che i legami tra le famiglie patrizie e la religione gradualmente si attenuarono e insigni plebei poterono detenere alte cariche religiose, un aspetto questo della generale acquisizione da parte della plebe di potere e di status nell’ambito della repubblica e un esempio della mobilità sociale ascendente possibile nelle culture a base IE. Prima della seconda metà del IV sec. a. C. il senato deteneva probabilmente la maggioranza dei sacerdoti, ma in seguito «l’aumento del numero delle magistrature dovette portare ad una secolarizzazione del senato, dato che il prestigio e l’importanza del corpo sacerdotale dei patres vennero intaccati e si ebbe un incremento di senatori di formazione politica e militare»23.

 

Il governo aristocratico e non dispotico di Roma.

 

A detta di tutti, la storia romana più antica, precedente la repubblica, è avvolta nella leggenda. Ciò nondimeno, Forsythe osserva come durante il periodo in cui  governarono i re non vi siano indizi di un principio ereditario24. Lo storico romano Livio scriveva infatti:

 

Un tempo i re governavano la città. Essi tuttavia non la lasciavano ai membri della loro casata. A loro successero persone che non erano loro parenti, ed alcuni stranieri; Romolo fu seguito da Numa, che proveniva dai sabini, vicini certamente ma, a quel tempo, stranieri […] A [Tarquinio Prisco] fu impedito di rivestire cariche pubbliche nella propria città per via del suo sangue impuro, essendo egli figlio di Demarato il corinzio e di una donna di Tarquinia, di buoni natali ma povera, così che dovette accettare suo marito per necessità; ma dopo che fu emigrato a Roma, Tarquinio Prisco ottenne la carica di re25.

 

E’ particolarmente interessante il fatto che un uomo la cui carriera nella propria città era ostacolata dall’avere “sangue impuro” riuscisse a diventare re a Roma. Il caso di Servio Tullio fu simile: era un etrusco che divenne re dopo essere emigrato a Roma, «col più grande vantaggio per lo stato»26.

Ciò è importante in quanto indica (coerentemente con altre culture IE) che i re ottenevano la loro posizione in base alle loro capacità, probabilmente mediante elezione da parte dei loro pari, ma certo non per via ereditaria. Come osservato in questo capitolo, la società IE era un sistema basato sul libero mercato piuttosto che sulla parentela: i capi dei Männerbünde erano in grado di reclutare seguaci grazie alla loro capacità di condurre operazioni belliche di successo. I seguaci venivano ricompensati per i loro sforzi, ma si sarebbero uniti ad altri Männerbünde qualora avessero ritenuto di trovare altrove migliori opportunità.

In generale i re di Roma non furono dei despoti, per quanto sussistano alcune congetture in base alle quali gli ultimi due re si sarebbero comportati da tiranni27; se le cose stessero così, tale esperienza avrebbe potuto costituire la ragione per la quale i romani abbandonarono la monarchia in favore delle istituzioni repubblicane. Nella maggior parte dei casi i re furono “primi tra i pari”, un sistema che Ricardo Duchesne ha definito «egualitarismo aristocratico»28. I re erano consigliati dagli altri aristocratici e probabilmente erano eletti da loro.

Verso la fine del VI sec. a. C., poco prima della nascita della repubblica, Roma aveva un governo tripartito formato da popolo, senato e re. Il popolo era suddiviso in tre tribù secondo un criterio geografico piuttosto che parentale, ciascuna con dieci curiae che formavano la base sia del reclutamento militare sia della partecipazione al voto, e che dunque furono la più antica struttura politica e militare dello stato romano. Nella prima Roma gli aristocratici consigliavano il re; dopo i re, essi formarono un corpo a sè, il senato. Il senato eleggeva un re ad interim, o interrex, «fintanto che il popolo non veniva chiamato a raccolta nei comitia curiata [un’assemblea militare, vedasi oltre] dove un candidato proposto dall’interrex presidente riceveva il voto affermativo del popolo (lex curiata) e l’approvazione del senato (patrum auctoritas29. I due consoli stabiliti dalla repubblica come le più importanti cariche politiche ereditarono essenzialmente i poteri militari e giudiziari del re, mentre il rex sacrorum ne ereditò i compiti religiosi. I consoli avevano il potere di radunare l’esercito e di comandarlo in guerra. I consoli erano collaboratori, non despoti, e l’azione di uno poteva essere bloccata dall’altro. «Il disaccordo aveva come risultato l’inazione»30. Comunque, in tempi di crisi un dittatore poteva essere nominato da uno dei consoli in risposta a un decreto del senato, probabilmente ratificato dai comitia centuriata. A differenza dei consoli, il cui mandato durava un anno, il mandato dei dittatori durava soltanto sei mesi.

Con lo stabilimento della repubblica, Roma venne ad essere dominata da un’aristocrazia. Una componente importante di questa aristocrazia di governo fu un gruppo di antiche ed eminenti famiglie, i patrizi. Per un certo periodo i patrizi tentarono di diventare una casta chiusa e di monopolizzare completamente il consolato. Nel 449 a. C. vene promulgata una legge contro il matrimonio tra patrizi e plebei, che però fu revocata appena cinque anni dopo; dai romani delle epoche successive essa venne generalmente considerata tirannica31.

Un altro aspetto del governo aristocratico della repubblica è che le più alte autorità (consoli e pretori) erano elette dai comitia centuriata, assemblee militari divise in centurie sulla base del censo. Ai censori spettava la responsabilità di verificare le proprietà di ciascun capofamiglia e di assegnarlo ad una centuria. La centuria più ricca votava per prima, e di solito il risultato delle elezioni era già deciso prima che le centurie più  povere potessero votare. I comitia centuriata avevano il potere di approvare le leggi, dichiarare guerra e ratificare i trattati, e fungevano da corte suprema per i crimini punibili con la pena capitale32.

Malgrado ciò, i plebei avevano una certa rappresentanza politica. I tribuni della plebe erano la carica più importante dopo i consoli. I loro compiti si limitavano a gestire «le questioni legislative e giudiziarie [della città] davanti al popolo raccolto in assemblea»33. «Nel pensiero politico romano di epoca tarda i tribuni della plebe erano visti come cani da guardia pubblici e come protettori dei diritti dei cittadini»34. Gran parte delle leggi era promulgata da questi tribuni, ma ciò avveniva «solitamente ai sensi di un decreto del senato»35. Il tardo periodo repubblicano, a partire dall’epoca dei Gracchi (131-121 a. C.), conobbe un notevole conflitto, con «tribuni sediziosi che promuovevano istanze popolari in opposizione al senato»36.

Comunque, per la maggior parte del periodo repubblicano vi fu una netta  separazione dei poteri. Forsythe attribuisce particolare importanza agli accordi politici del 367 e del 338 a. C., che proiettarono Roma verso uno spettacolare successo. «Il potere politico fu distribuito tra i magistrati, il senato e l’assemblea dei cittadini, così da formare quella costituzione mista che riscosse lodi così grandi da parte di Polibio»37.

Un altro storico, Andrew Lintott, riassume la separazione dei poteri a Roma nel modo seguente:

 

A Roma il senato appare come il punto focale della politica. Qui non solo si discutono le questioni di politica estera, ma anche problemi come il disaccordo tra il pretore e il pontifex maximus. Il senato è una cassa di risonanza dell’autorità dei membri dell’esecutivo, che per la maggior parte ne sono anche membri.

Comunque, sarebbe errato pensarlo come un’autorità unica o suprema. E’ in effetti una caratteristica della repubblica il fatto che vi fossero molteplici fonti decisionali che, normalmente, non venivano messe in discussione da parte di una qualche autorità superiore (cosa che doveva in gran parte scomparire sotto la monarchia dei Cesari). I magistrati (tra cui gli aediles, i tribuni, i questori…) e i commissari preposti alla fondazione e rifondazione di colonie dovevano la loro posizione al popolo raccolto in assemblea […] Il voto popolare poteva essere soggetto a quelle che erano considerate come influenze improprie, ma mostra altresì come tali influenze non fossero necessariamente decisive38.

 

L’apertura della società romana: mobilità sociale e incorporazione di popoli diversi. 

 

Come sottolineato in questo capitolo, la struttura sociale IE era basata sul talento e sull’abilità. La mobilità ascendente era possibile, e i gruppi IE in Europa tendevano ad avere, tra conquistatori e popoli conquistati, barriere relativamente deboli e permeabili, che la persona dotata di talento poteva oltrepassare. Ciò valeva anche per Roma. La mobilità ascendente era possibile, come lo era quella discendente.

 

Mobilità ascendente dei plebei.

L’infelice tentativo di stabilire un concetto di cittadinanza riservato ai patrizi incontrò naturalmente l’opposizione di coloro che rimanevano esclusi da questo sistema basato sulla famiglia. I plebei erano originariamente costituiti da immigrati che non avevano rapporto con gli antenati o con la parentela delle famiglie cittadine. Erano un gruppo eterogeneo che comprendeva i poveri delle campagne e della città, ma anche alcune famiglie ricche e di successo che erano ascese socialmente39. Questi plebei più ricchi, in particolare, avevano ambizioni politiche proprie e premevano per espandere i confini della cittadinanza ed aprire alla loro classe l’accesso alle cariche pubbliche. A partire dal tardo V scolo [a. C., n.d. t.] la politica interna romana fu dominata dalla «lotta tra gli ordini», un conflitto di classe tra patrizi e plebei in cui questi ultimi ottennero gradualmente più diritti e un maggiore potere politico.

Fin dal principio della repubblica le cariche erano suddivise tra patrizi e plebei, laddove i primi detenevano il sacerdozio del rex sacrorum, i tre flamen maggiori (sacerdoti assegnati al culto di Giove, Marte e Qirino) e la carica di interrex (che controllava lo stato durante i cinque giorni in cui si tenevano le elezioni consolari). I plebei detenevano il tribunato della plebe e l’edilità plebea (carica che regolava le festività, i mercati e la manutenzione degli edifici pubblici). Ma esisteva una pari ripartizione dei poteri per altre cariche: quelle di curule aedile (responsabile di diverse festività) di console e di censore, come pure per alcune cariche religiose di minore importanza. In generale, i patrizi conobbero un graduale declino man mano che le loro famiglie si estinsero, ma conservarono «grande prestigio e importanza politica»40. A volte patrizi e plebei univano le loro risorse politiche e concorrevano insieme per il consolato.

Verso la metà del IV sec. a. C. l’aristocrazia romana era composta sia da famiglie plebee che da famiglie patrizie. A partire dal 342 a. C. si adottò la pratica che un console fosse patrizio e l’altro plebeo. Nel 172 a. C., a causa del declino di molte famiglie patrizie e dell’estinzione di alcune altre, vi furono spesso due consoli plebei, «e da allora in poi la precedente spartizione del consolato fu abbandonata»41. L’ascesa dei plebei proseguì nella tarda repubblica. Quando Silla divenne dittatore, verso l’82 a. C., ridusse il potere dei tribuni della plebe e restaurò quello dei comitia centuriata, ma ciò generò forti controversie e venne abbandonato nel 70 a. C.

 

Mobilità sociale ascendente dei popoli assimilati.

Fin dai primi tempi della repubblica abbiamo esempi della fluidità sociale dell’aristocrazia romana. Appio Claudio arrivò a Roma dal territorio sabino nel 509 a. C. e divenne membro del patriziato. L. Fulvius Curvus, proveniente da Tusculum, diventò console 60 anni dopo che Roma ebbe conquistato la sua città nel 381 a. C. I consolati degli anni che vanno dal 293 al 280 a. C. inclusero sei nuovi clan e altri due si aggiunsero nel 264 a. C.; almeno cinque di questi clan erano di origini non romane, mentre quelli romani erano plebei.

L’apertura verso gli stranieri appare anche dal fatto che il Latium, che comprendeva le città vicine a Roma con lingua e cultura simili, aveva diritti di commercium (poteva detenere proprietà in altre città) di connubium (matrimonio) e di migrandi (immigrazione). Ciò definì un precedente per le epoche successive, quando altri popoli, non latini, sarebbero stati incorporati nella società romana con una cittadinanza parziale (civitas sine suffragio). Tali popoli avrebbero potuto, in seguito, ottenere la piena cittadinanza, come ad esempio i sabini, che la ottennero nel 268 a. C. Questa apertura verso gli altri popoli fu «una chiave del futuro successo imperiale di Roma»42.

Invece di annientare le élite dei popoli conquistati, Roma spesso le assorbì, garantendo loro all’inizio una cittadinanza parziale, in seguito quella piena. Il risultato fu quello di unire «i diversi popoli italici in un’unica nazione»43. A tutti i popoli conquistati veniva richiesto di fornire soldati, cosa che permetteva a Roma di impegnarsi continuamente in operazioni di guerra. Se una persona si trasferiva a Roma da una zona conquistata, poteva ottenere la piena cittadinanza. Dai gruppi conquistati venivano continuamente create nuove tribù, il cui numero complessivo raggiunse le 31 nel 332 a. C.44.

Coloro ai quali veniva data la cittadinanza venivano assegnati ad una tribù e ad una centuria nei comitia centuriata, espandendo così la popolazione romana e, in definitiva, il potere di Roma. Ad esempio, quando i romani conquistarono la città etrusca di Veio nel 396 a. C. crearono quattro nuove tribù, i cui membri vennero assegnati dal censore romano.

Questo processo proseguì nella tarda repubblica: la Guerra Sociale del 90-88 a. C. ebbe come risultato la piena cittadinanza per le genti non romane dell’Italia centrale e meridionale. Alla fine si cominciò ad estendere la cittadinanza oltre i confini italiani. «Al tempo dell’assassinio di Giulio Cesare […] nel 44 a. C. l’Italia era stata romanizzata, e il medesimo processo (per quanto ad un ritmo assai più lento) era già in corso in altre province d’oltremare» 45.

L’apertura del sistema romano appare anche dal trattamento riservato agli schiavi liberati. I liberti diventavano cittadini romani e clienti dei loro ex-padroni. Nei primi tempi gli schiavi erano dei latini etnicamente molto vicini ai romani che erano stati catturati in guerra e integrati con facilità, ma la legge non venne cambiata neppure dopo che gli schiavi cominciarono ad essere individui provenienti in numero preponderante da altre popolazioni ed altre culture.

 

Qualunque fosse l’origine di questa pratica, Roma non la cambiò mai. A partire dal IV sec. a. C., quando la conquista romana dell’Italia e del Mediterraneo generò un massiccio afflusso di schiavi, la società romana continuò a ricevere costantemente al suo interno nuovi cittadini di origine straniera mediante la pratica della manomissione. Tale apertura contribuì al posteriore successo di Roma quale potenza imperiale capace di unire popoli diversi in un sistema sociale funzionante46.

 

Nel 264 a. C. (inizio della Prima Guerra Punica) esistevano tre classi di romani: 1) i cittadini dell’area centro-italica; 2) gli stati alleati a Roma (etruschi, ecc.) guidati da «élite di proprietari terrieri che avevano essenzialmente gli stessi interessi sociali, economici e politici nonché la stessa mentalità dell’aristocrazia romana»; 3) le colonie latine stabilite in tutta l’Italia47. Tutti facevano parte dell’organizzazione militare romana. Le colonie e gli alleati potevano gestire i loro affari interni, ma Roma ne controllava la politica estera. Si dice che Roma, quando entrò nella Prima Guerra Punica, fosse in grado di mettere in campo 730.000 fanti e 72.700 cavalieri, una forza davvero impressionante. Roma era diventata una potenza mondiale ed era in rotta di collisione con Cartagine.

Per finire, è importante rendersi conto del fatto che l’apertura della società romana non era generalmente caratteristica delle altre città-stato mediterranee, e in particolare di quelle greche.

 

Anche se la società romana era molto gerarchica e niente affatto democratica, essa era assai più aperta di quella delle città-stato greche. Come risultato, Roma ebbe successo nell’unire le popolazioni italiche, molto diverse tra loro, in un’unica confederazione, laddove gli stati della Grecia continentale, per quanto uniti da una lingua e da una cultura comuni, non riuscirono mai a superare la natura esclusoria delle loro istituzioni e a formare un’unione duratura. L’unità greca venne raggiunta solo quando fu imposta dalla forza superiore di una potenza straniera, coma le Macedonia o Roma […] Questa ricettività sociale e politica fu la principale responsabile del duraturo successo di Roma quale potenza imperiale48.

 

Come scrive Tacito, l’imperatore Claudio (che regnò dal 41 al 54 d. C.) fu ben consapevole di questo contrasto tra la Grecia e Roma, come si evince dai suoi commenti nel corso di un dibattito concernente la questione se i galli, già cittadini, potessero avere accesso ad una delle più alte cariche della società romana, quella di senatore. Claudio sottolineò la lunga storia dei non romani che avevano raggiunto posizioni e potere a Roma (inclusi i suoi stessi antenati) come pure il loro contributo alla città e il loro senso di devozione nei confronti della stessa, sostenendo che le nuove genti si sarebbero assimilate e avrebbero fornito un contributo alla società romana.

 

Nei miei stessi antenati, il più antico dei quali, Clausus, un sabino d’origine, fu fatto al contempo cittadino e capo di una casa patrizia, trovo incoraggiamento ad adottare la stessa politica nel mio governo, portando qui ogni autentica eccellenza da qualunque luogo la si trovi. Poiché non ignoro che i Julii vennero tra noi da Alba, i Coruncanii da Camerium, i Porcii da Tusculum; che […] certi membri del senato vennero presi dall’Etruria, dalla Lucania, dall’intera Italia; e che, per finire, l’Italia stessa venne estesa fino alle Alpi, così che non solamente individui, ma paesi e nazioni formassero un unico corpo sotto il nome di romani. […] Cos’altro risultò fatale a Sparta e ad Atene, malgrado il loro potere con le armi, se non la loro politica di tenere a distanza i conquistati come stranieri? Ma la sagacia del nostro fondatore Romolo fu tale che più volte egli combattè e naturalizzò un popolo nel corso del medesimo giorno. […] Se considerate tutte le nostre guerre, nessuna terminò in un tempo più breve di quella contro i galli: da allora in poi c’è stata una pace continua e leale. Ora che i costumi, la cultura e i legami matrimoniali li hanno fusi con noi, che portino tra noi il loro oro e le loro ricchezze, invece di tenerli al di là dei confini! […] Ai magistrati patrizi seguirono quelli plebei, ai plebei quelli latini; ai magistrati latini, quelli provenienti da altre genti dell’Italia49.

 

La posizione di Claudio risultò vincente.

Alla lunga, l’accoglienza degli stranieri ebbe come conseguenza che Roma perdette la sua omogeneità etnica, cosa che probabilmente contribuì al declino delle qualità che avevano fondato e mantenuto il potere romano, come pure all’aumento dei conflitti sociali e politici della tarda repubblica e dell’impero. Tenney Frank rivide criticamente la storia della mescolanza razziale a Roma esaminando la probabile origine dei nomi delle iscrizioni e concludendo: « E’ probabile che, all’epoca in cui essi [Giovenale e Tacito] scrivevano [tra la fine del I e l’inizio del II sec. d. C.] una percentuale assai ridotta dei liberi plebei che circolavano per le strade di Roma potesse comprovare una pura discendenza italica. La stragrande maggioranza (forse il novanta per cento) aveva sangue orientale nelle vene»50.

Frank, che scriveva nel 1916, quando la scienza sociale darwinista era al suo zenit (cfr. cap. 6) propone diverse altre cause del «“suicidio razziale” delle quali gli scrittori dell’età imperiale chiacchieravano apertamente»51. Queste includono le molte guerre i cui soldati provenivano dal ceppo originario dei cittadini nati liberi (che dunque servivano sotto le armi, mentre gli schiavi erano liberi di riprodursi) come pure la bassa fertilità delle classi superiori. Quest’ultimo fattore è davvero notevole:

 

Combinando tra loro fonti epigrafiche e letterarie, è possibile ricavare una storia delle famiglie nobili abbastanza completa, e questa rivela una sorprendente incapacità, da parte di tali famiglie, di perpetuarsi. Sappiamo ad esempio di 45 patrizi viventi all’epoca di Cesare, dei quali uno soltanto era rappresentato da un discendente quando Adriano prese il potere [117 d. C.]. Gli Aemilii, i Fabii, i Claudii, i Manlii, i Valerii e tutti gli altri (con l’eccezione dei Cornelii) erano scomparsi. Augusto e Claudio [all’inizio del I sec. d. C.] elevarono al patriziato 25 famiglie, tutte scomparse, tranne sei, prima del regno di Nerva [96-98 d. C.]. Delle quasi quattrocento famiglie di senatori registrate nel 65 d.C. sotto Nerone, quasi la metà era scomparsa ai tempi di Nerva, ossia una generazione dopo52.

Ma ciò che stava dietro a tutte queste cause di disintegrazione e che costantemente esercitava su di esse la sua influenza era dopo tutto, ed in misura considerevole, il fatto che il popolo che aveva costruito Roma aveva ceduto il suo posto ad una razza differente. La mancanza di energia e di intraprendenza, di previdenza e di buon senso, l’indebolimento della fibra morale e politica furono tutti fattori concomitanti del graduale decremento di quella popolazione che, nell’epoca precedente, aveva dato prova di tali qualità […].

Possiamo addirittura ammettere che se le nuove razze avessero avuto tempo di amalgamarsi e di raggiungere una consapevolezza politica, avrebbe potuto nascere una civiltà più brillante e versatile. Il problema, in ogni caso, non sta qui. E’ evidente che almeno quelle qualità politiche e morali che ebbero maggior peso nella costruzione della federazione italica, nell’organizzazione dell’esercito e del sistema amministrativo provinciale ai tempi della repubblica erano quelle stesse che più necessitavano per tenere insieme l’impero. E per quanto brillanti fossero le doti dei nuovi cittadini, tali qualità facevano loro difetto53.

 

Un chiaro segno di sostituzione della popolazione (già evidente negli Stati Uniti dell’epoca di Frank ma ancor più oggi, quando così tanti monumenti costruiti  dalla maggioranza bianca, comprese le statue di Cristoforo Colombo erette nei quartieri italiani54, vengono abbattuti) fu l’aumento del numero dei santuari dedicati a divinità straniere.

 

Uno dopo l’altro, gli imperatori guadagnarono popolarità tra le masse erigendo santuari ad un qualche Baal straniero, od una statua ad Iside nella sua cappella, più o meno allo stesso modo in cui le nostre città intitolano vie a Garibaldi, Pulaski e via dicendo55.

 

Conclusione: Roma, una strategia evolutiva di gruppo fallimentare.

 

La variante romana del modello culturale IE, nel periodo repubblicano, può essere vista come una strategia che includeva diversi aspetti:

 

  • L’ethos e il prestigio militare IE costituivano la più alta aspirazione pubblica e le famiglie aristocratiche competevano duramente tra loro per la gloria militare;
  • I rapporti patrono-cliente legavano tra loro persone di differenti classi sociali in relazioni di mutuo obbligo e di reciprocità, pratica derivata dai Männerbünde caratteristici delle altre culture IE;
  • Un governo non dispotico e aristocratico, con separazione tra i poteri decisionali e termini di durata ben definiti;
  • Permeabilità tra le classi sociali, così che la mobilità sociale fosse possibile per i plebei dotati di talento;
  • Apertura all’incorporazione di nuovo popoli nella struttura di potere, senza la quale Roma non sarebbe stata in grado di condurre le sue poderose campagne militari.

 

La Roma repubblicana fu essenzialmente un gruppo di clan aristocratici che competevano per l’onore e la gloria mediante manovre politiche volte ad ottenere il consolato e con esso a comandare le operazioni militari contro i gruppi confinanti. Si potrebbe pensare al sistema romano come ad una versione urbanizzata del sistema dei Männerbünde, con un dato numero di famiglie concorrenti per ogni particolare periodo, tutte viventi entro un’area geografica limitata. Poiché i consoli venivano scelti da un’adunanza militare, questo sistema politico formalizzato aveva tipicamente un risultato simile a quello del sistema dei Männerbünde: la selezione dell’uomo più capace nel guidare l’esercito, l’uomo la cui guida avrebbe con maggior probabilità portato alla vittoria e quindi alla ricompensa materiale per la conquista. Allo stesso tempo, prevedendo due consoli per un periodo di tempo limitato, questo sistema era concepito per impedire il dominio di una sola famiglia (a differenza di quanto avverrà nelle tarde aristocrazie europee) garantendo che il talento militare e non l’eredità fosse il fattore critico del successo. Il sistema aveva pertanto le caratteristiche essenziali di un libero mercato. Nel corso del tempo, questo libero mercato del talento venne allargato fino ad includere i plebei e ad eleggere alle più alte cariche dello stato individui provenienti dai popoli conquistati. La mobilità ascendente (come pure quella discendente) era possibile.

Roma era una società schiavista, dove gli schiavi come beni mobili divennero comuni nel IV sec. a. C.; gli schiavi erano una componente di primo piano del bottino di guerra. Comunque, la pratica comune di affrancare gli schiavi, che potevano quindi aspirare alla cittadinanza, fu un altro indicatore dell’apertura e della fluidità sociale della società romana.

Più importante è il fatto che l’esercito non si basò mai sulla schiavitù, come nell’antica Persia. Il successo militare, a sua volta, era un bene per tutte le classi sociali, non solo per le élite. Ad esempio, a prescindere dal bottino derivante dalle campagne militari vittoriose, i cittadini romani erano sovente inviati quali coloni nelle zone conquistate. Nel periodo tra il 338 e il 291 a. C. Roma fondò 16 colonie che coinvolsero circa 50.000 persone, romane e non romane, «che ottennero lo status dei latini diventando coloni»56. Forsythe suggerisce, ragionevolmente, che la pratica della colonizzazione possa essere stata una valvola di sicurezza per i romani poveri e indebitati.

Il risultato fu che il potere romano, a differenza di quello di molte altre civiltà, non era basato sul dispotismo. I cittadini di qualunque classe sociale avevano il loro interesse nel sistema: gli schiavi potevano aspirare alla libertà, coloro che avevano una cittadinanza parziale potevano aspirare alla cittadinanza piena e addirittura alla possibilità di ascendere alla carica di senatore.

Si può ritenere la strategia romana, valutandola correttamente, una strategia evolutiva di gruppo mirante in ultima analisi a migliorare il retaggio genetico di coloro che la praticavano? Suggerirei che la si possa considerare così nella misura in cui le popolazioni assimilate erano strettamente imparentate col ceppo fondatore. Le prime genti assorbite da Roma provenivano da città molto vicine del Lazio. La mobilità sociale ascendente di queste genti fornì a Roma una più vasta manovalanza militare e un più ampio serbatoio di talento politico. All’epoca del discorso di Claudio la questione verteva sull’accorpamento di altri gruppi europei. Nel mondo attuale, essa potrebbe essere considerata analoga all’idea di conseguire un’unione paneuropea con libertà di movimento al proprio interno, limitata tuttavia a popoli che facciano parte del bacino genetico europeo. Se una tale strategia fosse perseguita oggigiorno, essa unirebbe assieme una popolazione bianca ben superiore al miliardo di persone in un formidabile gruppo di cooperazione. Ciò costituirebbe in effetti una strategia evolutiva di gruppo nella misura in cui avesse la volontà politica di escludere le altre popolazioni.

Il problema, naturalmente, proviene dl fatto che una simile politica su base razziale non rappresenta l’obiettivo delle attuali élite di tutto l’Occidente, e si sentono continuamente argomenti, simili a quelli utilizzati da Claudio, secondo i quali tali popolazioni porterebbero un contributo alla società. Un punto di vista realistico sul piano razziale porrebbe l’accento, come obiettivo primario e più importante, sugli interessi genetici degli europei e sul danno a lungo termine che questi  interessi riporterebbero qualora un gruppo che ha una fertilità relativamente bassa accogliesse come cittadini milioni di extraeuropei. Da parte mia porrei altresì in evidenza le differenze tra le popolazioni relativamente a tratti quali in quoziente di intelligenza e l’assimilabilità (p. es. per i musulmani) nonchè i costi del multiculturalismo come pratica che conduce al conflitto tra i gruppi, alla mancanza di coesione sociale e alla riluttanza a contribuire al bene comune.

 

Note.

 

  • Gary FORSYTHE, A Critical History of Early Rome: From Prehistory to the First Punic War by Prof.

Gary Forsythe, Berkeley, University of California Press, 2005.

  • Ibid., 199.
  • FORSYTHE, A Critical History of Early Rome, 200.
  • Ibid., 206.
  • Ibid.
  • Ibid., 307.
  • Ibid., 340.
  • Ibid., 286.
  • Ibid., 286-287.
  • Fiery CUSHMAN, Rationalization is Rational, “Behavioral and Brain Sciences”, in corso di stampa.
  • FORSYTHE, A Critical History of Early Rome, 281.
  • Ibid., 353.
  • Larry SIEDENTOP, Inventing the Individual: The Origins of Western Liberalism, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2014: 14.
  • Ibid., 12.
  • Ibid., 13.
  • Ibid., 20.
  • Ibid., 21.
  • Ibid., 25. [19] Ibid., 52.
  • Ricardo DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization, Leiden, Brill, 2011: passim, vedasi anche cap. 2.
  • FORSYTHE, A Critical History of Early Rome, 167.
  • Ibid., 167.
  • Ibid., 169.
  • Ibid., 98.
  • Ibid., 102-103.
  • Ibid., 103. [27] Ibid., 106.
  • Ricardo DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization, Leiden, Brill, 2011.
  • FORSYTHE, A Critical History of Early Rome, 110.
  • Ibid., 150.
  • Ibid., 229. Il matrimonio per confarreatio era un’eccezione: era limitato ai sacerdoti ereditari patrizi e il suo significato era che i sacerdoti non potevano sposare donne plebee.
  • Ibid., 111.
  • Ibid., 170.
  • Ibid., 171.
  • Ibid., 170.
  • Ibid., 171.
  • Ibid.
  • Andrew LINTOTT, The Constitution of the Roman Republic, Oxford, Oxford University Press, 1999: 14.
  • FORSYTHE, A Critical History of Early Rome, 156-157.
  • Ibid., 160.
  • Ibid., 159.
  • Ibid., 185. [43] Ibid., 290.
  • Le assemblee tribali (comitia tributa) furono costituite sulla base della residenza geografica così come registrata dal censore. Eleggevano i tribuni della plebe che potevano promulgare le leggi e giudicare cause che non comportassero la pena di morte. Avevano inoltre potere di veto sugli atti del senato o di altri magistrati, compresi i consoli; comunque, fino alla tarda repubblica, tale potere fu raramente utilizzato; Ibid., 176.
  • Ibid., 368.
  • Ibid., 220.
  • FORSYTHE, A Critical History of Early Rome, 363.
  • Ibid., 368.
  • Ibid.
  • Tenney FRANK, Race Mixture in the Roman Empire, “American Historical Review”, 21, n. 4, Luglio 1916: 689-708, rist. in “The Occidental Quarterly”, 5, n. 4, Inverno 2005-2006: 51-68, 52. https://www.toqonline.com/archives/v5n4/54-Frank.pdf [51] Ibid., 63.

[52] Ibid., 64. [53] Ibid., 65.

  • John M. VIOLA, Tearing Down Statues of Columbus Also Tears Down My History, “The New York Times”, October 9, 2017.
  • FRANK, Race Mixture in the Roman Empire, 67.
  • FORSYTHE, A Critical History of Early Rome, 308.

 

 

 

INDIVIDUALISMO E TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE: Chapter 3,IL RETAGGIO CULTURALE DEI CACCIATORI-RACCOGLITORI OCCIDENTALI IN EUROPA: L’INDIVIDUALISMO EGUALITARIO.

INDIVIDUALISMO E
TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE.
Origini evolutive, storia e prospettive future.
traduzione italiana di Marco Marchetti

IL RETAGGIO CULTURALE DEI CACCIATORI-RACCOGLITORI OCCIDENTALI  

IN EUROPA: L’INDIVIDUALISMO EGUALITARIO.

Una delle tesi principali di questo libro è che al fine di comprendere le caratteristiche primarie dei popoli e delle culture dell’Europa occidentale si rivelano essenziali due importanti correnti: una cultura guerriera e aristocratica (indicata come “individualismo aristocratico”, nella quale l’egualitarismo è circoscritto alla cerchia dei pari aristocratici e che deriva, fondamentalmente, dagli IE) e la corrente dei CR (vale a dire l’”individualismo egualitario”, che deriva sostanzialmente dai CR settentrionali primitivi). Il presente capitolo offre un’introduzione alla seconda di queste correnti.

Come osservato nel cap. 1, alcuni gruppi di CR hanno fornito un contributo al patrimonio genetico degli europei contemporanei. Questa influenza genetica è più evidente nell’Europa nordoccidentale, specialmente in Scandinavia, mentre lo è meno nell’Europa meridionale. In questo capitolo esaminerò la cultura dei CR settentrionali, per concludere che tale gruppo ha esercitato un’importante influenza sulla cultura europea contemporanea.

Come vedremo più avanti, il mondo occidentale rimane l’unica area culturale caratterizzata da tutti gli indicatori dell’individualismo. Considerate nel loro insieme, queste tendenze sono peculiari dell’area culturale europea occidentale, e la tesi che qui si sostiene è che esse abbiano una base etnica. Non suppongo che gli europei occidentali possiedano un adattamento biologico esclusivo, ma soltanto che essi differiscano nel grado di adattamento, caratteristico di tutti gli umani, e che tale differenza sia sufficiente a consentire l’evoluzione di una cultura umana unica nel suo genere. Per analogia, tutti gli uomini possiedono l’abilità mentale, caratteristica distintiva degli umani, della rappresentazione simbolica e del linguaggio, ma le diverse razze mostrano ancora differenze quantitative nel quoziente intellettivo sufficienti a generare differenze rilevanti tra le loro culture.

 

L’egualitarismo come componente riconoscibile della cultura occidentale.

 

Come osservato nel cap. 2, nelle culture derivate dagli IE erano già presenti forti componenti di individualismo. Pertanto, la tesi che qui si argomenta non è che i CR settentrionali costituiscano l’unica base dell’individualismo occidentale, bensì che l’individualismo degli IE si sia adattato in maniera significativa a quello dei CR che essi incontrarono nell’Europa nordoccidentale. La differenza principale tra questi due filoni è che le culture derivate dagli IE sono fortemente gerarchiche e relativamente egualitarie soltanto all’interno dei gruppi dei pari aristocratici (individualismo aristocratico) mentre i CR erano fortemente egualitari tout court. Compito di questo capitolo è sostenere tale tesi. Il contrasto e il conflitto tra individualismo aristocratico (gerarchico) e individualismo egualitario riveste un’importanza fondamentale per le mie tesi successive.

L’egualitarismo è un tratto rilevante dei gruppi di CR di tutto il mondo. Tali gruppi possiedono meccanismi che impediscono il dispotismo e garantiscono la reciprocità, con sistemi di punizione che vanno dal danneggiamento fisico all’isolamento sociale e all’ostracismo1. Christopher Boehm descrive le società di CR come comunità morali nelle quali le donne esercitano un ruolo di primo piano2 e l’idea che le culture occidentali, in particolare a partire dal secolo XVII, siano comunità morali basate sull’etica egualitaria dei CR giocherà qui un ruolo primario, soprattutto nei capp. 6-8. In tali società le persone sono soggette a una stretta sorveglianza al fine di rilevarne le deviazioni rispetto alle norme sociali; i trasgressori vengono isolati, messi in ridicolo e ostracizzati. Le decisioni, comprese quelle relative alla punizione di una persona, sono prese tramite consenso. I maschi adulti si trattano l’un l’altro come eguali.

 

La tesi ecologica sull’individualismo dei CR.

 

L’idea che i CR abbiano esercitato un’influenza considerevole sulla cultura europea ha la sua origine in una proposta avanzata dal biologo tedesco Fritz Lenz, che scrisse negli anni Venti e Trenta del Novecento. Lenz riteneva che gli europei settentrionali (nordici) fossero stati meno soggetti alla selezione naturale tra gruppi rispetto ad altri gruppi umani, e in particolare alle popolazioni del Medio Oriente. Egli propose che ciò fosse dipeso dalla dura pressione evolutiva esercitata dall’Epoca Glaciale, col risultato che le popolazioni nordiche sarebbero vissute in piccoli gruppi e avrebbero sviluppato una tendenza all’isolamento sociale3. Le capacità intellettive di queste popolazioni sarebbero derivate dalla necessità di padroneggiare l’ambiente naturale, avendo come conseguenza una selezione di tratti collegati ad abilità spaziali e meccaniche, alla progettazione strutturale e all’inventiva, ciò che gli psicologi indicano come “quoziente d’intelligenza di performance”, in contrapposizione al quoziente d’intelligenza verbale, quest’ultimo importante ai fini dell’influenza sociale e prevedibile in popolazioni evolutesi in grandi gruppi. Gli scandinavi moderni sono in effetti assai dotati nelle abilità spaziali4.

Una prospettiva del genere non implicherebbe che gli europei settentrionali siano privi di meccanismi di tipo collettivista per la competizione tra gruppi, ma soltanto che tali meccanismi siano relativamente meno elaborati e/o richiedano un livello più elevato di conflitto tra gruppi per innescare la loro manifestazione.

Questa prospettiva è coerente con la teoria ecologica. In circostanze ambientali avverse l’adattamento si orienta maggiormente a sostenere la sfida dell’ambiente naturale che non alla competizione con altri gruppi. In un ambiente del genere esisterebbe una minor pressione selettiva in favore delle reti di parentela estesa e dei gruppi collettivisti5. L’interpretazione evoluzionista dell’etnocentrismo sottolinea la sua utilità nella competizione tra gruppi. L’etnocentrismo non ha peso nel contrastare l’ambiente naturale, e in ogni caso un ambiente ostile non è in grado di sostentare grandi gruppi in competizione tra loro.

I gruppi europei del nord sono parte dell’area culturale eurasiatica settentrionale e circumpolare6. Quest’area culturale deriva dai CR adattatisi a climi freddi ed ecologicamente avversi. In tali climi esiste una pressione che favorisce il ruolo maschile di procacciatore di beni per la famiglia e una tendenza alla monogamia, perché le condizioni ambientali non sono in grado di sostentare la poliginia o i grandi gruppi per un periodo di tempo evoluzionisticamente significativo. Queste culture sono caratterizzate da relazioni di parentela bilaterali che riconoscono sia la linea maschile che quella femminile e sono alquanto dissimili dal sistema patrilineare degli IE (cfr. il cap. 2). Ciò suggerisce una relativa eguaglianza tra i sessi in confronto alla cultura IE. Vi è inoltre un’enfasi minore sui rapporti di parentela estesi, e il matrimonio tende ad essere esogamo, ossia all’esterno del gruppo di parentela. Tutte queste caratteristiche sono opposte a quelle che si rilevano nell’area culturale mediorientale, comprendente la parte meridionale dell’Eurasia e, in misura minore, l’Europa meridionale (cfr. tabella 1 e cap. 4).

 

Confronti tra forme culturali: Europa e antico Medio Oriente.

 

  Origini culturali dei CR nordoccidentali europei Origini culturali dell’antico Medio

Oriente

Storia evolutiva Caccia-raccolta Pastorizia, agricoltura
Sistema di parentela Bilaterale; 

debolmente patricentrico

Monolineare;  fortemente patricentrico
Sistema familiare Famiglia mononucleare Famiglia estesa;  unione di più famiglie
Pratiche matrimoniali Esogamia; monogamia Endogamia; consanguineità; poliginia.
Psicologia matrimoniale Scelta individuale basata sulle caratteristiche personali del coniuge Utilitarista, basata sulla strategia familiare all’interno del gruppo parentale.
Posizione della donna Relativamente alta. Relativamente bassa.
Etnocentrismo Relativamente basso. Relativamente alto.
Status sociale Influenzato principalmente dalla reputazione. Influenzato principalmente dal gruppo parentale.
Fiducia Basata sulla reputazione dell’individuo. Basata principalmente sulla distanza nella parentela.

 

Questo scenario implica che i popoli europei nordoccidentali siano più inclini all’individualismo perché vissuti per un periodo molto lungo in un contesto ecologico che non sostentava grandi gruppi tribali basati su rapporti di parentela estesa; non esistevano risorse come le fertili valli fluviali che potevano essere controllate su base annuale da parte di un singolo gruppo di parenti.

Queste popolazioni erano costituite da cacciatori e raccoglitori, non da agricoltori. A motivo del livello di produzione economica relativamente basso, la caccia favorisce il ruolo maschile di procacciatore di beni nei riguardi delle femmine7. Questo perché le necessità energetiche del cervello umano possono essere soddisfatte soltanto da una dieta di elevata qualità. Il cervello umano costituisce soltanto il 2% della massa corporea, ma richiede il 20% di tutta l’energia e il 70% nel periodo fetale.

Le necessità energetiche del cervello umano portarono al legame di coppia (la base psicologica della monogamia) in cui si attua una cooperazione tra la femmina, che alleva i figli, e il maschio procacciatore di beni, a partire da circa 500.000 anni fa. La caccia inoltre richiedeva «considerevole esperienza, un’educazione di qualità ed anni di pratica intensiva»8, in altre parole un elevato investimento parentale. Essa inoltre favorisce l’intelligenza perché, per gli umani, la caccia si basa sulle abilità cognitive più che sulla capacità di correre o sulla forza9. Lo scenario della caccia è complesso e continuamente mutevole: ciascuna specie animale mostra tratti comportamentali unici, dipendenti da caratteristiche individuali come il sesso e l’età e da condizioni esterne come la stagione, il tempo atmosferico, la topografia, ecc. Inoltre essa richiede cooperazione e la conservazione di una reputazione di affidabilità all’interno del gruppo, tratti che avranno un peso rilevante nell’analisi dei meccanismi psicologici dello spossessamento dei bianchi che verrà fatta nel cap. 8. Tutte queste tendenze appaiono intensificate nelle regioni settentrionali, dove l’energia per unità di superficie è minore.

 

La complessità sociale dei CR nordeuropei.

 

Un elemento importante da considerare è che i gruppi di CR dell’Europa settentrionale del Mesolitico (15000-5000 ani fa, ben prima della conquista da parte degli IE) non erano costituiti dalle semplici bande di individui tipiche della maggior parte dei CR; erano al contrario piuttosto ampi e complessi.

 

Sembra che queste società degli ultimi cacciatori (raccoglitori e pescatori) dell’Europa settentrionale si siano evolute rapidamente nella direzione di una crescente complessità nel periodo precedente la diffusione dell’agricoltura. La complessità si definisce tramite una maggiore diversità (più cose) e una maggiore integrazione (più collegamenti). I progressi compiuti in campo tecnologico, negli insediamenti e nella sussistenza sono testimoniati dai reperti archeologici. Nel corso di questo periodo la tecnologia si è sviluppata verso una maggiore efficienza nei trasporti, negli utensili e nel procacciamento del cibo. Gli insediamenti erano in generale più ampi, più duraturi e più differenziati nel Mesolitico rispetto al precedente Paleolitico. Il procacciamento del cibo divenne sia più specializzato che più diversificato, specializzato in termini di tecnologia e organizzazione delle attività di ricerca, diversificato in termini di quantità e di tipi di specie e di habitat sfruttati10.

 

Queste complesse società di CR fiorirono all’incirca 8500 anni fa. La densità delle loro popolazioni e la loro complessità sociale le misero in grado di ritardare l’avanzata dell’agricoltura di 2000-3000 anni, probabilmente come effetto di uno stato di guerra11.

 

Dopo una rapida diffusione in tutta l’Europa centrale […] le comunità degli agricoltori trovarono un ostacolo nella pianura europea settentrionale, lasciando le aree costiere del Mare del Nord ai CR che le occupavano […] Ciò non può essere avvenuto a causa delle condizioni ambientali. La frontiera si estende attraverso un’area geografica uniforme e i terreni della Scandinavia meridionale sono, in molte zone, morbidi, fertili e favorevoli alla coltivazione […]. La ragione del ritardo è da ricercarsi nelle comunità tardo-mesolitiche della regione. E’ probabile  che i CR della regione baltica meridionale avessero una densità di popolazione più elevata rispetto a quella dei CR dell’Europa centrale […] insediamenti più grandi e più durevoli […] e un modello economico complesso che comportava siti di sfruttamento specializzati, una pianificazione stagionale e un utilizzo intensivo di specifiche risorse a seconda delle stagioni12.

 

Un fattore critico è che nella maggior parte delle zone la residenza fosse stagionale e non continuativa.

 

In certe aree, come la fascia costiera della Norvegia centro-occidentale, ambienti marini e terrestri particolarmente ricchi di risorse possono aver reso possibile risiedere in zone limitate della regione per tutto l’anno, secondo un diffuso modello sedentario. Ma la maggior parte delle aree aveva un campo base permanente o semi-permanente sulla costa, un certo numero di ampi siti di sfruttamento per le attività di caccia stagionale, raccolta e pesca, un numero maggiore di siti transitori e uno pressochè indefinito di siti speciali o luoghi per attività particolari […] I siti transitori formano collegamenti di primaria importanza nella catena13.

 

Pertanto esisteva una complessità sociale, in un contesto non agricolo, caratterizzata da una residenza transitoria, con piccoli gruppi interrelati che si disperdevano in funzione delle stagioni preservando così l’organizzazione sociale dei CR. Ciò appare in netto contrasto con le classiche civiltà agricole del mondo antico, come pure con molte altre società complesse di CR che erano fortemente gerarchiche e territoriali, con élite capaci di controllare risorse permanenti14. Le complesse società di CR dell’Europa del nord non possedevano alcuna risorsa stabile che potesse essere controllata nel corso dell’anno da una stirpe o da un’élite militare; le relazioni di parentela estesa assumevano pertanto un’importanza minore. In effetti tutte le antiche società agricole originarie si svilupparono attorno ad aree stabili e difendibili, tipicamente attorno a fertili bacini fluviali, come quelli dei fiumi Eufrate, Nilo, Indo e Yangtze. Comunque, nell’Europa del nord, malgrado la loro complessità, questi gruppi di CR non erano in grado di risiedere nella stessa area per tutto l’anno, rimanendo perciò dei raggruppamenti relativamente piccoli, su base familiare e interrelati per una certa parte dell’anno. Fu in questi piccoli gruppi che l’individualismo egualitario sopravvisse, in un mondo che si avviava ad essere dominato dall’agricoltura.

 

L’egualitarismo come tratto fondamentale dei CR settentrionali.

 

Ciò che intendo suggerire è che questa complessità sociale, che comportava ampie popolazioni composte da individui non consanguinei che abitavano zone ricche di risorse che non potevano essere controllate da nessun singolo ampio gruppo parentale nel corso dell’intero anno, ebbe come risultato la permanenza delle tendenze egualitarie che si osservano nei piccoli gruppi di CR di tutto il mondo. I gruppi nordeuropei erano periodicamente costretti a suddividersi in gruppi più piccoli, più basati sulla famiglia, nei quali il dispotismo era tenuto rigidamente sotto controllo; quando, in funzione della stagione, essi interagivano tra loro in un più ampio contesto sociale, nessuno era in grado di controllare l’area; il contesto non consentiva deviazioni dalla struttura sociale egualitaria. D’altro canto, in molte altre società complesse di CR interi villaggi si muovevano tra i territori estivi e quelli invernali se le risorse dipendevano dalle stagioni, col risultato che i capi erano in grado di esercitare il controllo su particolari territori15. In tali società la competizione per lo status era forte. Ad esempio,

 

i territori dei CR della costa nordoccidentale [americana, n. d. t.] non erano semplicemente una serie di punti ricchi di risorse attorno ai quali si svolgeva una complessa competizione. Era il diritto ad utilizzare quegli stessi luoghi (e ad assicurarsene la produttività) ciò che costituiva l’elemento centrale dell’intensa competizione rituale tra stirpi ed élite16.

 

Le complesse società di CR della costa nordoccidentale del Nordamerica non erano dunque affatto egualitarie; le relazioni di parentela estesa patrilineari erano importanti, e i matrimoni tra cugini erano comuni, inclusi, in alcuni gruppi, quelli tra cugini primi17.

Nell’Europa settentrionale, d’altro canto, i gruppi di CR erano costretti ad interagire intensamente con individui non consanguinei e con stranieri per la maggior parte dell’anno, cosa che portò ad enfatizzare il ruolo della fiducia e della conservazione di una buona reputazione all’interno di un più ampio gruppo non basato sulla parentela18. Tuttavia, dato che questi gruppi si frammentavano i gruppi più piccoli per una parte dell’anno, non ebbe luogo una selezione evolutiva contraria all’egualitarismo.

In questi grandi gruppi, che tuttavia compivano migrazioni stagionali, le condizioni ambientali favorirono non soltanto l’egualitarismo, ma anche la monogamia, dato che un singolo uomo non era in grado di controllare abbastanza risorse per un lungo periodo di tempo in modo da rendere possibile la poligamia. In Europa, pertanto, la tendenza alla monogamia veniva ad essere maggiormente fissata sia geneticamente che culturalmente. Come in generale nei gruppi di CR, i maschi di status inferiore sarebbero stati inclini a ridurre il vantaggio riproduttivo degli altri maschi del gruppo19.

Perciò una importante spinta della cultura occidentale è stata quella volta a regolare il comportamento in modo da realizzare una struttura sociale relativamente più egualitaria; in altri termini, in modo da ricreare le condizioni della cultura dei CR. Come discusso nel cap. 5, questa tendenza fu rafforzata dall’azione della Chiesa, per motivi ad essa propri, nel corso del Medioevo.

Tali pratiche sociali egualitarie sono comuni nei gruppi di CR in tutto il mondo20 e danno sostegno all’idea generale secondo la quale questa importante componente della cultura europea, divenuta particolarmente evidente dopo essere assurta al potere a partire dal XVII secolo (cap. 6), riflette la cultura dei CR settentrionali. Di particolare interesse è l’estremo egualitarismo delle società scandinave contemporanee, di cui si discute nel capitolo 8.

 

L’esogamia come caratteristica del matrimonio occidentale.

 

Mentre le culture basate sulla parentela tendono al matrimonio tra parenti, spesso tra cugini primi, il matrimonio nelle società individualiste si basa maggiormente sull’attrazione personale. Si possono formulare congetture sui matrimoni che avevano luogo tra gli individui all’interno degli ampi gruppi che si radunavano stagionalmente, come descritto in precedenza. In un contesto del genere, il matrimonio probabilmente si basava sull’attrazione personale, sui caratteri fisici (attrattività, forza, salute) e sulla personalità (affettuosità, coscienziosità, onestà, coraggio) del potenziale compagno, più di quanto potesse avvenire in una società basata sulla parentela, dove lo scopo principale è quello di rafforzare il gruppo di discendenza.

Quest’enfasi sull’attrazione personale, che qui evidenziamo, è compatibile con la scoperta di circa 19 mutazioni genetiche collegate all’aspetto fisico delle popolazioni europee, e in particolare ai capelli biondi e agli occhi azzurri21. La diversità nel colore dei capelli tra le popolazioni europee è assai maggiore di quella presente in qualsiasi altra popolazione. Ciò significa che gli europei hanno subito una selezione sessuale per questi tratti, che sono attraenti per i potenziali coniugi ma privi di significato funzionale. L’esempio classico di un tratto selezionato per via sessuale è quello dell’elaborata coda del pavone; esso rende il pavone poco capace come volatile, ma continua ad essere presente per via dell’attrattività che esercita nei confronti delle femmine. I tratti percepiti come sessualmente attraenti dal sesso opposto si diffondono nella popolazione anche quando non recano benefici di altro genere.

Queste scoperte sono altresì compatibili con l’ipotesi di Frank Salter secondo la quale i geni recessivi, come quelli dei capelli biondi e degli occhi azzurri, sono connessi a un modello di accoppiamento individualista perché i maschi che investono nella loro prole hanno una maggior sicurezza della loro paternità se i loro figli hanno il loro stesso aspetto22. I caratteri recessivi renderebbero più facile individuare i figli di femmine infedeli. I maschi che investono nella prole devono nutrire una preoccupazione vitale riguardo alla paternità, e alle società individualiste tendono a mancare i forti controlli sociali esterni che sono consueti nelle culture collettiviste (p. es. la purdah, propria di molte culture dell’Asia Meridionale hindu e musulmane22a) nelle quali le donne in età fertile sono mantenute recluse o costantemente sorvegliate.

Per gli europei il matrimonio si basava pertanto più sulla scelta individuale che sul consolidamento dei legami di parentela, ottenuto ad esempio sposando cugini primi o altri consanguinei indipendentemente dai loro tratti (cosa che costituisce un modello nella maggior parte del resto del mondo). Ancora, come conseguenza dell’individualismo, le relazioni tra occidentali, inclusa quella matrimoniale, sono maggiormente orientate al mercato (predisponenti al capitalismo come sistema economico): i portatori di tratti relativamente attraenti hanno più successo sul mercato matrimoniale.

 

L’amore come elemento centrale del matrimonio occidentale.

 

L’amore (altro aspetto della scelta individuale) è stato valorizzato in Occidente assai più che nelle altre culture del mondo. Nelle società collettiviste (vale a dire nella grande maggioranza delle società umane, cfr. cap. 4) il matrimonio si basa sul legame con i parenti, in maniera alquanto indipendente dalle loro caratteristiche personali23. Nelle società europee, a partire dalle epoche più remote per le quali si possiedono dati, il coniuge veniva scelto sulla base di una varietà di caratteristiche personali, inclusi tratti della personalità quali l’amore e la dedizione familiare, che stanno alla base delle relazioni affettive e intime24. Questa tendenza al calore e all’affetto si può rilevare anche nelle interazioni tra madre e figlio: se, da un lato, le madri africane sono sensibili e sollecite verso le esigenze dei neonati, dall’altro le interazioni tra madre e bambino nelle tipiche culture africane sono prive del calore e dell’affetto che sono invece caratteristici delle culture europee25.

Ciò si accorda bene col commento di John Murray Cuddihy relativo alla lunga serie di intellettuali ebrei che ha visto l’amore come il prodotto di una cultura aliena, come in effetti era26. Egli cita, ad esempio, uno dei discepoli di Freud, Theodor Reik: «L’amore o il romanticismo non hanno dimora nella Judengasse [il quartiere ebraico]». Coerentemente con la precedente analisi teorica, le pressioni selettive in ambienti naturali ostili combinate alla scelta individuale del compagno (vale a dire attribuendo maggiore importanza alle caratteristiche personali che alla posizione nella parentela) avrebbero dunque indirizzato gli europei a valorizzare come base del matrimonio l’amore, considerato come un tratto che rende le relazioni intime tra coniugi reciprocamente ed intrinsecamente gratificanti, che porta alla fiducia nella paternità e alla conseguente disponibilità da parte dei padri a provvedere alla famiglia, nonché a stretti rapporti tra i padri e i loro figli.

John Money ha osservato la tendenza relativamente maggiore, da parte dei gruppi europei settentrionali, a porre l’amore romantico quale base del matrimonio27. A livello psicologico, la base evolutiva dell’individualismo comporta quindi meccanismi come l’amore romantico e l’attrattività fisica, per i quali il comportamento nell’accoppiamento è gratificante di per sè28, invece di essere imposto da strategie familiari o da pratiche coercitive come la purdah, come avviene nelle culture collettiviste.

Anche la salute e lo status sociale hanno costituito criteri importanti per il matrimonio nelle società occidentali, in particolare per le classi possidenti, ma anche tra queste è stata presente una tendenza al matrimonio basato sull’affetto e sul consenso tra i coniugi. Nel XVIII secolo e successivamente le relazioni intime fondate sull’affetto e sull’amore sono state universalmente considerate come la basa appropriata del matrimonio monogamico in tutte le classi sociali, inclusa quella dei proprietari terrieri aristocratici29.

 

Differenze psicologiche tra le popolazioni WEIRD e le altre.

 

La ricerca interculturale mostra differenze in un’ampia gamma di tratti riconducibili in ultima analisi all’individualismo. Joseph Henrich e colleghi hanno esaminato i risultati della ricerca mostrando le differenze tra soggetti provenienti dai paesi occidentali, istruiti, industrializzati, ricchi e democratici (WEIRD)29a e soggetti appartenenti ad un’ampia serie di altre culture per quanto riguarda i caratteri sociali

(correttezza, cooperazione, ragionamento morale, concetto di sé e motivazioni correlate) percezione (percezione visiva e ragionamento spaziale) e cognizione (categorizzazione e induzione inferenziale, stili di ragionamento)30.

 

Scambio sociale e punizione altruistica.

Riguardo al comportamento sociale, gran parte della ricerca si è imperniata sul “gioco dell’ultimatum”, nel quale persone estranee e anonime hanno la possibilità di interagire una sola volta mettendo in gioco una concreta somma di denaro. Uno dei due giocatori (il proponente) offre una parte di questa somma (da zero al totale) all’altro giocatore (il rispondente). Questi deve decidere se accettare o rifiutare l’offerta. Se accetta, riceve la somma proposta e il proponente tiene per sé il rimanente; se rifiuta, nessuno dei due ottiene alcunchè. Se i giocatori fossero motivati unicamente dal proprio interesse, i rispondenti dovrebbero sempre accettare una qualunque offerta maggiore di zero; e sapendo ciò, qualunque proponente che miri al proprio interesse dovrebbe offrire una somma comunque maggiore di zero.

I soggetti provenienti dagli USA, che Henrich e i suoi colleghi hanno rilevato essere la società più individualista del loro campione, offrivano generalmente il 40-50%, mentre le offerte inferiori al 30% erano normalmente rifiutate, sebbene questo comportamento fosse irrazionale e configurasse una forma di punizione altruistica nella quale il rispondente che rifiuta l’offerta punisce il proponente anche a costo di rimetterci. Gli studiosi evoluzionisti ne hanno ricavato che tendenze del genere possono essersi evolute soltanto tra popolazioni che conoscevano la reputazione di coloro con i quali trattavano, esseri umani che si erano evoluti in piccoli gruppi nei quali la grande maggioranza delle interazioni aveva luogo tra persone che si conoscevano. Mentre gli americani tendevano a fare offerte consistenti e a rifiutare le offerte basse, i soggetti provenienti da società più piccole tendevano a fare piccole offerte, che a loro volta non venivano rifiutate. Ciò suggerisce che gli individui appartenenti a società fortemente individualiste siano abituati ad interagire con estranei (o si siano evoluti in ambienti nei quali le interazioni tra estranei erano la norma); essi perciò fanno offerte maggiori, sapendo che la controparte li punirà qualora facciano offerte basse.

Questa situazione riproduce dunque una cultura individualista, perché i partecipanti sono tra loro estranei, senza legami di parentela. Essa implica che gli individualisti siano propensi a punire quei soggetti che essi considerano scorretti, anche a costo del proprio interesse. Ad esempio uno studio ha rilevato che nei giochi che prevedono più interazioni (diversamente cioè dal gioco dell’ultimatum, che ne prevede una sola) i

soggetti provenienti dai paesi occidentali, che facevano offerte elevate, tendevano a punire coloro che facevano offerte basse anche se così facendo ci perdevano, e che i soggetti puniti facevano in seguito offerte maggiori. I ricercatori suggeriscono che gli individui appartenenti a culture individualiste abbiano evoluto una reazione emotiva negativa nei confronti degli opportunisti, risultate nella punizione di tali soggetti anche a costo di rimetterci personalmente; da qui l’espressione “punizione altruistica”. Fatto importante è che gli individui puniti mutavano il loro modo di agire donando somme maggiori nei turni di gioco successivi, pur sapendo che le loro controparti in questi turni non sarebbero state le stesse dei turni precedenti. Il tema della punizione altruistica riemergerà nei capitoli 6-8 parlando della punizione applicata a individui o gruppi che si allontanano dal consenso morale.

Un altro studio su un campione più ampio di culture ha replicato i risultati relativi al dono e agli effetti incentivanti alla cooperazione che derivano dalla punizione. Comunque, i soggetti provenienti da paesi non occidentali in primo luogo donavano meno (erano meno cooperativi) e poi erano maggiormente inclini a rispondere alla punizione con la vendetta piuttosto che con un aumento di cooperazione. Gli autori dello studio suggeriscono che «poiché nel nostro esperimento tutti i partecipanti erano estranei tra loro, i soggetti appartenenti a società collettiviste potrebbero essere stati maggiormente inclini, rispetto a quelli provenienti da società individualiste, a percepire  gli altri partecipanti come estranei al loro gruppo. Pertanto la punizione antisociale [vendetta] potrebbe essere più forte nelle società collettiviste che in quelle individualiste»31. Per contro, gli individualisti sono meno inclini a percepire gli altri come membri di un gruppo estraneo e dunque meno inclini a vendicarsi.

Anche i risultati del “gioco del dittatore” sono rivelatori. In questo caso una persona può decidere quanto donare all’altra, ma quest’ultima non può rifiutare l’offerta. I soggetti provenienti dagli USA tendevano ad offrire intorno al 47% della loro somma, porzione sostanzialmente più grande rispetto a quella offerta da soggetti provenienti da piccole società non occidentali. Ancora una volta, i risultati sono compatibili con l’ipotesi che gli occidentali si siano evoluti in un ambiente in cui l’interazione con estranei era la norma, dove però gli individui tendevano ad essere generosi perché preoccupati della loro reputazione in vista di future interazioni.

La ricerca fornisce un modello dell’evoluzione della cooperazione nelle popolazioni individualiste. I risultati sono applicabili soprattutto ai gruppi individualisti perché questi non sono basati sulle relazioni di parentela estesa; gli individui interagiscono con altri che non sono loro consanguinei e perciò sono assai più inclini alla defezione (non cooperazione). Come risultato, la cooperazione può aver luogo soltanto se gli individui sono inclini a punire coloro che non collaborano e se fanno offerte attraenti in giochi come quello dell’ultimatum. In generale, nelle società individualiste è più probabile osservare livelli più elevati di punizione altruistica. Questi risultati sono meno applicabili a gruppi fortemente collettivisti, che nelle società tradizionali si basavano sulle relazioni di parentela estesa, sui legami di sangue riconosciuti e sulle ripetute interazioni tra i membri. In situazioni del genere gli individui conoscono coloro con i quali collaborano e ne prevedono la collaborazione futura poiché costoro sono inseriti nelle reti della parentela estesa. Faranno buone offerte soltanto alle persone che conoscono e non rifiuteranno quelle ricevute da persone conosciute.

Gli europei, dunque, corrispondono precisamente al modello di gruppo che queste ricerche configurano: essi mostrano elevati livelli di cooperazione con gli estranei piuttosto che con i membri della famiglia estesa e sono inclini alle relazioni di mercato e all’individualismo.

Ciò suggerisce l’intrigante possibilità che una strategia chiave per qualunque gruppo intenda mettere gli europei gli uni contro gli altri sia quella di far detonare la loro forte tendenza alla punizione altruistica convincendoli della corruzione morale del loro stesso popolo. La punizione altruistica è essenzialmente una condanna morale dell’altro in quanto sleale. Poiché gli europei sono individualisti fino al midollo, essi sono pronti ad esibire sdegno morale verso la loro stessa gente quando questa sia vista come traditrice di ciò che costituisce il consenso morale e perciò degna di biasimo, una manifestazione questa della maggior tendenza degli europei alla punizione altruistica, derivante dal loro passato evolutivo di CR. Nella punizione altruistica la distanza genetica relativa è irrilevante. Gli opportunisti vengono considerati come estranei in una situazione di mercato, vale a dire soggetti che non hanno legami tribali o familiari con colui che attua la punizione. Questo scenario è analizzato ulteriormente nel capitolo 6, che si concentra sui puritani come esempio di questa tendenza alla punizione altruistica.

 

Altre tendenze psicologiche delle popolazioni WEIRD.

I WEIRD tendono a vedersi come indipendenti ed autonomi, piuttosto che invischiati in relazioni sociali e con un forte senso dei ruoli sociali. Si considerano portatori di vari aspetti della personalità (p. es. introversione / estroversione) che spiegano il loro comportamento, piuttosto che di ruoli socialmente prescritti (p. es. comportamenti appropriati per i maschi ma non per le femmine). Essi tendono inoltre ad avere un’elevata immagine di sé e sono più inclini ad incorrere in pregiudizi egocentrici, mentre in molte società non occidentali, specialmente dell’Asia orientale, gli individui tendono maggiormente ad eclissare il proprio ego. I WEIRD attribuiscono valore al senso di libertà e sono più inclini a credere che le loro azioni siano frutto di libera scelta. Sull’altro fronte, gli individui appartenenti alle società non occidentali hanno una minore propensione a credere che le loro azioni siano scelte liberamente e più inclini ad appoggiarsi ad altre persone degne di fiducia affinchè decidano per loro. Inoltre, in alcuni studi in cui dei soggetti sono messi a confronto con diversi altri che sostengono qualcosa che, ad ogni evidenza, non è corretto, gli occidentali sono più inclini a dissentire dal consenso generale (sebbene anche la maggior parte degli occidentali tenda a seguire l’opinione prevalente).

Ragionamento morale. Un contrasto esemplificativo tra occidentali e non occidentali può essere osservato nel campo del ragionamento morale. Nelle società non occidentali basate sulla parentela estesa la moralità è definita in funzione del fatto che un’azione soddisfi o meno gli obblighi interni alla famiglia o al gruppo di parentela, mentre nelle società individualiste la moralità è pensata come un qualcosa che soddisfa nozioni di giustizia astratte, come nel caso dell’imperativo categorico kantiano: agisci secondo quella massima che vorresti seguisse ogni altra persona razionale, come fosse una legge universale.

Le implicazioni morali della distinzione tra individualismo e collettivismo si possono osservare in uno studio che mette a confronto l’India (cultura collettivista) e gli Stati Uniti (cultura individualista). A soggetti giovani e bambini viene chiesto cosa farebbero nella seguente situazione:

 

Ben si trova a Los Angeles per lavoro. Terminata la riunione, si reca alla stazione ferroviaria. Ben intende andare a San Francisco per partecipare al matrimonio del suo migliore amico. Deve prendere il primo treno se vuole arrivare in tempo alla cerimonia, perché è suo compito portare gli anelli nuziali. Tuttavia, mentre è alla stazione, gli viene rubato il portafoglio. Così Ben perde tutto il suo denaro e il biglietto per San Francisco. Ben allora si rivolge a diversi funzionari delle ferrovie e passeggeri chiedendo loro di prestargli del denaro per acquistare un nuovo biglietto. Ma siccome è  uno sconosciuto, nessuno vuole prestargli il denaro di cui ha bisogno. Mentre è seduto su una panchina pensando a cosa fare, un uomo ben vestito che sedeva accanto a lui si alza e si allontana per un qualche minuto. Guardando il posto in cui l’uomo era seduto, Ben nota che costui ha lasciato il suo soprabito incustodito. Dalla tasca del soprabito spunta un biglietto per San Francisco. Ben sa che può prendere il biglietto e usarlo per prendere il primo treno. Vede anche che l’uomo ha in tasca denaro più che sufficiente per comprarsi un altro biglietto.

 

Rispetto agli americani, più del doppio dei soggetti indiani ha mostrato l’intenzione di prendere il biglietto in modo da poter soddisfare i propri obblighi sociali (circa l’80% contro il 40%); ciò vuol dire che nelle culture collettiviste gli obblighi sociali sono parte integrante delle relazioni di parentela32. I bambini statunitensi, d’altro canto, tendevano a sostenere che Ben non dovesse rubare il biglietto, perché il furto va contro i principi della giustizia che valgono per chiunque. Perciò per i bambini indiani la moralità è definita dagli obblighi sociali (il cui prototipo sono gli obblighi verso i membri della famiglia) mentre per i bambini statunitensi la moralità è maggiormente definita in base ad astratti principi di giustizia. Henrich et al. osservano che nelle culture collettiviste neppure le persone di elevata cultura riescono a mostrare un ragionamento morale basato su principi astratti.

Differenze cognitive. I soggetti WEIRD tendono anche a mostrare importanti differenze cognitive rispetto ai non occidentali. Noi occidentali tendiamo maggiormente al ragionamento analitico (astrarre gli oggetti dal contesto, prestare attenzione alle caratteristiche intrinseche degli oggetti, sviluppare regole per spiegare e predire i fenomeni) che è opposto al ragionamento olistico (prestare attenzione alle relazioni tra gli oggetti e al contesto che li circonda). Il pensiero analitico è associato ad un’idea di sé come soggetto indipendente, mentre il pensiero olistico  si collega ad un’idea di sé come interdipendente rispetto ad altre persone. Per esempio la memoria degli oggetti, quando il contesto sia rimosso, risulta più scarsa tra gli asiatici rispetto agli occidentali, il che implica che gli occidentali prestino minore attenzione al contesto e alle relazioni tra questo e gli oggetti in esso contenuti. Inoltre gli occidentali tendono a categorizzare gli oggetti in base a regole che sono indipendenti dalla funzione, e dunque più astratte, mentre i non occidentali sono più inclini a categorizzare sulla base della funzione e delle relazioni col contesto.

Queste differenze in diversi ambiti tendono a suggerire con forza l’esistenza di una base biologica per l’individualismo occidentale. Le differenze tra culture individualiste e culture collettiviste (riguardino esse la lealtà e la punizione altruistica, il ragionamento morale, la cognizione o la percezione) sono tutte connesse tra loro, rientrano tutte nello stesso modello coerente in base al quale gli occidentali si distaccano dal contesto sociale, cognitivo e percettivo, mentre i non occidentali vedono il mondo in modo fortemente integrato. Questo modello è fortemente coerente col fatto che le popolazioni occidentali siano più inclini al ragionamento scientifico, fenomeno discusso nel capitolo 9.

Conclusione.

La corrente individualista egualitaria della cultura occidentale è una componente importante dell’attuale clima culturale dell’Occidente. La tesi che qui si sostiene è che l’individualismo egualitario e l’individualismo aristocratico siano fattori critici per comprendere il dinamismo dell’Occidente, in particolare nel mondo postmedievale. I contrasti tra queste due correnti saranno l’argomento dei prossimi capitoli. Comunque, il capitolo seguente si focalizzerà sui peculiari modelli di famiglia dell’Europa occidentale, come premessa necessaria a tale discussione.

 


Note.

 

  • Christopher H. BOHEM, Hierarchy in the Forest: The Evolution of Egalitarian Behavior, Cambridge, Harvard University Press, 1999.
  • Ibid.
  • Fritz LENZ, The Inheritance of Intellectual Gifts, in Erwin BAUR, Eugen FISCHER, Fritz LENZ, Human Heredity, trad. Edan Paul e Cedar Paul, New York, Macmillan, 1931: 657.
  • Antoine COUTROT et al., Global Determinants of Navigation Ability, “Current Biology”, 28, settembre 2018: 2861-2866.
  • R. E. SOUTHWOOD, Habitat, the Temple for Ecological Strategies?, “Journal of Animal Ecology”, 46,

1977: 337-366; T. R. E. SOUTHWOOD, Bionomic Strategies and Population Parameters, in Robert M. MAY (ed.) Theoretical Ecology: Principles and Applications, Sunderland, MA, Sinauer Associates, 1981: 26-48.

  • Michael L. BURTON, Carmella C. MOORE, John W. M. WHITING, A. KIMBALL ROMNEY, Regions Based on Social Structure, “Current Anthropology”, 37, 1996: 87-123.
  • Wil ROEBROEKS, Hominid Behaviour and rhe Earliest Occupation of Europe: An Exploration, “Journal of Human Evolution”, 41, 2001: 437-461.
  • Ibid., 450.
  • C. FRISON, Paleoindian Large Mammal Hunters of the Plains of North America, “Proceedings of the National Academy of Science”, 95, 1998: 14575-14583.
  • DOUGLAS PRICE, The Mesolithic of Northern Europe, “Annual Review of Anthropology”, 20, 1991:

211-233, 229.

  • Lawrence H. KEELEY, Frontier Warfare in the Early Neolithic, in D. L. MARTIN, Paul DOLUKHANOV (eds.), Troubled Times: Violence and Warfare in the Past, New York, Gordon and Breach, 1997: 303-319. [12] Marek ZVELEBIL, Paul DOLUKHANOV, The Transition to Farming in Eastern and Northern Europe, “Journal of World Prehistory, 5, 1991: 233-278, 262-263.
  • Sveinung BANG-ANDERSEN, Coast/Inland Relations in the Mesolithic of Southern Norway, “World Archaeology”, 27, 1996: 427-443, 436, 437, corsivi nell’originale.
  • Jeanne ARNOLD et al., Entrenched Disbelief: Complex H-gs and the Case for Inclusive Cultural Evolutionary Thinking, “Journal of Archaeological Method and Theory”, 23, 2016: 448-499.
  • Ibid.
  • Ibid., 489.
  • Frank RISDALE, A Discussion of the Potlatch and Social Structure, “Totem: The University of Western Ontario Journal of Anthropology”, 3. n. 2, 2011: 7-15, http://ir.lib.uwo.ca/totem/vol13/iss2/3.
  • In assenza di legami di parentela la reputazione diviene il criterio per le relazioni. Andrew Fraser osserva che la pronuncia di un giuramento era e rimane una singolare preoccupazione degli inglesi, al punto che «l’ordinario spettacolo degli immigrati dal Terzo Mondo che recitano il giuramento di lealtà nelle cerimonie di naturalizzazione è studiato per riscaldare i cuori dei WASP, votati anima e corpo alla fede costituzionale nel nazionalismo civile». La pronuncia di un giuramento è un’affermazione pubblica che riguarda sostanzialmente la reputazione di un individuo. E’ certamente un po’ egoistico, da parte dei WASP, presupporre che altri popoli abbiano un senso della pubblica affidabilità simile al loro:

 

I WASP sono anime fiduciose. Ed è proprio per questa ragione che essi possono venire facilmente sfruttati da coloro che promettono una cosa e poi ne fanno un’altra […] L’immigrazione di massa dal Terzo Mondo comporta enormi rischi per le società anglosassoni fondate su un peculiare modello di comportamento affidabile che si è evoluto nel corso di molti secoli. Se i nuovi venuti non accettano gli obblighi che la cultura civile della società ospite comporta, e in particolare la necessità di rinnegare i preesistenti vincoli di fedeltà razziale, etnica e religiosa, saranno destinati a compromettere i benefici della buona cittadinanza nella nazione anglosassone ospite.

 

Ogni evidenza indica che questi gruppi non rinnegheranno tali vincoli, non più di quanto gli ebrei abbiano rinnegato i loro legami etnici e religiosi pur essendo vissuti tra gli europei per secoli. Andrew FRASER, The WASP Question, Mumbai, Arktos, 2011: 57, 64.

  • Christopher H. BOHEM, Hierarchy in the Forest: The Evolution of Egalitarian Behavior, Cambridge, Harvard University Press, 1999.
  • Ibid.
  • Peter FROST, European Hair and Eye Color: A Case od Frequency-Dependent Sexual Selection?, “Evolution and Human Behavior”, 27, 2006: 85-103.
  • Frank SALTER, Carrier Females and Sender Males: An Evolutionary Hypothesis Linking Female

Attractiveness, Family Resemblance and Paternity Confidence, “Ethology and Sociobiology”, 17, n. 4, 1996: 211-220.

[22a] Purdah: pratica di separazione delle donne dalla società maschile che si attua mediante la copertura del volto o la segregazione fisica delle stesse.

  • Harry C. TRIANDIS, Cross-cultural Studies of Individualism and Collectivism, in John J. BERMAN (ed.) Current Theory and Research in Motivation: Nebraska Symposium on Motivation: Cross Cultural Perspectives, 37, Lincoln, NE, University of Nebraska Press, 1989: 41-133.
  • Si veda il cap. 8 per una discussione sulla ricerca psicologica relativa a questo tratto.
  • Kevin MACDONALD, Emily PATCH, Aurelio José FIGUEREDO, Love, Trust and Evolution:

Nurturance/Love and Trust as Two Independent Attachment Systems Underlying Intimate Relationships, “Psychology”, 7, n. 2, 2016:238-253.

  • John Murray CUDDIHY, The Ordeal of Civility: Freud, Marx, Levi-Strauss and the Jewish Struggle witn Modernity, New York, Basic Books, 1974.
  • MONEY, Love and Love Sickness.
  • Kevin MACDONALD, Warmth as a Developmental Construct: An Evolutionary Analysis, “Child Development”, 63, 1992: 753-773.
  • Lawrence STONE, The Family, Sex and Marriage in England 1500-1800, London, Weidenfend & Nicholson, 1977.

[29a] N. d. t.: La sigla WEIRD, che sta per Western, Educated, Industrialized, Rich, Democratic, richiama la parola inglese weird che significa strano, bizzarro.

  • Joseph HENRICH, Steven J. HEINE, Ara NORENZAYAN, The Weirdest People in the World?, “Behavioral and Brain Sciences, 33, 2010: 61-135.
  • Benedikt HERRMANN, Christian THONI, C. e Simon GACHTER, Antisocial Punishment Across Societies, “Science”, 319, n. 5868, 2008: 1362-67, 1366.
  • Joan G. Miller, David M. Bersoff, Culture and Moral Judgment: How Are Conflicts between Justice and Interpersonal Responsibilities Resolved, “Journal of Personality and Social Psychology, 62, 1992: 541554, 545.

 

 

 

INDIVIDUALISMO E TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE: Capitolo 4, LE BASI FAMILIARI DELL’INDIVIDUALISMO EUROPEO

INDIVIDUALISMO E
TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE.
Origini evolutive, storia e prospettive future.
traduzione italiana di Marco Marchetti

LE BASI FAMILIARI DELL’INDIVIDUALISMO EUROPEO1.

Esiste un consenso tra gli studiosi di storia della famiglia sul fatto che la struttura della famiglia nell’Europa nordoccidentale sia unica: Mary S. Hartman l’ha definita un modello “strano” e “aberrante”2. Comunque, si discute riguardo all’epoca precisa a partire dalla quale tale modello familiare diventa distinguibile, come pure riguardo alle sue origini. Un’opinione comune tra gli storici è stata quella secondo cui l’unicità europea è derivata dalla creazione del capitalismo e di un sistema di stati nazionali3: una prospettiva ancora da tracciare, calata dall’alto, che postula un ruolo centrale delle élite. Ma gli storici della famiglia hanno prodotto prove del fatto che tale peculiare struttura familiare preceda di molto quei caratteri della modernizzazione occidentale e che, in effetti, essa abbia avuto un ruolo causale primario nella creazione del mondo moderno4. Questa seconda prospettiva si accorda bene con la visione biologica qui elaborata, perché individua la struttura familiare come una variabile centrale soggetta all’analisi evoluzionistico-biologica.

 

Il matrimonio nell’Europa occidentale: alcune differenze fondamentali.

 

Il modello standard di matrimonio nelle società non occidentali ad agricoltura intensiva, comprendenti anche l’Europa meridionale e orientale, era quello in cui il controllo veniva esercitato dai genitori e la donna era considerevolmente più giovane dell’uomo (in media di 7-10 anni). La coppia si trasferiva nella medesima dimora dei genitori dello sposo dando luogo ad una coabitazione multifamiliare (sovente indicata come famiglie congiunte) nella quale gli individui erano inseriti nelle reti della parentela estesa patrilineare. Era un fatto insolito che le persone non si sposassero. Nell’Europa meridionale e centrale tali famiglie erano monogamiche, ma spesso in altre aree, come nel Medio Oriente, non era così.

Esistevano differenze di rilievo tra le regioni in cui erano diffuse le famiglie congiunte e il modello familiare presente in Inghilterra, Paesi Bassi, Scandinavia, Francia settentrionale, nei paesi di lingua tedesca e nell’Italia del nord (colonizzata dalla popolazione germanica dei longobardi). Queste differenze risalgono almeno al Medioevo e qui sosterremo la tesi che esse rimontino alla preistoria e che abbiano avuto una probabile origine evolutiva.

Nell’Europa nordoccidentale 1) il matrimonio era monogamico; come osservato nei capitoli 2 e 3, la monogamia è una caratteristica primordiale degli europei discendenti dagli IE (p. es. la cultura della Ceramica Cordata) e dai CR; 2) il matrimonio tardivo era comune (tranne che per l’aristocrazia); 3) gli sposi avevano un’età simile; 4) gli individui non sposati, specialmente le donne, erano relativamente frequenti; 5) significativamente, la coppia di sposi si sistemava in maniera indipendente dai loro parenti e dalle famiglie estese; e 6) ad eccezione delle élite (che si conformarono al modello soltanto molto più tardi) il matrimonio non era combinato dai genitori, ma dipendeva dalla scelta individuale degli sposi5. Poiché le famiglie aristocratiche si discostavano da questo modello in maniera significativa, questo regime matrimoniale non può essere considerato come un’influenza culturale imposta dall’alto.

I due modelli di struttura familiare tendevano ad avere un numero di membri simile, ma la differenza stava nel fatto che nell’Europa nordoccidentale le persone in più rispetto ai membri della famiglia in senso stretto erano servitori, non parenti6. Perciò il modello dell’Europa nordoccidentale era quello di una famiglia staccata dalle reti della parentela estesa, situazione alquanto dissimile rispetto al modello diffuso tra le culture basate sull’agricoltura intensiva nel resto del mondo. Inoltre, siccome gli individui creavano una loro vita domestica economicamente indipendente, il modello familiare europeo nordoccidentale incoraggiava il risparmio negli anni precedenti il matrimonio e la pianificazione per il futuro, quando il matrimonio sarebbe diventato possibile7.

A causa dell’importanza della proprietà e del rango sociale, i matrimoni tra gli aristocratici si basavano più raramente sulle caratteristiche personali, e fu soltanto col XVIII secolo che anche nell’alta aristocrazia penetrò l’idea che il matrimonio dovesse presupporre l’affetto e l’amicizia tra gli sposi8. Ciò rifletteva la politica della Chiesa riguardo al matrimonio, che implicava una forte enfasi sul consenso e sull’affetto tra i coniugi. Nel XVIII secolo le relazioni intime fondate sull’affetto e sull’amore vennero universalmente considerate come la base più adatta del matrimonio monogamico da tutte le classi sociali, compresi i proprietari terrieri aristocratici9. Come appare dai racconti di Jane Austen, tra i proprietari terrieri l’ideale era un matrimonio nel quale si combinassero proprietà e vincoli di attrazione personale e tra questi, in primo luogo, l’amore romantico.

Ciò contrasta fortemente con le società non occidentali. «Mentre nelle società industriali occidentali la relazione emotiva tra marito e moglie è fondamentale, essa non rappresenta il perno della struttura sociale nella maggior parte delle altre società»10. In effetti, ciò costituisce un generale elemento di contrasto tra le società stratificate orientali e quelle occidentali11. L’idealizzazione dell’amore romantico quale base del matrimonio monogamico ha anche caratterizzato periodicamente i movimenti intellettuali laici dell’Occidente, come lo stoicismo della tarda Antichità e il romanticismo del XIX secolo12. Ciò non significa che nelle altre società non esistano l’amore e l’affetto tra i componenti della coppia; il fatto è che nelle società occidentali si pone su tali aspetti un’enfasi maggiore, al punto che essa viene ad essere la prima condizione del matrimonio. Così come ciò non significa che le considerazioni riguardanti la ricchezza e lo status sociale non abbiano importanza nelle società occidentali; il fatto è che l’amore romantico e l’attrazione personale sono divenuti condizioni necessarie per la scelta di un compagno appropriato, e questo, alla fine, anche tra gli aristocratici.

La pratica di accogliere nell’ambito familiare servitori non legati da vincoli di parentela merita notevole attenzione, perché una semplice considerazione di carattere economico appare inadeguata a spiegarla. Nell’Inghilterra preindustriale una percentuale di giovani tra il 30 e il 40 per cento lavorava a servizio di altre persone, costituendo la più ampia fascia occupazionale fino al XX secolo13. La pratica di prendere persone a servizio andava al di là del provvedere alle proprie necessità avvalendosi di altri. Talvolta la gente mandava i propri figli a servizio presso altre case, accogliendo al contempo presso di sé dei servitori non legati da vincoli di parentela14. Non erano soltanto i figli dei poveri e delle persone prive di proprietà terriere a lavorare a servizio; anche contadini importanti e abbienti mandavano i loro figli altrove come servitori. Nel XVII e nel XVIII secolo le coppie appena sposate prendevano spesso con loro dei servitori prima che i loro stessi figli fossero in grado di aiutarli, quindi mandavano i loro figli, quando questi erano cresciuti, a servizio presso altri, così che la manodopera era sempre abbondante15.

Ciò suggerisce una pratica culturale profondamente radicata, che aveva come risultato un elevato livello di reciprocità non basata sulla parentela. Tale pratica rivela inoltre una relativa mancanza di etnocentrismo, perchè le persone accoglievano individui non imparentati quali membri del loro gruppo familiare anche quando erano disponibili dei parenti. Queste società preindustriali non erano organizzate in base alla parentela estesa, ed è facile vedere come fossero pre-adattate alla rivoluzione industriale e, in generale, al mondo moderno. Nel resto dell’Eurasia c’era una tendenza assai maggiore, da parte dei nuclei familiari, ad essere formati da consanguinei16.

Appare intrigante il fatto che le società di CR che vivono in climi difficili possiedano spesso sistemi di reciprocità assai elaborati miranti alla ripartizione delle risorse, come ad esempio la carne. Sospetto che il sistema di reciprocità non basato sui rapporti di parentela così tipico dell’Europa nordoccidentale preindustriale, come si è visto a proposito della pratica di accogliere come servitori individui non imparentati, sia un’altra reliquia della prolungata evoluzione nel duro clima settentrionale.

Mentre Hartman ed altri pongono l’accento sul matrimonio tardivo come caratteristica chiave delle famiglie occidentali17, forse sulla base di una maggior propensione alle tematiche femministe, un’analisi evoluzionista sottolinea altresì la separazione dal più ampio gruppo dei consanguinei, considerando il matrimonio tardivo una conseguenza del regime matrimoniale individualista, caratterizzato dalla scelta individuale del compagno, in un contesto nel quale ai coniugi era richiesto di costituire una famiglia indipendente, economicamente sostenibile. In un regime matrimoniale individualista gli individui interagiscono in misura assai maggiore con persone che non sono imparentate con loro e sono costretti a formulare i propri piani per il futuro, incluso il momento in cui si ritireranno dal lavoro. Le coppie dovevano avere una prospettiva di sostenibilità economica che, in funzione delle condizioni economiche di ciascuno, poteva non essere realizzabile fino a che i futuri coniugi non avessero superato abbondantemente i vent’anni. Era cosa comune che un significativo numero di persone non arrivasse mai a sposarsi. Come osservato, le persone non sposate, specialmente le donne, erano infrequenti nelle società tradizionali con modelli di matrimonio collettivisti. Comunque, questo distacco dalla parentela estesa aveva anche come naturale conseguenza una più elevata posizione della donna in un’organizzazione domestica multifamiliare patrilocale dominata dai maschi più anziani e, in second’ordine, dalle suocere. La tendenza a lungo termine nell’Europa nordoccidentale fu che l’unione coniugale in assenza di legami di parentela estesa ebbe come risultato il convergere delle vite degli uomini e delle donne, nella misura in cui gli sposi diventavano soci, e una minore preferenza per i figli maschi rispetto alle femmine18.

Nel seguito i due modelli contrapposti di famiglia saranno indicati come individualista e collettivista, con l’intesa che esistano tra loro situazioni intermedie. Tali modelli vanno dal marcato collettivismo tipico del Medio Oriente e di gran parte del mondo non europeo, al collettivismo moderato di gran parte dell’Europa meridionale, a quello che può essere chiamato “individualismo moderato”, caratteristico dei paesi tedeschi e di molte aree della Gran Bretagna, fino all’individualismo estremo che si osserva in Scandinavia.

 

Dati descrittivi sui modelli di famiglia nell’Europa nordoccidentale e in quella meridionale.

 

Nei capitoli 2 e 3 si è sottolineato come tanto la cultura IE quanto la cultura dei CR dell’Europa nordoccidentale presentino forti tendenze individualiste. La tesi generale che qui si sostiene è che i gruppi IE invasori, già di per sé sostanzialmente predisposti all’individualismo (cioè all’individualismo aristocratico) incontrarono popolazioni anch’esse predisposte all’individualismo, per quanto di un tipo differente (l’individualismo egualitario che derivava dal loro passato di CR nell’Europa del nord). D’altro canto, l’Europa meridionale, colonizzata in origine da agricoltori provenienti dal Medio Oriente, ha conservato il suo collettivismo moderato fino ai tempi presenti malgrado l’influenza dei gruppi principali che hanno dato forma alla storia europea, molto probabilmente a causa di tendenze genetiche ereditate dai loro antenati mediorientali19.

La relativa forza dei legami di parentela estesa è pertanto centrale in questa analisi. Patrick Heady suddivide i modelli di parentela europei in tre categorie, forte (Croazia, Russia, Italia, Grecia, Polonia, Spagna, modello qui indicato come “collettivismo moderato”), debole (Francia, Germania, Austria, Olanda, Svizzera: “individualismo moderato”) e molto debole (Svezia, Danimarca: “individualismo forte”) seguendo un clinale che va da sudovest a nordest20. Le famiglie nelle aree del collettivismo moderato tendono a vivere vicine ai loro genitori (spesso risiedendo nella stessa casa), a sposare persone provenienti dalla loro stessa area, ad aiutarsi maggiormente tra loro (incluso l’aiuto finanziario) e a mantenere distinzioni più marcate tra ruoli maschili e ruoli femminili. Heady definisce questo modello «agganciato ai genitori e localmente coinvolto», essendo all’estremo opposto il modello «libero rispetto alle origini e localmente sganciato».

La Svezia si caratterizza per il sistema familiare più debole. In effetti Maria Iacovu e Alexandra Skew hanno evidenziato un forte contrasto tra le due forme familiari più estreme in Europa, notando come in Scandinavia vi sia «una quasi completa assenza della famiglia estesa»21.

 

I Paesi Scandinavi sono caratterizzati da nuclei familiari piccoli (in particolare adulti singoli e famiglie monogenitoriali) da una precoce indipendenza abitativa da parte dei giovani e da una estesa indipendenza abitativa per gli anziani, dalla coabitazione come alternativa al matrimonio e da una quasi completa assenza della famiglia estesa. All’estremo opposto, i paesi dell’Europa meridionale sono caratterizzati da un livello relativamente basso di coabitazioni non matrimoniali, da un’estesa coabitazione tra i genitori e i loro figli adulti come pure tra gli anziani e i loro discendenti adulti; tutto ciò, unitamente ad un’incidenza assai minore delle famiglie monogenitoriali, contribuisce a rendere molto più grandi le dimensioni delle famiglie.

 

Pertanto questo fondamentale clinale nei modelli familiari colloca nell’estremo nordovest le forme più estreme di individualismo. Questo sistema di categorizzazione è essenzialmente una versione più raffinata della ben nota linea di Hajnal, che suddivide i modelli di famiglie europei in soli due tipi, ad est e ad ovest di una linea che va da San Pietroburgo a Trieste22.

 

Caratteristiche del sistema familiare moderatamente individualista dell’Europa nordoccidentale.

 

Hartman sottolinea il fatto che la famiglia nucleare comportava la necessità, per gli individui, di pianificare le loro vite. Le donne, ad esempio, evitavano la gravidanza prima del matrimonio rinunciando al sesso (malgrado il matrimonio tardivo, la presenza di figli illegittimi era «estremamente basa»23). Ciò implicava un lungo periodo di astinenza sessuale volontaria prima del matrimonio, col probabile risultato di una selezione che scartava coloro, soprattutto le donne24, che praticavano il sesso al di fuori del matrimonio, sebbene i tribunali normalmente fossero pronti ad imporre le nozze a donne con figli nati fuori dal vincolo coniugale allo scopo di evitare che diventassero un peso a carico della collettività. La bassa frequenza di figli illegittimi in una situazione nella quale gli individui godevano di una significativa libertà nel progettare le loro vite implica un forte ruolo (e probabilmente una selezione eugenetica favorevole) di quel tratto della personalità che permette di controllare con successo i propri impulsi (vale a dire la coscienziosità, cfr. cap. 8)25. Tali pressioni eugenetiche non esistevano in una società collettivista, nella quale il matrimonio precoce era la regola ed erano presenti forti controlli esterni sul comportamento femminile, come ad esempio la purdah.  Un importante aspetto della pianificazione della vita era costituito dal consenso individuale al matrimonio, una caratteristica del matrimonio occidentale almeno a partire dal Medioevo e, probabilmente, dall’epoca preistorica. Il consenso individuale dovrebbe comportare una maggior cura, da parte degli individui, nel valutare le caratteristiche personali di un possibile futuro coniuge. Un effetto di ciò è una maggiore parità nell’età degli sposi. Una relativa parità nell’età degli sposi ed un’età più elevata per il matrimonio sono elementi distintivi del sistema matrimoniale dell’Europa occidentale26.

In un sistema familiare di tipo nucleare, il matrimonio era molto meno riducibile ad una questione di alleanza politica tra e all’interno di gruppi di parentela, ovvero ad una faccenda puramente economica o semplicemente ad un aspetto della competizione sessuale (che ha avuto come conseguenza il concubinato e la poliginia nella maggior parte del mondo non europeo). Esso era piuttosto basato sull’attrazione tra le persone, nella quale entravano tratti come la coscienziosità, l’intelligenza, il calore e l’affetto reciproci, l’aspetto fisico (comprendente i tratti collegati alla fertilità, come il rapporto tra le dimensioni della vita e quelle dei fianchi nelle donne, che è stato messo in relazione con la salute, la fecondità e la capacità cognitiva27).

L’affetto nel matrimonio divenne una norma culturale con l’ascesa della famiglia nucleare. Il fenomeno occidentale del corteggiamento (unico tra le culture dell’Eurasia e dell’Africa) forniva un periodo di tempo in cui i futuri coniugi potevano valutare la reciproca compatibilità personale; nelle parole di Malthus, ad entrambi i sessi veniva data un’opportunità per «scoprire le affinità reciproche e per formare quei legami forti e durevoli senza i quali la condizione matrimoniale produce generalmente più miseria che felicità»28.

Le famiglie di tipo nucleare comportavano dunque il fare un maggiore affidamento sulla pianificazione e sull’impegno individuali. Mentre nelle culture collettiviste i ruoli sociali, il futuro coniuge (spesso un cugino primo) e l’età nuziale della donna sono ampiamente predeterminati, nelle aree individualiste dell’Europa uomini e donne erano liberi di scegliere il proprio compagno e di decidere quando sposarsi, quest’ultima decisione essendo presa, di regola, solo dopo essersi garantiti un’adeguata posizione economica. Almeno a partire dal XIV secolo, in Inghilterra la maggior parte degli individui lavorava in cambio di una paga somministrata da altri che non erano loro parenti, e in generale ci si aspettava che i figli giovani «lasciassero la loro casa, accumulassero la propria ricchezza, scegliessero il loro compagno per il matrimonio e individuassero una propria nicchia economica da occupare»29. La proprietà terriera era diffusa. Anche «le famiglie degli affittuari dipendenti, nell’Europa nordoccidentale del tardo Medioevo, esercitavano un ampio ed efficace controllo sulla terra che lavoravano. Anche se i lord detenevano il supremo potere giurisdizionale, le famiglie conservavano la terra da una generazione all’altra, dando disposizioni per trasmetterla ai loro eredi […] Malgrado gli sviluppi legali nell’Europa occidentale negassero ai contadini dipendenti il diritto di ereditare e producessero nozioni della proprietà più individuali, i tribunali feudali e la chiesa mantennero a lungo le antiche usanze»30. Il figlio maggiore ereditava la terra, ma i figli minori e le figlie ricevevano beni mobili.

 

Datare le origini della famiglia individualista.

 

Quasi unici tra i barbari, [i germani] si accontentano di una sola moglie, tranne pochissimi di loro, e questi non per brama carnale, ma perché la loro nobile nascita procura loro molte offerte di alleanza […]. Affinchè la donna non pensi di dover restare esclusa dall’aspirazione a nobili azioni e dai pericoli della guerra, nel corso della cerimonia nuziale le viene ricordato che è la compagna di suo marito nella fatica e nel pericolo, destinata a soffrire e a rischiare con lui allo stesso modo sia in pace che in guerra. Il bove aggiogato, il destriero imbrigliato e il dono delle armi dichiarano pubblicamente questo fatto31.

 

Le famiglie nucleari autonome «dominano l’Europa nordoccidentale già dall’epoca dei primi documenti medievali»32. In altri termini, tra le popolazioni dell’Europa nordoccidentale questo modello potrebbe avere un’origine primordiale, cosa che ben si accorda con la prospettiva qui seguita secondo la quale le radici di tali modelli devono essere trovate nell’ambito evolutivo-biologico. Come osserva Peter Laslett, «per come la cosa appare attualmente, più ci spostiamo indietro nel tempo, più elusive diventano le origini delle caratteristiche interrelate della famiglia occidentale. Allo stato attuale delle conoscenze non possiamo dire quando “l’Occidente” abbia cominciato a divergere rispetto alle altre parti dell’Europa»33. Hartman, scrivendo nel 2004, afferma che queste osservazioni «sono ancora valide»34.

Inoltre non vi sono prove che il modello di famiglia dell’Europa nordoccidentale sia parte di una sequenza storica, o che differenti aspetti di esso, ovvero il modello stesso, rappresentino un continuum evolutivo. Significativamente, David Herlihy nota come Tacito avesse osservato che il matrimonio tardivo era comune tra le tribù dei germani (assai prima della nascita dell’impero dei franchi all’inizio del Medioevo) e suppone che questo modello fosse diventato la norma dopo la caduta dell’impero romano, ipotesi ovviamente coerente con lo scenario evoluzionista-biologico che qui si propone. Cercare influenze derivanti dal contesto medievale come sola spiegazione del modello di matrimonio tardivo dell’Europa nordoccidentale appare fuorviante, note che siano le tendenze individualiste tanto della cultura degli IE (cfr. cap. 2) quanto di quella dei CR settentrionali (cfr. cap. 3).

Inoltre vi sono alcuni indizi che le famiglie nucleari fossero la norma nell’impero romano d’Occidente:

 

Sulla base delle iscrizioni sepolcrali siamo giunti alla conclusione che per le popolazioni che eressero quelle lapidi in tutte le province occidentali la famiglia nucleare costituisse il fulcro di certi tipi di obblighi familiari. Nonni, zii ed altri membri della famiglia estesa appaiono con troppo poca frequenza quali autori della commemorazione perché si possa credere che fossero considerati parte del nucleo familiare vero e proprio35.

 

Le iscrizioni sepolcrali indicano che quelle riconducibili a famiglie nucleari costituiscono il 75-90% del totale, con poche variazioni in funzione dell’epoca, della geografia e della classe sociale:

 

Che i membri della famiglia estesa, e specialmente l’avus [zio] paterno, compaiano in numero ridottissimo nelle dediche funerarie, che i nonni paterni siano relativamente pochi in rapporto al numero delle persone viventi e in grado di partecipare alla dedica e che l’avus paterno non sia neppure il soggetto più comune nelle commemorazioni che riguardano i nonni, sono tutti fatti che allontanano dall’idea che la famiglia patriarcale fosse una realtà comune tra le popolazioni dell’impero d’Occidente che costruirono quelle tombe36.

 

Altre prove indicano che la famiglia di base era costituita dalla triade madre, padre, bambino; nell’ambito delle élite, i figli erano soliti fondare una propria casa e una propria famiglia piuttosto che rimanere presso la dimora paterna. «Sulla base delle nostre prove, sembra un’ipotesi ragionevole che la continuità della famiglia nucleare rimonti ad un’epoca assai più antica e che fosse caratteristica di molte regioni dell’Europa occidentale già alla nascita dell’impero romano»37.

Un altro indicatore della famiglia individualista è la pratica dell’esogamia, piuttosto che quella di sposare parenti prossimi che è tipica delle società collettiviste. L’esogamia era la regola nell’Europa occidentale anche in epoca romana:

 

Vi sono solide prove di una continuità della pratica generale dell’esogamia nell’impero romano occidentale dall’epoca del primo cristianesimo (i primi tre secoli dopo Cristo) a quella della sua affermazione come religione di stato; il matrimonio endogamico era raro, se mai si verificava. Malgrado le leggi dell’epoca pagana consentissero il matrimonio tra cugini, tale genere di matrimonio era raro tra gli aristocratici, così come lo era tra gli umili abitanti dell’impero occidentale. Di conseguenza, il divieto imposto dal cristianesimo ai matrimoni entro il sesto grado di parentela ebbe uno scarso impatto. Il modello di proprietà suddivisa tra gli eredi non offriva agli aristocratici un incentivo a sposarsi all’interno del gruppo familiare col l’obiettivo di proteggere l’integrità delle proprietà terriere; i loro interessi finanziari venivano soddisfatti sposando persone della stessa classe sociale […] La messa al bando dell’endogamia da parte della Chiesa non dev’essere interpretata come parte di uno sforzo teso ad interrompere la trasmissione della proprietà all’interno della famiglia: uno sforzo del genere non era necessario, perché per secoli gli aristocratici pagani avevano fatto uso del testamento per frammentare ampiamente le loro ricchezze. La Chiesa aveva soltanto bisogno di sostituirsi all’imperatore quale principale istituzione beneficiaria di tali testamenti per potersi arricchire38.

Tirando le somme, quando la Chiesa, nel IV secolo, formalizzò un’estesa proibizione dell’incesto, non agì per interrompere una pratica diffusa di endogamia tra parenti prossimi nell’impero romano occidentale. Agostino infatti, nella discussione della Città di Dio riguardante la recente estensione della regola dell’incesto, indica chiaramente l’opposto. Egli afferma categoricamente che il matrimonio tra cugini era sempre stato raro per mores (raro nella pratica consuetudinaria) molto prima dell’imposizione delle nuove proibizioni39.

 

Per finire, la pratica della suddivisione dell’eredità includeva le figlie, che ricevevano una quota intera del patrimonio, come rivelano le leggi relative alla successione legittima40. Ciò costituisce una prova ulteriore che la famiglia estesa patrilineare basata sulla parentela e sul matrimonio endogamico non era affatto una caratteristica della società romana dell’Europa occidentale.

 

Svantaggi della famiglia individualista.

 

Se si suppone che la totale dominanza del modello matrimoniale collettivista e precoce presso un numero assai ampio di culture del mondo sia una risposta adattiva, o almeno una conseguenza naturale dell’agricoltura praticata con l’aratro, perché mai l’Europa nordoccidentale dovrebbe costituire un’eccezione? Per cominciare, è importante osservare che il regime di matrimonio tardivo dell’Europa nordoccidentale non ha alcun senso come forma ideale di matrimonio per una società agricola: è un «rischioso sistema di matrimonio posticipato»41.

Supponendo che la struttura familiare dell’Europa nordoccidentale abbia una base evolutiva, l’idea che il regime di matrimonio tardivo sia rischioso starebbe a significare una mancanza di adattamento  tra questa struttura familiare e il contesto dell’epoca del primo Medioevo. La mancanza di adattamento tra un ambiente nuovo e le tendenze genetiche è un fenomeno comune e noto agli evoluzionisti. Le tendenze genetiche cambiano in maniera relativamente lenta, generando un’inerzia evolutiva tale che gli organismi possano risultare scarsamente adatti al loro nuovo ambiente. Per esempio, è stato proposto che alcune differenze sessuali, come il fatto che i ragazzi siano più inclini delle ragazze a manifestare esteriormente i disturbi psichici, siano il risultato di una selezione sessuale per questi tratti nel nostro passato evolutivo42. La manifestazione esterna dei disturbi psichici comprende i disturbi del comportamento, il disturbo oppositivoprovocatorio, l’assunzione di rischi, l’aggressione e il disturbo da deficit di attenzione / iperattività. Tali tendenze rappresentano una scarsa corrispondenza con la società contemporanea, caratterizzata da sistemi educativi in cui ai bambini viene richiesto di inibire i loro impulsi, di stare seduti e prestare attenzione per lunghi periodi, col risultato che le ragazze producono risultati migliori dei ragazzi attraverso tutto l’iter educativo, dalla scuola materna all’università. Le persone che manifestano esteriormente i loro disturbi non sono solo più esposte al fallimento nel sistema educativo, ma anche alla reclusione, e subiscono una mobilità sociale discendente.

Nel caso in questione, ci si aspetterebbe che le tendenze al regime di matrimonio tardivo aventi una base genetica mutino soltanto lentamente, come risultato di una pressione selettiva in favore dei modelli di famiglia collettivisti e privi di rischi del resto del modo euroasiatico, avendo perciò come risultato uno scarso adattamento. In questo caso, comunque, le prove qui esaminate indicano come il regime di matrimonio tardivo sia sopravvissuto a questa mancanza di adattamento durante l’epoca medievale ed abbia sostanzialmente prodotto il mondo moderno.

I rischi del modello di matrimonio tardivo sono ovvi. Il lungo periodo prematrimoniale, in particolare quando le donne lavoravano sovente fuori casa e la famiglia, tipicamente, comprendeva individui che non erano parenti, comportava che le donne fossero maggiormente esposte al rischio di avere gravidanze illegittime, con uno scarsissimo sostegno paterno per i figli. L’aggressione sessuale e le gravidanze extramatrimoniali (queste ultime causa di vergogna e di ostracismo nelle società occidentali tradizionali) erano più probabili quando individui giovani andavano a servizio presso le case di persone non imparentate con loro. Il matrimonio tardivo è inoltre collegato ad un più breve periodo di fertilità e ad una produzione meno affidabile di eredi43.

Inoltre, il modello di matrimonio individualista non rappresenta l’ideale neppure per sostenere le persone anziane, poiché ci si aspettava che costoro provvedessero da sé alla loro vecchiaia, mentre nelle culture collettiviste era dato per scontato che i genitori avrebbero continuato a vivere nelle proprietà di famiglia. Nell’Europa nordoccidentale erano comuni i contratti che definivano alloggi distinti per i genitori, o almeno una stanza separata con ingresso privato44. Se la generazione più anziana avesse fatto uso del proprio potere com’è accaduto nelle culture collettiviste (dove i genitori avevano il diritto di continuare a vivere nelle proprietà di famiglia) avrebbero probabilmente sviluppato un sistema in grado di garantire meglio i loro interessi nell’età avanzata.

Ancora, Richard M. Smith sostiene che i modelli tra loro molto differenti che si osservano nel nord e nel sud dell’Europa «sono rimasti geograficamente differenziati per millenni»45. Se supponiamo che il modello europeo nordoccidentale, in confronto al modello collettivista, abbia un certo numero di svantaggi critici per coloro che lo praticano, se il modello del collettivismo moderato ha continuato ad esistere nella maggior parte dell’Occidente cristiano nell’Europa del sud e dell’est, e se il modello individualista dell’Europa nordoccidentale può essere fatto risalire all’inizio del periodo per cui si possiede una documentazione storica, allora bisogna considerare come una forte possibilità che il modello europeo nordoccidentale affondi le proprie radici nella preistoria.

Ne concludo che sia poco probabile che il modello di famiglia individualista sia stato scelto liberamente a causa degli incentivi forniti dai signori feudali, come si dirà in seguito. Ciò è compatibile con la teoria che l’individualismo europeo derivi dalla preistoria evolutiva di questi gruppi e abbia come risultato un cattivo adattamento agli ambienti medievali, se confrontato con la struttura familiare collettivista.

 

Influenze contestuali proposte come cause dell’individualismo moderato.

 

Hartman segue Michael Mitterauer nel ricondurre l’origine del peculiare modello familiare dell’Europa nordoccidentale al sistema feudale che si sviluppò dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente. Il sistema feudale classico fece la sua comparsa in età carolingia, «nel cuore dell’impero franco»46. La parola chiave, qui, è “cuore” dell’impero, che aveva il suo centro nell’Austrasia, costituita nel 481 in quelle che oggi sono la Francia e la Germania settentrionali; la maggior parte dell’attuale Francia venne aggiunta grazie alle conquiste di Clodoveo I all’inizio del VI secolo, e il rimanente nel 536. Le conquiste di Carlo Magno alla fine del VIII secolo inclusero la Sassonia e la Baviera, entrambe collegate al modello familiare europeo nordoccidentale. Pertanto, malgrado facessero parte dell’impero franco da più tempo rispetto alla Sassonia e alla Baviera, le regioni collegate alla struttura familiare e ai modelli di proprietà terriera propri  dell’Europa meridionale, e cioè quella parte della Francia  posta a sudovest di una linea che va da Saint Malo a Ginevra, continuarono a differenziarsi fortemente dall’Europa nordoccidentale (vedasi cartina più avanti)46a.

Mitterauer sostiene che il sistema feudale fu «fondamentalmente una novità»47. Mentre in gran parte dell’Europa meridionale la proprietà terriera rimase centrata attorno ai gruppi di parentela, il classico sistema feudale era bipartito: da una parte la tenuta del signore, dall’altra gli appezzamenti dei contadini. Questi ultimi possedevano oppure affittavano i loro appezzamenti, ma avevano obblighi di servizio e di corveé. Era un’organizzazione quasi familiare, che implicava «vari diritti e doveri sociali che andavano molto al di là della cooperazione economica»48. In effetti il termine familia veniva usato con riferimento al sistema nel suo complesso, ad indicare «l’alta priorità attribuita alle relazioni sociali nel sistema feudale».

Una differenza fondamentale rispetto all’epoca romana è la relativa assenza di schiavi: vi erano “tracce” dell’antico sistema romano della villa rustica49, che dipendeva assai più dagli schiavi (servi casati), e c’erano pure dei coloni, che erano liberi ma vincolati alla terra e obbligati a fornire servizi. L’abbandono della schiavitù e la sua sostituzione con contadini che possedevano o affittavano la terra portò un beneficio ai signori feudali, che verso i contadini avevano meno obblighi di quanti ne avessero verso gli schiavi; anche i contadini ci guadagnarono, perché coltivare la loro terra li motivava, sebbene continuassero ad avere degli obblighi verso il signore. Gradualmente, i servizi furono rimpiazzati dal pagamento di un affitto e i pagamenti in natura si trasformarono in pagamenti in denaro50.

La distinzione tra coloro che erano sostanzialmente degli schiavi e coloro che erano liberi ma con obblighi di lavoro si ritrova anche nelle aree feudali dell’Inghilterra centrale medievale. La feudalizzazione ebbe luogo in regioni caratterizzate da ampi appezzamenti agricoli tra i quali sorgevano qua e là «grandi villaggi compatti»51. Le proprietà individuali erano costituite da strisce di terreno sparse, aventi più o meno la stessa superficie “in base alla classe”. Come nelle aree feudalizzate del continente, i contadini legati al feudo erano classificati come schiavi o come liberi che avevano pesanti obblighi di lavoro verso il signore, secondo le forme rispettivamente del villanatico52 e del socage53. I villani, normalmente, trasmettevano le loro terre al figlio maschio.

Il sistema feudale che prevedeva il passaggio ereditario della terra per ciascuna famiglia è in contrasto con la proprietà terriera tribale basata sul clan e sulla parentela. Il ruolo della famiglia era quello di svolgere i lavori agricoli necessari, e non di essere «il luogo della coabitazione dei membri di una comunità parentale basata sulla discendenza»54. L’unità di base era costituita dalla famiglia nucleare formata da moglie, marito e figli, e, aspetto tipico di tali famiglie, la parentela era riconosciuta sia secondo la linea paterna, sia secondo quella materna (parentela bilineare), mentre nelle culture collettiviste predominava la parentela patrilineare.

Il punto critico del modello causale proposto da Mitterauer è che con la caduta dell’impero romano e la conseguente diminuzione della popolazione in generale e degli schiavi in particolare, i proprietari terrieri dovettero competere tra loro per trovare persone disposte a lavorare le loro terre; pertanto essi cominciarono ad offrire a tali persone una notevole autonomia, compresa la possibilità di trasmettere la terra ai loro eredi. Come ha osservato David Herlihy, «l’economia schiavistica dell’antichità lasciava il passo a un’agricoltura basata, almeno in parte, su incentivi»55. I documenti indicano che questo passaggio coincise col passaggio  ad una nuova epoca del matrimonio, che Herlihy considera una forma di adattamento in quanto allungava il tempo tra le generazioni rendendo meno frequenti le famiglie che comprendevano tre o quattro generazioni. Comunque, stanti gli svantaggi del matrimonio tardivo osservati in precedenza, è difficile vedere come l’allungamento del tempo tra le generazioni abbia potuto costituire un adattamento nell’Europa nordoccidentale ma non in quella meridionale o orientale, o in altre aree dominate dal modello collettivista. Per costituire una spiegazione adeguata dell’unicità europea, condizioni come lo spopolamento dovrebbero essere peculiari dell’Europa nordoccidentale. Hartman propone che l’Europa nordoccidentale fosse l’unica area dell’intero continente euroasiatico le cui terre erano spopolate e sottosviluppate, così da costituire il contesto nel quale i signori feudali potevano fornire incentivi come la trasmissione ereditaria individuale della terra56. In tali circostanze gli individui avrebbero ritenuto vantaggioso procrastinare il matrimonio delle figlie, così da poterle utilizzare più a lungo come forza lavoro sui terreni di famiglia.

In risposta a tale spiegazione, appare improbabile che nessun’altra area dell’Eurasia, in un arco di tempo di 2000 anni, si sia spopolata per cause come la guerra, le pestilenze o le carestie. Ad esempio nell’India precoloniale, come pure all’inizio del periodo coloniale, si verificarono carestie accompagnate da calo demografico, abbandono delle terre coltivabili e scarsità di manodopera. La carestia degli anni 1768-1770, per esempio, ebbe come risultato la perdita di un terzo della popolazione del Bengala, e i proprietari terrieri reagirono offrendo incentivi come la riduzione dei canoni d’affitto. Uno storico dell’India, Binay Bhushan Chaudhuri, scrive che «la scarsità di affittuari capovolse del tutto i rapporti tra proprietari e affittuari nel

Bengala»57 ma ciò non ebbe come risultato lo sviluppo di strutture familiari individualiste. Kenneth Pomeranz osserva analogamente che «la guerra, le epidemie, la depressione e lo spopolamento» nella Cina del XVII secolo non alterarono la struttura sociale basata essenzialmente sul clan58.

Inoltre, anche nelle culture collettiviste dell’Europa meridionale e orientale la terra passava in eredità, l’unica differenza essendo che in queste aree essa rimaneva nell’ambito della parentela estesa in linea paterna, invece di essere ceduta a singoli eredi. E’ necessario spiegare perché i contadini sarebbero stati attratti dalle pratiche ereditarie individualiste piuttosto che da quelle basate sul gruppo di parentela: il fenomeno, cioè, presuppone quelle tendenze individualiste che devono essere spiegate.

Inoltre, contrariamente alle affermazioni di Hartman, anche le culture moderatamente collettiviste dell’Europa meridionale utilizzavano la manodopera femminile, per cui è difficile vedere come le famiglie dell’Europa nordoccidentale traessero beneficio dal far sposare tardi le loro figlie. Dopo tutto, sebbene sia vero che il lavoro fornito da una figlia sarebbe andato perso per la sua famiglia quando costei fosse andata in sposa in giovane età, quella stessa famiglia avrebbe anche potuto ricevere delle nuore che avrebbero cominciato a lavorare per lei, come è stato studiato nel caso della Montaillou medievale, nella Francia del sud. E far sposare le figlie in giovane età permette di evitare tutti i fattori di rischio associati al matrimonio tardivo che sono stati menzionati in precedenza. Ne concludo che questi non possono essere gli aspetti decisivi.

Hartman sostiene che questi fattori di rischio sarebbero stati mitigati da «una nuova capacità di produttività duratura che avrebbe ridotto le pressioni verso il matrimonio precoce delle donne quale mezzo per assicurarsi eredi e manodopera»59. Ma una produttività duratura fu raggiunta altresì dalle culture che praticavano il matrimonio precoce, in circostanze che garantivano in maniera migliore tanto gli eredi quanto la manodopera.

Hartman osserva anche che «l’esposizione delle figlie al rischio di aggressione sessuale non sarebbe stato, almeno inizialmente, quel problema che invece si sarebbe manifestato con l’emergere del servizio domestico presso estranei [life-cycle service60, 60a. Ma allora ci si chiede come mai abbia potuto sorgere la normale consuetudine del periodo di servizio presso le case di persone non imparentate. Invece di fare affidamento sulla parentela estesa, le famiglie dell’Europa nordoccidentale impiegavano persone che non erano imparentate con loro, una pratica che, secondo Hartman, «con l’andare del tempo diventò un periodo di servizio presso estranei»61. Ciò significa che anche prima dell’epoca in cui tale servizio divenne la norma, le famiglie non erano organizzate in base ai gruppi di parentela estesa, malgrado la capacità dei sistemi collettivisti di provvedere alla necessità di manodopera, come dimostra la loro prevalenza nel resto del mondo. Pertanto bisogna spiegare come abbia potuto svilupparsi, nell’Europa nordoccidentale l’uso si prestare servizio presso le case di altri individui non imparentati, visto che, da un punto di vista evoluzionista, gli individui non imparentati hanno una minore comunanza di interessi con i loro datori di lavoro rispetto ai parenti, per non menzionare la maggiore vulnerabilità delle donne al rischio di gravidanze non volute e di aggressioni sessuali nel caso di impiego di persone estranee alla parentela.

L’idea che il semplice fornire incentivi ai lavoratori della terra avrebbe dato origine all’individualismo si scontra anche con i dati che mostrano come le culture collettiviste, in particolare del Medio Oriente, siano fortemente restie ad assimilarsi alle norme individualiste occidentali62. Le culture mediorientali furono dominate per secoli dai conquistatori greci e romani, ma ciò non ebbe effetto sull’organizzazione sociale collettivista basata sui clan e sulla parentela estesa che rimane tipica di quell’area ancora oggi. Il matrimonio tra cugini, un ottimo indicatore di queste tendenze perché mostra la preferenza per l’endogamia all’interno di una linea di discendenza maschile (patrilinearità) ha avuto origine nella preistoria del Medio Oriente e permane nell’epoca attuale, a dispetto di secoli di dominazione da parte di potenze occidentali63. Considerando la recente impennata dell’immigrazione musulmana proveniente dal Medio Oriente verso l’Europa, questa incapacità di assimilazione alle norme occidentali si avvia ad essere un problema di lunga durata per l’Occidente.

 

Il collettivismo moderato dell’Europa meridionale contrapposto all’individualismo moderato dell’Europa nordoccidentale.

 

Le famiglie congiunte, nelle quali i fratelli, le loro spose e i loro figli vivono sotto lo stesso tetto, sono tipiche dell’Europa meridionale. La consuetudine di prestare un perodo di servizio presso le abitazioni di individui non imparentati non era caratteristica della Montaillou medievale nel sud della Francia, così come la descrive il classico studio di Emmanuel Le Roy Ladurie64. Se una figlia se ne andava di casa a motivo del matrimonio, sarebbe stata rimpiazzata da una nuora acquisita, che compensava così la perdita del contributo lavorativo di quella figlia65. Il matrimonio era endogamico all’interno del villaggio, cosa che, insieme alla pratica dei matrimoni combinati, assicurava che la proprietà rimanesse all’interno della linea di discendenza paterna. L’età del matrimonio era bassa, quella della pubertà, e gli uomini più maturi erano in età tra i venticinque e i trent’anni. Ciò contrasta col modello di matrimonio tardivo, nel quale era difficile mantenere la proprietà all’interno del lignaggio paterno perché le generazioni erano maggiormente distanziate quanto all’età, limitando automaticamente il numero dei potenziali eredi maschi e aumentando la probabilità che fosse una vedova ad ereditare  la proprietà.

Inquadrando la cittadina francese meridionale di Montaillou nel suo contesto, è noto da tempo che esistono differenze considerevoli all’interno della Francia, corrispondenti alla suddivisione tra le popolazioni germaniche che predominavano a nordest della “linea eterna” che collega Saint Malo e Ginevra, e quelle del resto della Francia66. Il Nordest sviluppò un’agricoltura su larga scala capace di sostentare i paesi e le città in crescita prima della rivoluzione agricola del XVIII secolo. Si reggeva su una vasta schiera di abili artigiani nelle città e un’ampia classe di agricoltori di medio livello che «possedevano cavalli, scodelle di rame, bicchieri di vetro e, spesso, le scarpe; i loro bambini avevano guance paffute e spalle larghe, i loro neonati portavano minuscole scarpine. Nessuno di quei bambini aveva i ventri gonfi dei rachitici del Terzo Mondo67.

Il Nordest divenne perciò il centro dell’industrializzazione francese e del commercio mondiale.

A sudovest della linea Saint Malo–Ginevra, comunque, «la vita rurale divenne completamente deurbanizzata. La Francia occidentale e sudoccidentale diventarono “selvatiche”, con abitazioni disperse sul territorio, in virtù di un’antitesi che era stata a lungo consueta: poveri contadini sparpagliati per le campagne, in una certa misura rustici e incivili, che vivevano […] isolati tra i loro campi e prati, al di fuori della comunità degli altri»68. Quest’area non fu mai del tutto feudalizzata, malgrado fosse sotto il controllo dei franchi fin dagli inizi del VI secolo. «Il vassallaggio e la seigneurie appaiono pienamente sviluppati solo nelle regioni agricole con grandi villaggi tra la Loira e i confini con le Fiandre»69. Ciò è in accordo con l’ipotesi che i popoli germanici del nord avessero creato una cultura feudale assai prima dell’età medievale, una cultura non esportabile nelle aree non germaniche, nonostante il dominio militare cui erano soggette.

Il nordest differiva inoltre dal sudovest per il tasso di alfabetizzazione: agli inizi del XIX secolo, mentre il tasso di alfabetizzazione per la Francia nel suo complesso era approssimativamente del 50%, il valore per il nordest si avvicinava al 100% e tali differenze si manifestavano almeno a partire dal XVII secolo. Inoltre, si osservava una pronunciata differenza nella statura: in un campione di reclute militari del XVIII secolo gli abitanti del Nordest risultavano più alti di almeno due centimetri. Ladurie osserva che tale differenza, rispetto alla popolazione complessiva, era probabilmente maggiore, perché l’esercito scartava molti tra gli individui più bassi provenienti dal sudovest. Per finire, oltre a queste differenze menzionate da Ladurie, Peter Laslett e altri storici della famiglia hanno osservato che le tendenza verso la famiglia nucleare economicamente indipendente era maggiore al nord, mentre la tendenza verso la famiglia congiunta aumentava man mano che ci si spostava verso sud70.

Nella Salem coloniale, nel Massachusetts, prevaleva il modello individualista moderato tipico delle zone a nordest della linea Saint Malo–Ginevra. Mentre nel sud della Francia e in gran parte dell’Europa meridionale tutte le donne si sposavano, a Salem le donne non sposate erano frequenti (anche dopo che lo squilibrio nel rapporto numerico tra i sessi, dovuto ad una maggiore mortalità infantile maschile, si era risolto). Le donne di Salem erano sottoposte a un minore controllo ed erano più vulnerabili alla violenza sessuale, altro svantaggio del modello individualista osservato in precedenza. A Salem le vite degli uomini e delle donne andarono convergendo in misura crescente, e le donne avevano uno status superiore rispetto a quelle dell’Europa meridionale. A Montaillou gli individui vivevano in “universi sessuali” completamente differenti. A Salem esisteva «una forte attenzione alla pianificazione del futuro» ed ereditare la terra divenne un aspetto sempre meno importante man mano che l’economia capitalista accelerava il passo e gli uomini cercavano di realizzarsi nelle professioni e negli affari, all’interno di un ordine sociale contrattuale71. Mentre a Montaillou le vite degli uomini erano determinate da decisioni prese all’interno del clan, con due sole vocazioni possibili (la pastorizia o l’agricoltura) a Salem gli uomini entravano nell’economia interagendo con persone non imparentate con loro, disponendo di oltre 50 occupazioni possibili72. Le donne di Salem avevano anche opportunità di lavoro al di fuori della loro casa (levatrice, maestra di scuola, ecc.), ma questo non accadeva a Montaillou.

A Salem le donne divennero dei “vice mariti”, spesso eseguendo il “lavoro da uomini” ed assumendo un ruolo attivo nelle decisioni familiari e nelle imprese economiche (p. es. la gestione degli affari di famiglia). Gli uomini facevano maggiore affidamento sulle loro mogli che non sugli altri uomini, e in generale, in confronto a Montaillou, le differenze tra i sessi erano relativamente sfumate. Il matrimonio a Salem era più egualitario, qualcosa di più di una «suddivisione dei poteri tra mariti e mogli»73. E in relazione alla maggiore uguaglianza tra i sessi, a Salem la misoginia sfacciata era più rara, laddove invece a Montaillou erano comuni una misoginia palese e le percosse alle mogli. Mentre a Montaillou le donne prive della protezione di un clan erano oggetto di vessazioni, a Salem le donne godevano di una certa protezione legale anche nei confronti dei mariti e potevano andarsene di casa e chiedere il divorzio. Le donne [di Salem, n. d. t.] avevano un considerevole senso di responsabilità circa la loro castità, perché rispetto alle donne di Montaillou interagivano con un maggior numero di individui non imparentati col loro74.

A Montaillou la Chiesa spesso si oppose agli interessi del clan, ma non cambiò mai veramente il sistema, a parte l’aver proibito il matrimonio tra cugini primi, ignorando tuttavia la proibizione di quello tra cugini di secondo grado75; cosa che sta ad indicare come la Chiesa non possa essere considerata la causa principale dei modelli di matrimonio in Europa.

Nel Nordovest, la libertà rispetto ai legami di parentela estesa lasciò campo libero agli impulsi acquisitivi individuali, dando luogo a grandi differenze tra le persone quanto all’acquisizione di terre e di altre forme di ricchezza76. Come afferma Gregory Clark nel suo testo A Farewell to Alms [Addio all’elemosina, n. d. t.], ciò diede luogo a sua volta ad una selezione naturale in favore dell’industriosità e dell’intelligenza nel contesto precedente il XIX secolo, dove la ricchezza era collegata positivamente al numero di figli77, 78.

Le differenze tra l’Europa nordoccidentale e quella meridionale si sono mantenute nell’epoca attuale, sebbene nell’Europa del sud vi siano stati alcuni cambiamenti. Nel Meridione l’abbandono della casa dei genitori coincide tipicamente col momento del matrimonio e dell’occupazione79. Al Sud i problemi economici tendono ad essere condivisi dall’intera famiglia, mentre al Nord riguardano solo gli individui direttamente interessati. Le persone anziane preferiscono vivere con la loro famiglia al Sud (75%) ma non al Nord (25%), e negli USA gli anziani che vivono con i loro figli provengono prevalentemente da famiglie originarie dell’Europa meridionale; tendono ad essere più conservatori, sul piano sociale, delle persone d’origine europea settentrionale.

A motivo dei legami familiari più deboli, nell’Europa settentrionale il numero dei senzatetto tende ad essere maggiore (perché la tendenza è di lasciare che le persone badino a se stesse) come maggiori sono i tassi di solitudine e di suicidio. D’altro canto, l’iniziativa individuale e il dinamismo sono molto più caratteristici delle società europee nordoccidentali, tratti questi che sono «così importanti per la democrazia e la società civile dell’Occidente»80.

 

Tendenze egualitarie nell’Europa nordoccidentale.

Per finire, dato il peso attuale dell’ideologia egualitaria in tutto l’Occidente, è importante osservare come un crescente egualitarismo sia andato sviluppandosi, dopo il Medioevo, nell’Europa nordoccidentale. «La storia che ha appena cominciato ad essere narrata è tuttavia quella dell’emergere di un movimento popolare egualitario le cui origini sono da porre esclusivamente nell’Europa nordoccidentale»81. Questo di solito viene spiegato con la diffusione delle élite, ma Hartman sostiene che «più importante ai fini dell’emergere dell’uguaglianza come ideale politico popolare, fu la condivisione del governo domestico, di cui la maggior parte degli individui aveva fatto esperienza fin dal Medioevo»82. Hartman sottolinea il fatto che, malgrado gli alti e bassi delle particolari epoche storiche, nell’Europa nordoccidentale fosse presente una tendenza generale a rendere sempre più simili tra loro le vite degli uomini e quelle delle donne, tendenza che permane ancor oggi83. L’autorità paterna, che non fu mai così forte come nell’Europa meridionale, è divenuta ancora più debole.

Verso la fine del XVII secolo quasi la metà dei lavoratori dell’Europa nordoccidentale era costituita da salariati che formavano famiglie nucleari indipendenti e senza legami di parentela estesa e che pertanto dovevano fare affidamento su se stesse piuttosto che sui parenti. Ciò portò ad un aumento dell’influenza delle donne all’interno della famiglia e allo sviluppo di ideologie egualitarie e dei diritti individuali84.

Come è stato osservato, le società moderatamente individualiste dell’Europa nordoccidentale portarono le donne ad agire con maggiore indipendenza e ad avere rapporti più egualitari con i mariti. Anche nel XIX secolo, un’epoca in cui, secondo molti storici, le donne avrebbero avuto uno status inferiore e si sarebbero allontanate dal modo del lavoro, esse ebbero nondimeno un ruolo di partenariato e «la responsabilità di mantenere a galla le famiglie»85. «E’ ironico il fatto che la pianificazione a lungo termine, l’assunzione di rischi, la responsabilità personale e l’indipendenza nonsiano stati ancora riconosciuti come comportamenti di massa prodotti dalle esigenze della vita in particolari tipi di organizzazione familiare, in altri termini come la condotta normale richiesta a chiunque in un contesto di matrimonio tradivo e di famiglia debole»86.

 

 Le aree non feudalizzate dell’Europa nordoccidentale.

 

Un’altra difficoltà per la teoria secondo la quale fu il feudalesimo a produrre l’individualismo europeo è che diverse aree altamente individualiste dell’Europa nordoccidentale non svilupparono mai un sistema feudale. Il perché ciò sia accaduto è dunque una questione difficile ma critica, visto che, come osservato in precedenza, il sistema feudale è stato proposto come il fattore causale più importante per lo sviluppo dell’individualismo europeo. Nelle zone prossime al Mare del Nord (Frisia) esisteva un’economia pastorale che comportava robuste associazioni tra i contadini, mentre i signori non avevano altrettanto potere; la prospettiva contestualista vede tale situazione come causata da un ambiente paludoso, nel quale non era possibile l’agricoltura su vasti appezzamenti87.

Il sistema di coltivazione su vasti appezzamenti non era presente in East Anglia, nel Kent o in altre zone dell’“antica campagna”, che erano caratterizzate da «insediamenti sparsi e isolati»88. L’East Anglia era popolata principalmente da immigrati provenienti dalla Frisia, il Kent da quelli provenienti dallo Jutland. Il feudalesimo non spiega come mai queste zone finirono per essere caratterizzate dalla struttura familiare moderatamente individualista tipica dei popoli germanici. Inoltre i terreni acquitrinosi, che nell’East Anglia erano numerosi, furono prosciugati e sottoposti a coltivazione intensiva, così che, ad esempio, la contea di Norfolk nell’East Anglia era già sviluppata e popolata nel 1300 quanto lo sarebbe stata 500 anni più tardi, con un ambiente reso adatto all’agricoltura su ampi appezzamenti89.

D’altro canto, nell’Inghilterra centrale dominata dai sassoni (popolazione germanica) il sistema feudale di coltivazione su vasti appezzamenti di terreno si sviluppò presto. Tale sistema non si sviluppò mai nella Francia meridionale o nelle aree bizantine dell’Italia del sud, al contrario di quanto avvenne in Lombardia (colonizzata dal popolo germanico dei longobardi). Uno studio recente che confronta l’Italia del nord e quella del sud ha rilevato nell’Italia meridionale relazioni di parentela più intense, come pure una minor tendenza alla donazione del sangue90. Gli individualisti sono più inclini a contribuire al bene pubblico in forme, come la donazione del sangue, che possono venire in aiuto agli estranei.

 

Parentela germanica e parentela irlandese.

 

Parentela germanica.

Nelle aree germaniche la Sippe (la rete di parentela germanica) «si incontra raramente nelle fonti più antiche»91, ad indicare una minore importanza attribuita alla parentela estesa che risale alle epoche più antiche. «All’epoca in cui la Sippe compare nei testi storici, essa è già una struttura in declino»92. I riferimenti antichi più espliciti si trovano nelle leggi e negli atti dei longobardi, dei bavari e degli alamanni, ma questo avviene nell’era cristiana. Le Sippen giudicavano le dispute e potrebbero aver esercitato alcuni «diritti residuali» sulle proprietà dei loro membri93. Herlihy suggerisce che le Sippe comprendessero ciascuna all’incirca 50 famiglie e che andassero continuamente riformandosi e suddividendosi. Come le sept irlandesi, che vedremo più avanti, la Sippe aveva un territorio, ma all’interno di tale territorio la proprietà era individuale94. Quest’ultimo punto dunque mina alla base la teoria secondo la quale il sistema feudale diede origine alla proprietà individuale come risultato degli incentivi forniti dai signori feudali in una situazione di spopolamento delle terre. Sia tra gli irlandesi che tra i germani la proprietà individuale della terra coesisteva con i gruppi di parentela (rispettivamente le sept e le Sippen) ad indicare che questo aspetto dell’individualismo precedeva cronologicamente il sistema feudale.

In effetti, Herlihy sostiene che la Sippe non ebbe mai un’importanza primaria:

 

Il gruppo della parentela estesa e un certo tipo famiglie erano esistiti l’uno accanto alle altre da tempi immemorabili. Inoltre la Sippe rivestì sempre un ruolo secondario nella produzione e nella riproduzione, le due funzioni tipicamente spettanti alle famiglie. E queste funzioni fondamentali, sovente menzionate nei documenti, conferiscono alle famiglie una speciale visibilità. Non fu la piccola famiglia a rimpiazzare la Sippe: furono piuttosto raggruppamenti sociali più ampi, basati sul territorio, a metterla in ombra. E le famiglie continuarono ad essere centri di produzione e riproduzione, anche se la società in senso più ampio stava cambiando95.

La Sippe germanica […] cominciò a indebolirsi e a perdere funzioni e visibilità nel continente assai presto nel Medioevo, [mentre l’Irlanda] rimase a lungo attaccata alle sue istituzioni arcaiche96.

 

La parentela irlandese.

Gli irlandesi non svilupparono un sistema feudale, malgrado la mutevole topografia del territorio; sebbene vi fossero alcune somiglianze col feudalesimo, ciò «non generò una familia»97. Essi avevano quello che sembrerebbe essere un sistema intermedio tra il collettivismo moderato dell’Europa meridionale e l’individualismo moderato delle aree germaniche. Gli irlandesi erano divisi in tribù e in sept (simili alle Sippe germaniche). La discendenza era importante: vi era una forte memoria delle genealogie, che tipicamente includeva nella memoria vivente il fondatore, cosa che suggerisce instabilità e continui processi di suddivisione e riformazione98.

Le sept avevano confini riconosciuti che venivano difesi dagli estranei, un segno indicatore di collettivismo. Ciò nonostante, all’interno della sept la proprietà della terra era individuale, non comune, e pertanto esistevano differenze nella ricchezza. Le sept erano formate presumibilmente da 120-256 famiglie. Il matrimonio era monogamico e si dava particolare importanza all’avuncolato (cioè allo stretto legame tra un fratello e il figlio di sua sorella). Gli antropologi evoluzionisti hanno spiegato l’avuncolato come un mezzo per gestire l’incertezza della paternità: una donna è virtualmente certa che un figlio sia suo, e un fratello può essere certo di avere un legame biologico con la sorella; come risultato, la parentela definita attraverso la madre è più certa di quella definita attraverso il padre. Coerentemente con ciò, Herlihy osserva che le relazioni sessuali al di fuori del matrimonio erano accettate99.

A differenza delle culture germaniche, la natura fondamentalmente basata sulla parentela della cultura irlandese può essere osservata anche piuttosto tardi nella documentazione storica. Dati risalenti agli anni 1450-1550 indicano differenze di rilievo tra le aree gaeliche dell’Irlanda e le aree anglo-normanne; in queste ultime erano comuni le confraternite religiose non basate sulla parentela, assenti invece nelle aree gaeliche, cosa probabilmente dovuta ad una «eccezionale forza» delle istituzioni di parentela in queste aree100. «Il clan erenagh […] metteva a disposizione una rete parentale la cui assenza avrebbe reso necessaria la creazione di legami artificiali di fratellanza e sorellanza»101.

 

L’argomento etnico.

 

Questi aspetti sono coerenti con una prospettiva etnica sulla struttura familiare secondo la quale il sistema feudale è una creazione etnica dei popoli germanici, in opposizione alla prospettiva per la quale è il sistema feudale (concettualizzato come un incidente della storia) ad aver creato il contesto nel quale è fiorito l’individualismo.

Per meglio definire quanto detto, la teoria implicita che sta sullo sfondo della prospettiva contestualista è un modello universalista nel quale tutti gli esseri umani hanno la medesima tendenza ad abbracciare l’individualismo quando ne abbiano l’opportunità, e tale opportunità è stata fornita esclusivamente dal sistema feudale  che venne a crearsi come risposta alla particolare serie di circostanze che fecero seguito alla caduta dell’impero romano occidentale. La mia risposta è che in Europa esistevano già forti tendenze all’individualismo tra gli originari gruppi IE, comprendenti sicuramente i gruppi germanici che furono presumibilmente i primi a dare origine al sistema feudale.

Merita osservare che nella Germania (ca. 100 d. C.) Tacito descrive le relazioni tra padroni e schiavi in un modo che è notevolmente coerente col sistema feudale del primo Medioevo:

 

Gli altri schiavi [cioè coloro che non diventavano tali volontariamente per aver perso in un pericoloso gioco di abilità] non sono utilizzati secondo il nostro [romano] costume assegnando loro determinati compiti domestici, ma ciascuno di loro gestisce una casa e una famiglia proprie. Il padrone esige dallo schiavo una certa quantità di grano, di bestiame e di tessuti, come farebbe con un affittuario, e questi sono i limiti della sua soggezione102.

 

Ciò incarna l’essenza del sistema feudale, con gli schiavi che possiedono una sostanziale autonomia pur avendo degli obblighi verso il signore; se ciò che scrive Tacito è corretto, questo sistema ha preceduto di molto l’incorporazione delle tribù germaniche nell’impero romano. Similmente, George Caspar Homans osserva che «il Wessex e la Mercia possono aver conosciuto per secoli, in Inghilterra come nella patria germanica, un ordine sociale rurale che aveva somiglianza con quanto, in seguito, sarebbe stato considerato tipico di un feudo, più di quanto avvenne nelle società dell’East Anglia, del Kent e della Frisia»103. Homans concorda perciò con Tacito: nelle aree germaniche gli elementi essenziali del sistema feudale possono essere già esistiti secoli prima dell’età medievale.

Come osservato in precedenza, Tacito afferma anche che il modello del matrimonio tardivo era evidente tra le tribù germaniche del suo tempo. Ciò era alquanto dissimile dalla pratica adottata nell’impero romano, dove le ragazze, tipicamente, venivano fatte sposare subito dopo la prima mestruazione104.

La prospettiva etnica è inoltre coerente con il fatto che in certe aree dell’Europa meridionale la struttura della famiglia si basava sulle relazioni di parentela nonostante quelle aree facessero parte dell’impero franco e i signori avessero diritto di esigere rendite e altri servizi. In altre parole, se l’essenza del feudalesimo è un sistema di rendite e di obblighi dovuti a un signore, tale sistema non sminuì l’importanza delle relazioni di parentela nella Francia del sud e in Italia. Come osserva Hartman, «nonostante l’influenza della Chiesa, dei signori feudali e del sovrano, l’autorità esercitata quotidianamente in un villaggio proveniva dai capi dei circa quaranta ostals [appezzamenti di terra dominati da particolari gruppi di parentela]105». A Montaillou il signore impose un certo numero di tasse e di rendite sulle ostals106, come nel sistema feudale, ma la terra rimase sotto il controllo del gruppo di parentela, mentre nei territori originari dell’impero franco essa era posseduta dalle singole famiglie nucleari. In altri termini, nel Sud il sistema delle rendite si adattò all’ambiente familiare moderatamente collettivista, mentre nel Nord esso si adattò a quello moderatamente individualista. La dominazione da parte delle élite non modificò la struttura familiare, ma si adattò ad essa. Ne concludo che, coerentemente con le osservazioni di Tacito, i popoli germanici avevano una tendenza maggiore, rispetto ad altri gruppi, a creare un sistema feudale, e che questo sistema si era stabilito molto tempo prima delle conquiste franche all’inizio del Medioevo. I germani inoltre avevano una maggiore tendenza all’individualismo rispetto agli irlandesi (e agli europei dei sud e dell’est) molto tempo prima che venisse stabilito il sistema feudale all’inizio del Medioevo.

Ciò nondimeno, nel Medioevo, in una situazione di spopolamento e di conseguente necessità di manodopera, i proprietari terrieri possono benissimo essere stati motivati a concedere alle famiglie una maggiore autonomia individuale. A differenza di quanto visto in precedenza riguardo alla scarsità di manodopera in India, nelle condizioni summenzionate le tendenze naturali degli europei nordoccidentali vennero in primo piano, e il potere del gruppo di parentela estesa declinò ulteriormente. Il sistema aveva già stabilito modelli di trasmissione ereditaria individuali che avevano prodotto differenze di ricchezza tra le famiglie, e queste di conseguenza si distaccarono con relativa facilità da quanto rimaneva dei legami di parentela estesa. Esse adottarono naturalmente la responsabilità personale piuttosto che il familismo collettivista, perché questa era già parte della loro cultura; della Sippe non restò pertanto che la memoria storica.

L’importanza degli incentivi forniti ai contadini nel facilitare l’individualismo (ma non nel causarlo) può essere osservata in Olanda, dove i signori offrivano condizioni attraenti ai coloni che intendevano lavorare nuove terre coltivabili:

 

Le conseguenze di questo processo furono significative per vaste aree dell’Olanda dal X secolo in poi. Sia il vescovo di Utrecht che il Conte d’Olanda (ma a volte anche i signori locali) attrassero coloni nelle zone  acquitrinose scarsamente abitate offrendo loro la libertà personale dal servaggio e pieni diritti sulla proprietà della terra. Le popolazioni rurali che rivendicavano le terre torbose olandesi tra il X e il XV secolo conoscevano a malapena gli obblighi feudali, sebbene a dire il vero recenti prove archeologiche abbiano evidenziato l’esistenza di alcune (limitate) proprietà feudali già a partire dal IX secolo. Infatti molti dei coloni delle terre olandesi provenivano da società fortemente feudalizzate e cercavano di sfuggire alle costrizioni del servaggio spostandosi nell’entroterra. Ciascun colono riceveva un appezzamento di terra di dimensioni prestabilite come sua proprietà, ma godeva altresì di un legislazione vantaggiosa sui terreni incolti (recht van opstrek) che permetteva a chiunque di rivendicare qualsiasi porzione di terre palustri estendendo i confini dei propri appezzamenti fino  a che non incontrava un limite naturale o il confine di un’altra proprietà […]

Lo stesso processo si può osservare per le regioni paludose costiere della Frisia e della Germania. In questo contesto di rivendicazione si sviluppò anche una società contadina caratterizzata da una distribuzione della proprietà fortemente egualitaria. La proprietà terriera era su piccola scala e nelle mani degli stessi contadini, con un’agricoltura assai poco specializzata nella sua fase iniziale. La proprietà terriera degli aristocratici era minima: solo il 5-10% dell’area complessiva, nel tardo Medioevo. Questa struttura di libera proprietà contadina restò in piedi dall’epoca in cui ebbe inizio la rivendicazione delle terre fino al secolo XVI.

La rivendicazione delle terre acquitrinose dell’Olanda medievale produsse società giuridicamente libere e relativamente egualitarie, cosa che a sua volta ebbe un’influenza sulle modalità di sfruttamento dei terreni in quelle zone. La terra era lavorata da coloro che l’avevano colonizzata e che la possedevano quasi completamente, e cioè i contadini. Ciò che emerge fin dai primi tempi della colonizzazione e che perdura fino al XVI secolo è una proliferazione di tenute agricole di dimensioni piccole e medie, direttamente sfruttate dalle famiglie contadine […].

L’Olanda medievale era caratterizzata da una distribuzione egualitaria della proprietà, da elevati livelli di libertà e di autonomia dei suoi abitanti, da diritti di proprietà certi e da un sistema moderno di trasferimento della stessa, da un’ampia gamma di attività economiche specializzate e commerciali (non agricole) e da un mercato delle merci e dei capitali flessibile e senza restrizioni107.

 

E’ degno di nota il fatto che in questo quadro sintetico sia inclusa la Frisia, perchè i frisoni emigrarono nell’East Anglia nel V secolo, 500 anni prima che avesse luogo la rivendicazione delle terre in Olanda. Comunque, in East Anglia i frisoni opposero resistenza al feudalesimo. A sostegno di questo scenario migratorio del V secolo, Homans adduce prove linguistiche, come pure fonti scritte contemporanee (p. es. Beda) e archeologiche108. In queste zone, a differenza di quelle feudalizzate, esistevano proprietà indipendenti (ossia non gravate da obblighi di lavoro nei confronti del signore feudale) nei pressi dei piccoli villaggi (gli hamlets)109. Nel corso del tempo le proprietà divennero diseguali, così che verso la fine del XIII secolo «l’irregolarità fu la regola, piuttosto che l’eccezione»110. Condizioni del genere non portarono al sistema feudale:

 

Se un guerriero dell’Età Oscura avesse voluto trarre sostentamento per sé e per i suoi seguaci sfruttando il lavoro nelle terre di sua proprietà, gli sarebbe stato assai più facile sfruttare il villaggio che sorgeva tra vasti appezzamenti coltivati, i cui membri erano già abituati ad una cooperazione agricola su ampia scala, piuttosto che le zone in cui prevalevano piccole proprietà indipendenti e scarsamente organizzate quali l’East Anglia, il Kent e la Frisia111.

 

Comunque, un aspetto critico che emerge da tutto ciò è che malgrado vivessero al di fuori delle aree feudalizzate, gli abitanti dell’East Anglia, antenati dei Puritani di Salem, divennero un modello del sistema familiare dell’Europa nordoccidentale. Hartman, in effetti, vede nella Salem puritana un paradigma ideale della famiglia occidentale individualista. Questa è un’ulteriore obiezione alla teoria che il sistema feudale abbia dato origine alla famiglia individualista.

Tuttavia, almeno all’epoca della conquista normanna dell’Inghilterra e probabilmente a partire dalle originarie migrazioni del V secolo112 nel Kent (colonizzato dagli Juti, popolo germanico originario probabilmente dello Jutland) e nell’East Anglia (colonizzata principalmente dagli Angli provenienti dalla Frisia) vi sono prove di un ruolo della parentela estesa più rilevante di quello osservabile nelle aree feudalizzate dell’Inghilterra centrale, un modello che somigliava a quelli «della riva meridionale della Manica, in particolare della zona posta tra l’antica area sassone della Germania e l’area franco-frisone»113. Homan osserva che la Frisia aveva una struttura familiare estesa e un sistema ereditario in cui la proprietà [terriera, n. d. t.] rimaneva indivisa tra gli eredi (fratelli) che la lavoravano insieme, oppure veniva suddivisa tra gli eredi stessi. La terra era posseduta da un gruppo parentale patrilineare e l’eredità (detta gavelkind) era divisibile tra i successori (spesso fratelli); se uno dei fratelli moriva senza discendenti, la sua porzione di terra ritornava al gruppo. Ciò finì per generare proprietà troppo piccole per poter fornire un sostentamento114. Dunque, malgrado abbiano dato origine ai puritani, il cui sistema familiare era senz’altro parte della tradizione individualista europea occidentale, l’East Anglia e la Frisia sembrano aver avuto originariamente un sistema familiare che assomigliava per certi versi a quello della Francia meridionale: «E’ come se avessimo a che fare con comunità di famiglie estese come quelle che [il sociologo francese Frédéric] Le Play ha descritto come ancora esistenti in Alvernia [regione della Francia a sud della linea Saint Malo–Ginevra] nel XIX secolo: gruppi di uomini che rivendicavano la discendenza da un comune antenato maschio, che vivevano nella stessa casa o in un piccolo gruppo di case e che gestivano in comune una proprietà terriera compatta, sotto la guida del maschio più anziano o più abile di ogni successiva generazione adulta»115.

Nell’East Anglia il matrimonio aveva luogo ad un’età più giovane rispetto a quanto avveniva nelle aree feudalizzate dell’Inghilterra, e questa regione aveva un tasso di crescita naturale più alto116 che esercitava una pressione sulla proprietà terriera nella misura in cui, a causa del sistema ereditario che contemplava la suddivisione, gli appezzamenti agricoli venivano frazionati. In questo sistema erano assai pochi i contadini legati ai signori da obblighi lavorativi. In effetti, i contadini liberi dell’Est Anglia (contee di Norfolk e Suffolk) costituivano approssimativamente la metà di tutti gli uomini liberi dell’Inghilterra, come stima il Domesday Book del 1086117.

Ciò suggerisce una sequenza evolutiva tra questi gruppi che ha all’origine una struttura familiare più collettivista di quella presente nelle aree feudalizzate, che in seguito tuttavia si evolse in una struttura individualista senza che il sistema feudale fosse mai entrato a far parte del quadro. Ciò a sua volta implicherebbe quanto segue:

 

  1. Il sistema feudale non costituisce un fattore critico per lo sviluppo di famiglie individualiste nell’Europa settentrionale, perché i frisoni e i loro discendenti (p. es. gli abitanti dell’East Anglia) finirono per sviluppare famiglie individualiste in assenza di feudalesimo e perché tra le popolazioni germaniche nell’impero romano occidentale le testimonianze di modelli familiari individualisti precedono di molto la feudalizzazione dell’inizio del Medioevo. Come risultato del non essere parte del sistema feudale gli abitanti dell’East Anglia non erano legati ai signori da obblighi di servizio e avevano una libertà individuale relativamente più grande, tema centrale, questo, del capitolo 6 riguardante i puritani. D’altro canto, malgrado l’importanza simile della famiglia estesa tanto nell’East Anglia quanto a Montaillou, una differenza importante è che a Montaillou il signore imponeva una varietà di tasse e di rendite sugli ostals118, cosa che non avveniva in Est Anglia. Gli abitanti di questa regione, pertanto, non avevano una tradizione di sottomissione a un signore.
  2. Comunque, è probabile che il sistema feudale abbia accelerato l’ascesa della famiglia individualista, dato che regioni non feudalizzate come l’Est Anglia e il Kent rimasero indietro rispetto a quelle feudalizzate nell’abbandonare il collettivismo familiare. Malgrado ciò, le popolazioni di queste due regioni divennero esponenti esemplari della famiglia individualista, col dovuto rispetto per il lavoro di Hartman sui puritani del New England.
  3. Il motivo più probabile delle differenze tra l’Europa settentrionale e quella meridionale, che ha continuato ad esistere da epoche immemorabili fino al presente, è costituito dal clinale etnico, lo stesso che è stato documentato per la statura119. Le aree non feudalizzate dell’Europa meridionale conservarono elementi del modello familiare collettivista per molto tempo dopo la sua scomparsa dalle aree, feudalizzate e non, dell’Europa settentrionale, e di fatto fino all’epoca contemporanea. Ancora una volta, ciò suggerisce che gli europei settentrionali possiedano una tendenza etnica all’individualismo maggiore rispetto agli europei meridionali.
  4. Per finire, come si vedrà nella sezione seguente, le forme più estreme di individualismo si osservano in Scandinavia, che non conobbe mai un sistema feudale.

 

 

 

 

L’individualismo estremo a sostegno statale della Scandinavia.

 

Come osservato in precedenza, gli scandinavi mostrano i modelli di famiglia più individualisti dell’intera Europa120. Ciò potrebbe sembrare paradossale alla luce delle politiche economiche socialiste, delle forti tendenze all’egualitarismo, al conformismo e all’osservanza delle leggi della Svezia, ma la logica è piuttosto chiara:

 

L’aspetto peculiare della politica sociale svedese non è la misura in cui lo stato è intervenuto nella società, né i generosi programmi di previdenza sociale, ma la logica morale che soggiace a tutto ciò. Per quanto il percorso non sia stato affatto rettilineo, è possibile scorgere, nel corso del XX secolo, una predominante ambizione a liberare il cittadino, l’individuo, da ogni forma di subordinazione e di dipendenza nella società civile: il povero dalla carità, i lavoratori dai datori di lavoro, le mogli dai mariti, i figli dai genitori (e viceversa, quando i genitori sono divenuti anziani).

In pratica il primato dell’autonomia individuale è stato istituzionalizzato tramite una pletora di leggi e di pratiche […] L’interdipendenza all’interno della famiglia è stata resa minima mediante la tassazione individuale dei coniugi, le riforme delle leggi sulla famiglia hanno revocato l’obbligo di sostentare i genitori anziani, un’assistenza più o meno universale rende possibile alle donne lavorare, i prestiti agli studenti, che non tengono conto del reddito dei genitori o del coniuge, danno ai giovani adulti un ampio grado di autonomia in rapporto alle loro famiglie, e i bambini ottengono uno status più indipendente grazie all’abolizione delle punizioni corporali e alla forte enfasi posta sui loro diritti. Nel complesso, questa legislazione ha reso la Svezia la società meno dipendente dalla famiglia e più individualizzata sulla faccia della terra121.

 

In questo regime le famiglie sono diventate delle «associazioni volontarie», malgrado continuino a mostrare un cospicuo investimento parentale, come sta ad indicare l’elevata quota del tempo trascorso con i figli. Le famiglie nordiche sono relativamente inclini «all’indipendenza (dei bambini), all’individualismo e all’eguaglianza (tra i sessi)»122. La «teoria svedese dell’amore» è che i coniugi non debbano dipendere l’uno dall’altro, che il vero amore escluda una relazione di dipendenza di qualunque tipo (ad esempio finanziaria) dall’altra persona123. I sondaggi sui valori confermano che le società nordiche si collocano tutte ai primi posti per quanto riguarda «l’espressione emancipatoria di sé»124. Le società nordiche sono altresì in vetta alle classifiche rispetto alla fiducia sociale come pure rispetto ai valori secolari e razionali, a dispetto del fatto che la fiducia sia tipicamente associata alla religiosità125. Per finire, l’elevato livello di «fiducia generale» fornisce vantaggi economici, in quanto diminuisce i «costi di transazione» connessi alla necessità di contratti scritti, difesa legale, cause, ecc.126.

Queste tendenze alla libertà individuale e all’indipendenza da soggetti superiori risale come minimo al periodo medievale. Michael Roberts ha osservato che il contadino della Svezia medievale «manteneva la sua libertà sociale e politica in una misura maggiore, rivestiva un ruolo più importante nella politica del paese ed era nel complesso una persona più ragguardevole che in qualsiasi altro paese dell’Europa occidentale»127.

Analogamente Lars Trägårdh:

 

Il rispetto per la legge e una visione positiva dello stato sono storicamente legati alla relativa libertà dei contadini svedesi. La debolezza, per non dire l’assenza, di istituzioni feudali trova corrispondenza in una storia di autonomia individuale, di autodeterminazione, di proprietà della terra, di rappresentanza parlamentare come “stato” e di conseguente disponibilità e capacità di partecipare alla vita politica del paese. Vi è, certamente, un forte aspetto mitologico in questa assenza frequentemente menzionata di una transizione feudale in Svezia […] Ciò nondimeno, la conseguenza della relativa inclusione e della delega di poteri [ai contadini] fu che il loro stato di sudditi venne bilanciato dalla loro posizione di cittadini. Come “stato” nel parlamento essi avevano un ruolo nell’approvazione delle leggi, che in tal modo ottenevano legittimazione popolare. Inoltre siccome i contadini e il re (a volte insieme al clero) erano spesso uniti in una lotta comune contro il comune avversario, la nobiltà, molti contadini arrivarono a vedere lo stato, nella figura del re, come qualcosa che, in certo qual modo, stava “dalla loro parte”. Sicuramente, nella realtà concreta le alleanze politiche erano mutevoli, alcuni re furono più potenti di altri e la nobiltà fu talvolta vicina ad ottenere quel tipo di assoggettamento dei contadini che era la norma in gran parte del resto d’Europa. Ma a conti fatti, la lotta dei contadini per mantenere i loro diritti legali, politici e di proprietà ebbe un notevole successo, e all’epoca in cui gli ideali democratici e liberali, provenienti dal continente europeo, si fecero strada in Svezia, nel XIX secolo, essi si fusero efficacemente con queste tradizioni politicamente forti della piccola proprietà terriera128.

 

Questo brano si accorda bene con quanto scrive lo storico ottocentesco Erik Gustaf Geijer (1783-1847). Geijer osservava come il feudalesimo (che consisteva in diritti ereditari per i nobili e nella servitù per i contadini) si fosse sviluppato nella maggior parte delle società germaniche con la conquista da parte dei franchi; comunque «nella stessa Scandinavia […] i feudi (appezzamenti di terreno assegnati alla nobiltà) non divennero mai ereditari, e tanto meno venne introdotta nel popolo la servitù»129. Inoltre la monarchia svedese tradizionale non era oppressiva: Geijer «credeva fermamente nella monarchia costituzionale con una forte influenza personale di un re potente, ponendo l’accento sul legame esclusivo tra il monarca e il suo popolo, che Geijer considerava come un fatto storico in Svezia»130.

 

Il re non agiva come il supremo conciliatore, né giudicava l’uomo libero in assenza dei suoi pari, poiché tutti i giudizi venivano pronunciati col popolo o, che è lo stesso, con un giuria elettiva. In guerra il re era il comandante, sebbene il popolo non lo seguisse incondizionatamente in tutto, ma solo in ciò in cui esso stesso aveva avuto un ruolo decisionale o che la presenza del nemico nel paese rendeva necessario. Ogni altra guerra non era una guerra nazionale, ma semplicemente una faida, nella quale in re poteva anche impegnarsi liberamente con i suoi uomini, ossia coloro che gli dovevano una lealtà particolare (fideles) [cioè “l’armata permanente” del re131 o il “comitatus132, vale a dire il Männerbund] o che si alleavano con lui temporaneamente. Perché nessun uomo libero, neppure se suddito del re, era un uomo del re, ma apparteneva a sé stesso. Essere indicato come uomo del re richiedeva un rapporto particolare133.

La nobiltà guerriera era una nobiltà di servizio e di corte e per molto tempo (soltanto in seguito all’espansione del potere regio) non ebbe alcun privilegio nei confronti del popolo. Nessuno dei vantaggi ad essa connessi era ereditario né permanente rispetto ad una data persona134.

 

Geijer afferma: «in Scandinavia noi sappiamo che in origine il governo fu gestito dai sacerdoti» e pone in contrapposizione il regime sacerdotale con «i primi governanti “odinici”»135. Come osservato nel capitolo 2, Odino era il «dio del furore guerriero» ed era strettamente associato alla cultura guerriera degli IE136.

Il governo della legge, più che il dispotismo del re, era la norma: «il governo della legge era essenziale al contratto sociale che sosteneva l’emergente stato svedese, e l’adesione alla legge da parte del re e della sua amministrazione era essenziale alla legittimazione dello stato»137. Questi valori, incorporati nella legge, divennero norme sociali interiorizzate.

L’accettazione di un forte controllo da parte dello stato a sostegno dell’egualitarismo è dunque vista dagli svedesi come necessaria proprio per ottenere l’autonomia individuale:

 

Dal punto di vista di quella che si potrebbe chiamare l’ideologia svedese, un interventismo attivo da parte dello stato per promuovere condizioni egualitarie non è una minaccia all’autonomia individuale, ma anzi è l’opposto: un prerequisito necessario per liberare i cittadini dalla degradante e umiliante dipendenza reciproca. In quanto cultura e sistema politico, la Svezia non può essere semplicemente descritta come comunitarista, ossia una società nella quale i cittadini attribuiscono alla loro reciproca associazione un valore superiore rispetto all’autorealizzazione. Infatti, malgrado la retorica ufficiale della solidarietà e della democrazia sociale, la Svezia non è una Gemeinschaft [comunità, n. d. t.] calda, composta di altruisti straordinariamente premurosi e amorevoli, bensì una Gemeinschaft ipermoderna di individui che mirano all’autorealizzazione e che credono che uno stato forte e delle norme sociali stabili terranno lontani i loro vicini di casa sia dalle loro vite che dal loro giardino138.

 

Al livello della famiglia, Berggren e Trägårdh concordano con Patrick Heady139 (vedi sopra) sul fatto che la Svezia “si distingua” dal sistema familiare europeo occidentale. Come osservato in precedenza, un aspetto chiave del sistema svedese era che i giovani dovevano assumersi la responsabilità individuale del loro matrimonio e del loro percorso nel mondo: «I giovani erano governati da sistemi di autocontrollo interiorizzati, non ultimo la tradizione del “night bundling139a, che sebbene non fosse affatto esclusiva della Svezia era molto diffusa e rilevante»140.

La Svezia occupa pertanto una posizione di vertice nella scala dell’individualismo. «La Svezia (e in misura alquanto minore il resto della Scandinavia) [è diventata] la società meno orientata verso la famiglia e più individualizzata del mondo, toccando punte estreme di autoespressione emancipatoria e di valori secolari e razionali»141. Il lato negativo comprende un elevato tasso di divorzi, mancanza di pietà figliale, «tassi allarmanti di stress e di problemi psicologici» e una cultura giovanile individualista che, nel mondo contemporaneo, è passibile di sfruttamento da parte degli interessi commerciali ed è fortemente incline alla promiscuità sessuale e alle droghe142.

 

 

 

 

Conclusioni.

 

L’argomento centrale, qui, è che le origini della peculiare struttura familiare dell’Europa nordoccidentale siano da rintracciarsi nelle influenze biologiche derivanti da una combinazione di popolazioni IE originarie delle steppe dell’Europa sudorientale e di popolazioni di CR il cui passato evolutivo affonda le sue radici nella stessa Europa nordoccidentale.

 

  1. La pratica diffusa di collocare persone a servizio presso le case di estranei non imparentati con loro non può essere spiegata in termini puramente economici come risposta al sistema feudale medievale. Comunque, essa è compatibile con elaborati sistemi di reciprocità non basati sulla parentela osservati nella cultura dei CR che vivono in ambienti difficili (capitolo 2) come pure è caratteristica delle culture proto-IE e di quelle da esse derivate (capitolo 3) antiche di migliaia di anni.
  2. Coerentemente con la spiegazione primordialista, gli storici non sono in grado di datare con certezza le origini della famiglia individualista. Tenendo conto delle osservazioni di Tacito sulla schiavitù presso i germani (che, come osservato, era essenzialmente un sistema feudale) il fatto che i costumi di monogamia, di matrimonio tardivo e di trasmissione individuale dell’eredità precedano di molto l’inizio del Medioevo suggerisce che il modello di famiglia individualista sia radicato nella storia evolutiva dei popoli germanici.
  3. La famiglia individualista si adatta male al sistema feudale, a causa della sua minore capacità, rispetto a quella collettivista, di proteggere le femmine da avances sessuali non desiderate e di assicurare adeguate condizioni di sostentamento ai genitori anziani. Il matrimonio tardivo per le femmine ha anche come conseguenza una minore fertilità e rende meno probabile la generazione di eredi.
  4. Le forme di famiglia del Nordest, assai diverse rispetto a quelle di gran parte dell’Europa meridionale, continuarono a sussistere le une accanto alle altre malgrado la religione fosse la stessa (fino all’avvento della Riforma, che interessò soprattutto le aree germaniche dell’Europa nordoccidentale) e nonostante l’introduzione del sistema feudale in entrambe le aree come risultato della conquista franca. Similmente, il collettivismo delle famiglie mediorientali persistette malgrado l’occupazione da parte delle culture individualiste occidentali.
  5. Una spiegazione contestualista secondo la quale lo spopolamento avrebbe spinto i proprietari terrieri a fare concessioni alle famiglie [dei contadini, n. d. t.] non regge, perché condizioni simili in altre parti dell’Eurasia non diedero origine a famiglie individualiste.
  6. Esiste un clinale nell’Europa nordoccidentale tale per cui il modello più individualista di famiglia si riscontra in Scandinavia e in particolare in Svezia, che non subì mai la feudalizzazione.

 

Ciò su cui qui si pone l’accento è la differenza tra i modelli di famiglia lungo la linea nordovest-sudest.

Questa prospettiva permette un’analisi più raffinata di quella suggerita dalla linea di Hajnal, che raccoglie nella medesima categoria l’Europa nordoccidentale e quella sudorientale ad ovest di una linea che va da Trieste a San Pietroburgo, con l’eccezione dell’Irlanda, della Penisola Iberica meridionale e dell’Italia meridionale. Tale divisione include ad esempio la Francia settentrionale e quella meridionale nella stessa categoria, malgrado le differenze assai ampie qui osservate.

La deviazione dell’Irlanda rispetto al modello dell’Europa nordoccidentale e la conformità a quello stesso modello delle aree di lingua germanica dell’Italia del nord al principio del Medioevo sono state discusse in precedenza. Questi dati suggeriscono che il modello familiare moderatamente individualista dell’Europa nordoccidentale sia fondamentalmente una creazione etnica dei popoli germanici, che possiedono un minor retaggio genetico derivante dagli agricoltori mediorientali (che è invece elevato nell’Europa meridionale) e un maggior retaggio genetico derivante dagli IE e dai CR, entrambi più diffusi nell’Europa del nord che in quella del sud.

 

In conclusione, un gradiente genetico nordovest-sudest rappresenta la principale coordinata in grado di spiegare le variazioni della struttura familiare nell’Europa occidentale. Certamente, considerata in un contesto più ampio (in confronto, ad esempio, al Medio Oriente) tutta l’Europa, compresa quella orientale, è relativamente individualista.

 

Note.

 

  • Questo capitolo si basa su: Kevin MACDONALD, The Familial Origins of European Individualism, “The Journal of Social, Political and Econimic Studies”, 43, nn. 1 e 2 (primavera e estate 2018): 78-108. https://www.researchgate.net/publication/325395931.
  • Mary S. HARTMAN, The Household and Making of History: A Subversive view of of the Western Past, Cambridge, UK, Cambridge University Press, 2004, 1, XXX.
  • Ibid., 3.
  • Si veda ad esempio HARTMAN, ibid.; Michael MITTERAUER, Why Europe? The Medieval Origins of Its Special Path, trad. Gerald Chapple, Chicago, University of Chicago Press, 2010, ed. orig. tedesca 2003. [5] Ad esempio HARTMAN, The Household and Making of History, 6; Peter LASLETT, Characteristics of the Western Family Considered Over Time, “Journal of Family History”, 2, estate 1977: 89-114, 95.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 13.
  • John HAJNAL, European Marriage Patterns in Perspective, “Population in History: Esays in Historical Demography”, D. V. Glass, D. E. Eversle (edit.), Chicago, Aldine, 1965: 101-43. 132.
  • James A. BRUNDAGE, Concubinage and Marriage in Mediaval Canon Law, “Journal of Medieval

History”, 1: 1-17, 1975; Barbara HANAWALT, The Ties thet Bound: Peasant Families in Medieval England,

New York, Oxford University Press, 1986; Alan MACFARLANE, Marriage and Love in England: Modes of

Reproduction 1300-1840, London, Basil Blackwell, 1986; Lawrence STONE, The Family, Sex and Marriage in England: 1500-1800, New York, Harper & Row, 1977; Lawrence STONE, The Road to Divorce: 15301987, Oxford, Oxford University Press, 1990.

  • STONE, The Family, Sex and Marriage in England: 1500-1800.
  • MACFARLANE, Marriage and Love in England, 174.
  • Edward WESTERMARCK, The History of Human Marriage, 5.a ed., New York, Allerton, 1922.
  • Ad esempio PETER BROWN, Late Antiquity, in Paul VEYNE (ed.), A History of Private Life, vol. I, trad.

Arthur Goldhammer, Cambridge, Harvard University Press, 1987: 235-311; Alain CORBIN, Backstage, in Michelle PERROT (ed.), A History of Private Life: IV. From the Fires of the Revolution to the Great War, trad. Arthur Goldhammer, Cambridge, Harvard University Press, 1990: 451-667; Roy PORTER, Mixed Feelings: The Enlightenment and Sexuality, in “Eighteenth-Century Britain”, Manchester, UK, Manchester

University Press, 1982: 1-27; Paul VEYNE, The Roman Empire, in Paul VEYNE (ed.) A History of Private Life, vol I, trad. Arthur Goldhammer, Cambridge, Harvard University Press, 1987: 5-234.

  • LASLETT, Characteristics of the Western Family Considered Over Time, 1977.
  • HAJNAL, Two Kinds of Pre-industrial Household Formation System.
  • STONE, The Family, Sex and Marriage in England.
  • HAJNAL, Two Kinds of Pre-industrial Household Formation System.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 25.
  • Ibid., 41.
  • Incidentalmente, da questa prospettiva si potrebbe anche sostenere che il collettivismo moderato di gran parte dell’Europa meridionale e la sua persistenza fino all’epoca attuale necessitino di una spiegazione almeno quanto i modelli individualisti dell’Europa settentrionale.
  • Patrick HEADY, A “Cognition and Practice” Approach to an Aspect of European Kinship, “CrossCultural Research”, 51, n. 3, 2017: 285-310.
  • Maria IACOVU, Alexandra SKEW, Household Structure in the EU, in Anthony B. ATKINSON, Eric

MARLIER (edit.), Income and Living Conditions in the EU, Luxembourg, Publications Office of the European Union, 2010: 79-100, 81.

  • HAJNAL, European Marriage Patterns in Perspective.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 29.
  • Comunque, in una situazione in cui gli uomini dovevano affrontare la prospettiva di essere costretti a sposare la madre del loro figlio illegittimo, essi subivano anche pressioni affinchè mantenessero il controllo della loro sessualità.
  • Kevin MACDONALD, Effortful Control, Explicit Processing and the Regulation of Human Evolved Predispositions, “Psychological Review”, 115, n. 4, 2008: 1012-1031.
  • Peter LASLETT, Family and Household as Work Group and Kin Group: Areas of Traditional Europe

Compared, in Richard WALL (ed.) in collaborazione con Jean ROBIN e Peter LASLETT, Family Forms in Historic Europe, Cambridge, UK, Cambridge University Press, 1983: 513-564.

  • Krzysztof KOŚCIŃSKI, Assessment of Waist-to-Hip Ratio Attractiveness in Women: An Anthropometric Analysis of Digital Silhouettes, “Archives of Sexual Behavior”, 43, n. 5, 2014: 989-997.
  • Thomas R. MALTHUS, An Essay on the Principle of Population, New York, W. W. Norton, 1976; ed.

orig. 1798; cit. in MACFARLANE, Marriage and Love in England, 294.

  • S. SCHOFIELD, Family Structure, Demographic Behavior and Economic Growth, in J. WALTER, R. S.

SCHOFIELD (eds.) Famine, Disease and the Social Order in Early Modern Society, Cambridge, Cambridge University Press, 9188: 279-304, 285.

  • HARTMAN, The Household and Making of History, 74.
  • TACITO, Germania, 18 (corsivo nostro).
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 75.
  • LASLETT, Characteristics of the Western Family Considered Over Time, 113.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 76.
  • Richard P. SALLER, Brent D. SHAW, Tombstones and Roman Family Relations in the Principate:

Civilians, Soldiers and Slaves, “The Journal of Roman Studies”, 74, 1894: 124-156, 124.

  • Ibid.
  • Ibid., 146.
  • Brent D. SHAW, Richard P. SALLER, Close-Kin Marriage in Roman Society?, “Man” (New Series). 19, 3, settembre 1984: 432-444, 432.
  • Ibid., 438-439.
  • Ibid.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 86.
  • Kevin MACDONALD, Temperament and Evolution, in Marcel ZENTNER, Rebecca L. SHINER (eds.) Handbook of Temperament, New York, Guilford Press, 2012: 273-296.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 83.
  • Wally SECCOMBE, A Millennium of Family Change: Feudalism to Capitalism in Northwestern Europe, London, Verso, 1992: 43.
  • Richard M. SMITH, Geographical Diversiy in the Resort to Marriage in Late Medieval Europe: Work, Reputation and Unmarried Females in the Household Formation Systems of Northern and Southern Europe, in P. J. P. GOLDBERG (ed.) Women in Medieval English Society, Phoenix Mill, Gloucestershire, UK, Sutton Pu., 1997: 16-59, 17.
  • MITTERAUER, Why Europe?, 28.è [46a] N. d. t.: la cartina risulta mancante.
  • Ibid., 34.
  • Ibid., 29.
  • Ibid., 30.
  • Ibid., 31.
  • George Caspar HOMANS, The Rural Sociology of Medieval England, “Past and Present”, 4, 1953: 32-43; rist. in George Caspar HOMANS, Sentiments and Activities, London, Forgotten Books, 2016: 145-157, 147. [52] Dal Black’s Law Dictionary, 2.a ed., 1891: Un villano è «una persona legata a un fondo agricolo feudale che era sostanzialmente nella condizione di uno schiavo che svolgeva il lavoro umile e servile in quel fondo per il signore ed era, sotto molti aspetti, un bene di proprietà del medesimo»; (cfr. https://dictionary.thelaw.com/villein/).
  • Dal Black’s Law Dictionary, 2.a ed., 1891: «Il socage, in Inghilterra, è la proprietà di certe terre che contempla determinati servizi agricoli che devono essere svolti dall’affittuario a beneficio del signore cui è dovuto il canone d’affitto. Socage, nella più ampia accezione del termine, sembra denotare la conduzione di una proprietà collegata ad un determinato servizio»; (cfr. https://dictionary.thelaw.com/villein/).
  • MITTERAUER, Why Europe?, 59.
  • HERLIHY, Medieval Households, Cambridge, Harvard University Press, 1985: 157.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 89.
  • Binay Bhushan CHAUDHURI, Major Influences on Agriculture, Ecology, Politics and Economics, in Binay Bhushan CHAUDHURI (ed.), History of Science, Philosophy and Culture in Indian Civilization, vol. III, part 2, Delhi, Pearson Education India, 2008: 169-402.
  • Ibid.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 90.
  • Ibid., 91.

[60a] N. d. t.: L’espressione life-cycle service, utilizzata dall’Autore, indica la consuetudine per cui gli adolescenti andavano a servizio presso le case di individui non imparentati con loro per un periodo che terminava quando diventavano adulti.

  • Ibid., 99.
  • La mentalità dei musulmani nei riguardi della religione e della sessualità si mostra resistente al cambiamento dopo l’emigrazione nei paesi occidentali. Per quanto i musulmani occidentali si collochino frequentemente, quanto a mentalità, in una posizione intermedia tra la società islamica e quella occidentale, non vi sono prove che il ricambio generazionale, di per sé, possa modificare la situazione in modo che le differenze culturali tra musulmani e autoctoni occidentali scompaiano: i giovani occidentali adottano i valori moderni più rapidamente dei loro coetanei musulmani. Cfr. Ronald INGLEHART, Pippa NORRIS, Muslim Integration into Western Cultures: Between Origins and Destination, HKS Faculty Research Working Paper Series RWP09-007, John F. Kennedy School of Government, Harvard University, 2009.

https://dash.harvard.edu/bitstream/handle/1/4481625/norris_muslim_integration.pdf?sequence=1.

  • Ladislav HOLY, Kinship, Honour and Solidarity: Cousin Marriage in the Middle East, Manchester, UK, Manchester University Press, 1989: 12, 13.

Cfr. https://books.google.com/books?hl=en&lr=&id=99vBAAAAIAAJ.

  • Emmanuel LE ROY LADURIE, Montaillou: Cathars and Catholics in a French Village, 1294-1324, trad.

Barbara Bray, New York, Penguin Books, 1980; ed, orig. Paris, Editions Gallimard, 1978.

  • Come osservato in precedenza, un punto debole dell’argomento di Hartman inteso a spiegare perché il modello europeo nordoccidentale sia funzionale agli interessi della famiglia, è che si poteva trarre profitto dal lavoro delle figlie. Qui vediamo come le nuore potessero facilmente rimpiazzare le figlie e come inoltre venissero assunti altri individui non imparentati.
  • Emmanuel LE ROY LADURIE, The French Peasantry 1450-1660, trad. A. Sheridan, Berkeley, University of California Press, 1986, ed. orig. 1977.
  • LE ROY LADURIE, The French Peasantry 1450-1660, 340.
  • Ibid., 341.
  • George Caspar HOMANS, The Frisians in East Anglia, “Economic History Review”, Scond Series, 10,

1957, 189-206, rist. in George Caspar HOMANS, Sentiments and Activities, London, Forgotten Books, 2016:

158-181, 180.

  • Peter LASLETT, Family and Household as Work Group and Kin Group.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 127.
  • Ibid., 129.
  • Ibid., 132.
  • Ibid., 141.
  • Ibid., 151. [76] Ibid., 239.
  • Gregory CLARK, A Farewell to Alms, Princeton, NJ, Princeton University Press, 2007.
  • Hartman accetta l’idea che la nascita dello stato nazionale non sia stata il risultato del tentativo di creare istituzioni durature (costruzione dello stato) ma delle strategie familiari delle élite. Il figlio maggiore ereditava i possedimenti terrieri, ma i figli minori potevano anch’essi ereditare una qualsiasi ulteriore aggiunta a quei possedimenti, «un adattamento ad un ambiente mutevole in cui le terre scarseggiavano, la popolazione aumentava e venivano a crearsi insediamenti familiari nucleari […] Il motore del comportamento rimaneva l’interesse della famiglia» a tutti i livelli della società. Il protestantesimo fu imposto dalle élite e non fu il risultato di una richiesta popolare; cfr. HARTMAN, The Household and Making of History, 211.
  • David Sven REHER, Family Ties in Western Europe: Persistent Contrasts, “Population and Development Review”, 24, n. 2, giugno 1998: 203-234, 215.
  • Ibid., 217.
  • Ibid., 219.
  • Ibid., 221.
  • Ibid., 203.
  • Ibid., 229.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 260.
  • Ibid., 270.
  • MITTERAUER, Why Europe?, 42.
  • Thomas TOMBS, The English and Their History, 88.
  • Thomas TOMBS, The English and Their History, London, Penguin Books, 2015, ed. orig. London, Allen Lane, 2014: 88.
  • Jonathan SCHULZ, Duman BAHRAMI-RAD, Jonathan BEAUCHAMP, Joseph HENRICH, The Origins of WEIRD Psychology (preprint), Department of Human Evolutionary Biology, Harvard University, 2018; https://psyarxiv.com/d6qhu.
  • HERLIHY, Medieval Households, 44.
  • Wally SECCOMBE, A Millennium of Family Change, 51.
  • HERLIHY, Medieval Households, 47.
  • Ibid., 46.
  • Ibid., 48, corsivo nostro.
  • Ibid., 55.
  • MITTERAUER, Why Europe?, 43.
  • HERLIHY, Medieval Households, 33.
  • Ibid., 36.
  • John BOSSY, Christianity in the West 1400-1700, New York, Oxford University Press, 1985: 59.
  • Colm LENNON, The Confraternities and Cultural Duality in Ireland, 1450-1550, in Christopher

BLACK, Pamela GRAVESTOCK (eds.), Early Modern Confraternities in Europe and the Americas, Hants, UK, Ashgate Publishing Ltd., 2006: 35-52, 37.

  • TACITO, Germania, 25.
  • HOMANS, The Frisians in East Anglia, 180.
  • SECCOMBE, A Millennium of Family Change, 47.
  • HARTMAN, The Household and Making of History, 117.
  • LE ROY LADURIE, Montaillou: Cathars and Catholics in a French Village, 1294-1324, 19.
  • Daniel L. CURTIS, Michele CAMPOPIANO, Medieval Land Reclamation and the Creation of New

Societies: Comparing Holland and the Po Valley, c. 800 – c. 1500, “Journal of Historical Geography”, 44, 2014: 93-108, 98-99, 102.

  • HOMANS, The Frisians in East Anglia, 159.
  • HOMANS, The Rural Sociology of Medieval England, 147.
  • Ibid., 148.
  • HOMANS, The Frisians in East Anglia, 180.
  • HOMANS, The Rural Sociology of Medieval England, 149.
  • Ibid., 149.
  • HOMANS (Ibid.) suggerisce che la continua frammentazione delle terre per via ereditaria possa aver avuto un peso nella rivolta dei contadini e nell’ascesa dell’industria tessile, perché gli individui che non erano in grado di sostentarsi coi proventi di piccoli appezzamenti di terra cercarono un modo di sottrarsi a tale situazione. L’eredità frazionabile promosse anche un mercato dei terreni, perché gli individui i cui appezzamenti non erano sufficienti al loro sostentamento sarebbero stati propensi a venderli.
  • Ibid., 148.
  • Come osservato in precedenza, uno svantaggio del modello di famiglia individualista è un minor tasso di crescita naturale.
  • HOMANS, The Frisians in East Anglia, 169; Homans osserva che le zone [dell’Inghilterra, n. d. t.] sottoposte alla danelaw [le leggi amministrative vichinghe, n. d. t.] avevano anche una percentuale relativamente elevata di uomini liberi (p. 170).
  • LE ROY LADURIE, Montaillou, 19.
  • Si veda MATHIESON et al., Genome-Wide Patterns of Selection in 230 Ancient Europeans, “Nature”, 528, 2015: 499-503.
  • HEADY, A “Cognition and Practice” Approach to an Aspect of European Kinship.
  • Lars TRÄGÅRDH, Statist Individualism: The Swedish Theory of Love and its Luteran Imprint, in Joel

HALLDORF, Fredrik WENELL (eds.), Between the State and the Eucharist: Free Church Theology in Conversation with William T. Kavanaugh, Eugene, OR, Wipf and Stock Publishers, 2014, 13-38, 21-22.

  • Ibid., 33.
  • Ibid., 27.
  • Ibid.
  • Ibid., 26.
  • Ibid., 26-27.
  • Michael ROBERTS, Essays in Swedish History, London, Weidenfield & Nicholson, 1967: 4-5.
  • TRÄGÅRDH, Statist Individualism, 32-33.
  • Erik Gustaf GEIJER, Feudalism and Republicanism, in Björn HASSELGREN (ed.), Freedom in Sweden:

Selected Works of  Erik Gustaf Geijer, trad. Peter C. Hogg, Stockholm, Timbro Förlag, 2017: 125-306, 142.

  • Lars MAGNUSSON, Erik Gustaf Geijer – An Introduction, in in Björn HASSELGREN (ed.), Freedom in

Sweden: Selected Works of  Erik Gustaf Geijer, trad. Peter C. Hogg, Stockholm, Timbro Förlag, 2017: 13-60, 26, corsivo nell’originale.

  • Erik Gustaf GEIJER, Feudalism and Republicanism, 139, corsivo nell’originale.
  • Ibid., 138.
  • Ibid., corsivo nell’originale.
  • Ibid., 140.
  • GEIJER, Feudalism and Republicanism, 155.
  • Hans-Peter HASENFRATZ, Barbarian Rites, trad. Michael Moynihan, Rochester, VT, Inner Traditions,

2011 (ediz. orig. tedesca Freiburg im Breisgau, Germania, Verlag Herder, 1999), 49. Questo contrasto tra  i

“governanti odinici” e il precedente regime sacerdotale è coerente con la controversa teoria di Marija Gimbutas secondo la quale gli IE introdussero una cultura guerriera, dominata dagli uomini, sostituendo le precedenti culture più ginocentriche.

Quanto segue è congetturale, ma è interessante che un tema della mitologia norrena fosse quello della primordiale battaglia tra gli Aesir e i Vanir, dove i primi sembrano essere un riferimento ai conquistatori IE, con la loro cultura fortemente militarizzata (e divinità quali Odino e Thor) e i secondi un possibile riferimento alla precedente cultura locale dei CR discussa nel capitolo 3. La divinità principale dei Vanir era Freya, una dea associata alla magia e compatibile con l’idea che gli originari governanti della Scandinavia fossero sacerdoti e che quella cultura fosse assai più influenzata dalle donne rispetto alla cultura fortemente patriarcale dei conquistatori IE.

Come osservato nel capitolo 3, questa cultura era alquanto sofisticata e sosteneva una grande popolazione; avrebbe pertanto potuto essere certamente in grado di opporre una formidabile resistenza agli invasori; dopo tutto, come pure osservato nel capitolo 3, le culture dei CR della Scandinavia frenarono l’avanzata dell’agricoltura portata dai coltivatori derivanti dalla cultura agricola del Medio Oriente per un periodo di 2000-3000 anni. Io suggerisco che la mitologia faccia riferimento, in ultima analisi, a scontri realmente avvenuti, la cui memoria si è perduta nelle nebbie della preistoria. In base alla mitologia, gli Aesir utilizzavano tipiche tattiche militari, mentre i Vanir ricorrevano alla magia, e alla fine le due parti pervennero ad un modus vivendi. E’ pertanto attraente l’idea di spiegare le tendenza relativamente egualitaria delle culture scandinave, se paragonate a quelle degli altri popoli germanici, come esito di quella fusione culturale. Cfr. Marija GIMBUTAS, Bronze Age Cultures in Eastern and Central Europe, L’Aia, De Gruyter Noulton, 1965.

  • TRÄGÅRDH, Statist Individualism, 132-133.
  • Henrik BERGGREN, Lars TRÄGÅRDH, Pippi Longstocking: The Autonomous Child and the Moral Logic of the Swedish Welfare State, in Helena MATTSSON, Sven-Olav WALLENSTEIN (eds.), Swedish Modernism: Architecture, Consumption and the Welfare State, London, Black Dog Publishing, 2010: 11-22, 14-16. Si potrebbe osservare come l’estremo individualismo svedese appaia disastrosamente svantaggiato nel confronto con il collettivismo mediorientale e con la religione musulmana che pure, malgrado ciò, la Svezia sta massicciamente importando.
  • HEADY, A “Cognition and Practice” Approach to an Aspect of European Kinship.

[139a] N. d. T.: Il night bundling (traducibile come incontro notturno, o anche notte dell’incontro) è un’antica usanza secondo la quale i ragazzi celibi potevano, in certe occasioni, essere accolti nelle case delle ragazze nubili e trascorrere con loro la notte, anche condividendone il letto, senza la presenza dei genitori. L’usanza, che escludeva i contatti sessuali (il ragazzo e la ragazza rimanevano vestiti) serviva a favorire la reciproca conoscenza.

  • BERGGREN, TRÄGÅRDH, Pippi Longstocking, 17.
  • Ibid., 19.
  • Ibid., 20.