INDIVIDUALISMO E TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE: Capitolo 8, LA PSICOLOGIA DELLE COMUNITÀ MORALI

INDIVIDUALISMO E
TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE.
Origini evolutive, storia e prospettive future.
traduzione italiana di Marco Marchett

LA PSICOLOGIA DELLE COMUNITÀ MORALI.

 

 

La razionalità umana consiste in gran parte nel separare l’argomentazione intellettuale dalle attribuzioni personali di carattere morale. La difficoltà che abbiamo nel fare questa separazione suggerisce che le ideologie politiche, religiose e pseudoscientifiche sono state parte dell’ostentazione moralista per un periodo di tempo molto lungo.

Geoffrey Miller, The Mating Mind 1.

 

Questo libro ha posto l’accento sul fatto che la vena progressista della cultura occidentale deriva in ultima analisi dall’individualismo europeo, che a sua volta può essere fatto risalire alle più antiche origini delle popolazioni europee. Come si è osservato in più luoghi, un aspetto fondamentale dell’individualismo è che la coesione del gruppo non si basa sulla parentela, bensì sulla reputazione; e soprattutto negli ultimi secoli, su una reputazione morale di persona capace, onesta, affidabile ed equa. La reputazione di condottiero militare rivestiva un’importanza centrale per le società guerriere IE, dove la fama dei capi era un fattore critico per  poter raccogliere seguaci (capitolo 2). I gruppi di CR settentrionali esaminati nel capitolo 3 svilupparono costumi egualitari ed esogamici e un elevato livello di complessità sociale in cui l’interazione tra individui non imparentati tra loro e con gli stranieri era la norma; anche qui, la reputazione era un fattore critico per poter rimanere nel gruppo.

Le comunità morali occidentali basate sulla reputazione hanno pertanto profonde radici storiche sia nella cultura IE che in quella dei CR. Nel capitolo 5 ho osservato come l’Europa cristiana sia divenuta una comunità morale fondata sulle credenze religiose cristiane piuttosto che sulle identità nazionali o etniche. Inoltre, gli abati e i prelati della Chiesa medievale, i capi religiosi puritani e quaccheri del XVII e del XVIII secolo e gli intellettuali progressisti del XIX secolo presi in esame nei capitoli successivi furono portatori dell’antichissima tendenza a creare comunità morali come fonti di identità. Per finire, come si vedrà più avanti e nel capitolo 9, queste comunità morali sono arrivate a definire la cultura occidentale contemporanea. Esse sono prodotti autoctoni della cultura dell’Occidente, allo stesso modo in cui i clan basati sulla parentela, il matrimonio tra cugini, la segregazione delle donne e gli harem delle élite maschili sono il prodotto dei popoli del Medio Oriente.

La mia idea è che le comunità morali che si osservano alle origini della storia occidentale e che riaffiorano in maniera ricorrente nei secoli successivi si colleghino ad una tendenza preesistente tra gli individualisti a creare simili comunità come forza di coesione che non dipende dalle relazioni di parentela. Particolarmente importanti, fin dal XVII secolo, sono state le comunità morali egualitarie basate sull’etica dei CR le cui origini evolutive sono state discusse nel capitolo 3. A cominciare dal secondo dopoguerra e con una grande accelerazione dagli anni 1960 i poi, queste comunità morali sono state definite dalla sinistra intellettuale, incline ad espropriare i popoli di origine europea dei territori che essi hanno dominato per centinaia o, come nel caso dell’Europa, migliaia di anni.

Le comunità morali pervadono tutte le strutture istituzionali dell’Occidente; tuttavia, a causa della loro vasta influenza, esse rivestono un ruolo particolarmente notevole nel mondo dell’informazione e in quello accademico. Per esempio, se nel periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale le scienze sociali maggioritarie erano state relativamente libere da un pensiero basato sulla dialettica morale tra il gruppo e il mondo esterno,  negli ultimi decenni questo tipo di pensiero ha avuto effetti drammatici sulle scienze sociali e umane, al punto che i dipartimenti universitari e le associazioni accademiche di questi settori possono essere adeguatamente definite come «comunità morali tribali» nel senso dato a questa espressione da Jonathan Haidt2. Questo fatto è quanto mai evidente in settori quali la psicologia sociale, la sociologia, l’etnologia e i gender studies.

Il risultato è che le comunità dei ricercatori accademici e i media esercitano un rigoroso controllo sulle ricerche e sulla manifestazione di opinioni che siano in contrasto con l’egualitarismo razziale o promuovano gli interessi delle popolazioni di derivazione europea; tali comportamenti sono stati interiorizzati da un gran numero di bianchi. Ricercatori quali Arthur Jensen, Richard Lynn, J. Philippe Rushton e Ralph Scott, che hanno cercato di pubblicare le loro scoperte sulle differenze tra le razze o sulle politiche pubbliche in materia razziale, si sono ritrovati socialmente ostracizzati e hanno presto dovuto accorgersi che per loro esistono ostacoli alla pubblicazione sulle riviste accademiche più diffuse e che non c’è alcuna sovvenzione ufficiale per le loro ricerche.

Ad esempio, quando degli articoli specialistici che contravvengono ai sacri valori della tribù vengono presentati alle riviste accademiche, i recensori e gli editori diventano all’improvviso estremamente “rigorosi”, esigendo maggiori verifiche sperimentali e altre modifiche metodologiche. Tale “scetticismo scientifico” che riguarda la ricerca sgradita per ragioni più recondite ha costituito il tema del libro La cultura della critica nell’esame delle opere di Franz Boas, Richard F. Lewontin, Stephen Jay Gould e della Scuola di Francoforte, per nominarne soltanto alcuni3.

Un risultato di questo regno del terrore accademico è stato che le persone di idee conservatrici spesso scelgono di occuparsi di altri settori che non sono così compromessi, come ad esempio le scienze fisicomatematiche e l’informatica; esiste inoltre una discriminazione attiva nei confronti di chi cerca lavoro o dei candidati al titolo di Ph. D. [dottorato di ricerca, n. d. t.] quando costoro abbiano un orientamento conservatore4. Il sistema dunque si autoriproduce.

 

I processi dell’identità sociale come adattamento alle comunità morali.

 

In alcuni lavori precedenti ho sostenuto la tesi di una base evolutiva dei processi dell’identità sociale5. Le persone sono inclini a creare gruppi valutati positivamente, rispetto ai quali il mondo esterno è valutato negativamente; è questa una caratteristica umana universale. Il gruppo esterno valutato negativamente non dev’essere necessariamente definito mediante legami di parentela: categorie culturali come “quelli a cui piace l’arte moderna” e “quelli che detestano l’arte moderna”, oppure le uniformi di diverso colore (ad esempio negli eventi sportivi) sono in grado di produrre atteggiamenti positivi verso i membri del gruppo di appartenenza e negativi verso gli estranei. Dato che i processi dell’identità sociale non sono necessariamente determinati dalla parentela, le popolazioni occidentali sono particolarmente inclini a processi del genere.

Willam Graham Sumner era un antropologo darwinista il cui lavoro è stato menzionato nel capitolo 6 come tipico dell’élite intellettuale che tra il tardo XIX e il primo XX secolo alimentò il movimento di difesa etnica che portò alla legge del 1924 sulle restrizioni all’immigrazione. Egli espresse il nucleo essenziale dei processi dell’identità sociale, così come si manifestano nelle società tribali, nel modo seguente:

 

Lealtà verso il gruppo, sacrificio per esso, odio e disprezzo per gli estranei, fratellanza interna, bellicosità verso l’esterno: tutte queste cose crescono insieme, come prodotti comuni della medesima situazione. Essa viene santificata dal legame con la religione. I membri degli altri gruppi sono estranei, con i cui antenati gli antenati del gruppo fecero guerra […] Ciascun gruppo alimenta il proprio orgoglio e la propria vanità, vanta la propria superiorità, esalta le proprie divinità e guarda con disprezzo gli estranei. Ciascun gruppo pensa che le proprie tradizioni siano le uniche giuste, e se ne osserva altre in altri gruppi, queste suscitano il suo sdegno6.

 

L’unica differenza rispetto alla ricerca contemporanea sta nel fatto che i riferimenti agli antenati del gruppo di appartenenza non sono necessariamente applicabili. La citazione da Sumner, pertanto, non andrebbe applicata all’Occidente, dove gli importanti gruppi storici che sono stati qui esaminati non si basano sulla discendenza, ma sull’appartenenza ad una comunità morale.

Le ricerche sull’identità sociale condotte nelle società occidentali mostrano come l’ascendenza del gruppo di appartenenza e dei gruppi estranei non rivestano importanza affinchè le persone nutrano atteggiamenti positivi verso il proprio gruppo e negativi verso i gruppi estranei7. All’interno del gruppo esistono elevati livelli di coesione, una considerazione emotiva positiva e un senso di cameratismo, mentre le relazioni con l’esterno possono essere ostili e sospettose. La tendenza degli esseri umani a collocarsi all’interno di categorie sociali ha spesso forti conseguenze emotive, come il senso di colpa per aver violato le norme del gruppo, l’empatia verso i suoi membri, l’odio e la discriminazione nei confronti degli estranei ed un’accresciuta autostima dovuta al fatto che gli appartenenti ad un gruppo si considerano superiori. Per le comunità morali ciò implica che i membri del gruppo si considerino superiori sul piano morale e agenti in base a motivazioni puramente etiche, e che al contempo considerino gli estranei come soggetti malvagi, moralmente depravati, privi di ogni umana decenza, ecc.

A dimostrare la scarsa importanza della parentela nella creazione dei conflitti tra gruppi, i favoritismi interni al gruppo e le discriminazioni verso gli estranei si verificano anche nei cosiddetti “esperimenti di gruppo minimali”, vale a dire esperimenti nei quali vengono creati dei gruppi utilizzando etichette casuali per definire i membri e gli estranei. I favoritismi interni e le discriminazioni verso gli estranei si verificano pertanto anche quando non ci sono conflitti di interesse tra gruppi o addirittura in assenza di qualunque interazione sociale. Anche quando i soggetti dell’esperimento sono consapevoli del fatto che i gruppi sono composti a caso, essi cercano di massimizzare le differenze tra il loro gruppo e quello estraneo e ciò anche se una strategia del genere comporta che la ricompensa per il proprio gruppo non sia la maggiore possibile. Lo scopo più importante sembra essere quello di superare l’altro gruppo. Questi studi attestano il potere del “senso del gruppo” sulla mente umana, la tendenza dei gruppi, sia pure costituiti nella maniera più casuale, a suscitare discriminazione verso i gruppi estranei.

Il mio esame della letteratura porta alla conclusione che i processi dell’identità sociale sono un adattamento psicologico (ossia sono un risultato evolutivo della selezione naturale) concepito per situazioni di competizione tra due gruppi8. Ad esempio, i processi dell’identità sociale sono stati osservati in un’ampia varietà di società, siano esse basate sulla parentela oppure no. E possono essere osservati molto presto nella vita individuale, anche prima che vi sia una conoscenza specifica dei gruppi esterni. Inoltre, il processo cognitivo relativo alla distinzione tra gruppo di appartenenza e mondo esterno è automatico, non è cioè il risultato di una riflessione cosciente, ma è più simile ad un riflesso psicologico innato, analogo allo sbattere delle palpebre in risposta ad un improvviso e intenso lampo di luce.

Un’altra indicazione dell’origine evolutiva dei processi dell’identità sociale è che queste tendenze ad una valutazione positiva del gruppo d’appartenenza e alla svalutazione dei gruppi estranei viene esacerbata dai conflitti di interesse concreti tra i gruppi9. In altri termini, se nei gruppi minimali si verificano versioni relativamente moderate di questi fenomeni, essi sono molto più accentuati laddove vi siano reali conflitti di interesse. Questo è importante perché gli adattamenti psicologici mostrano tipicamente una risposta graduale al contesto ambientale. Per esempio, molte persone tendono ad avere una paura naturale, riflessa di cose che hanno rappresentato un pericolo nel corso della nostra storia evolutiva, come i serpenti, i ragni e l’altezza, mentre ciò tende a non verificarsi di fronte a moderne invenzioni letali come le armi da fuoco o le radiazioni nucleari. Comunque, la paura riflessa è probabilmente meno intensa se il suo oggetto è rinchiuso in una gabbia di uno zoo o se ci si trovi ad una distanza di sicurezza dalla minaccia. Le risposte sono pertanto graduali, proporzionate all’intensità dell’evento che le provoca.

Nel capitolo 6 è stato ricordato come certi comportamenti millenari, per quanto assai caratteristici della politica americana, tendano a rimanere quiescenti per poi risvegliarsi in periodi di presunto pericolo o di crisi come «l’epoca dell’espansione, la Guerra Civile, la Prima Guerra Mondiale»10.

 

Come un gene recessivo, nella situazione opportuna [crociate morali messianiche basate sulla costruzione di un gruppo definito in termini morali] essi possono diventare dominanti. Negli anni precedenti l’entrata degli Stati Uniti nelle due guerre mondiali, vi fu inizialmente un periodo di appassionato rifiuto del coinvolgimento. Questa reazione era senza dubbio perfettamente naturale, ma nelle esternazioni dei capi politici era presente un particolare tono morale; le guerre, così sembrava, erano destinate a catturare la virtuosa nazione nella vecchia rete. Alla fine, comunque, le trombe di Sion cominciarono a farsi sentire, generando un entusiasmo di stampo millenarista. Le grandi guerre della nostra storia sono state viste tutte, e in misura notevole, come un Armageddon che si stava inesorabilmente avvicinando. Una volta vinta la guerra e sconfitto il male, sarenne iniziata un’era di pace e di prosperità permanenti11.

 

Nell’epoca attuale si possono considerare le guerre in Iraq e in Libia, propagandate come crociate morali destinate a rimuovere malvagi dittatori come Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi e ad instaurare un regime democratico che avrebbe garantito un brillante futuro per quei paesi (in entrambi i casi però la guerra non ha sedato i preesistenti conflitti etnici e religiosi). Nel brano citato da Tuveson si osservi come la retorica politica di entrambi i periodi di isolazionismo precedenti le guerre, e degli stessi periodi bellici, si presentasse in termini morali e si basasse sulla definizione un gruppo interno e di uno esterno, come ad esempio nel periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale, quando gli isolazionisti dominavano il dibattito pubblico (ma non la politica dell’amministrazione Roosevelt) prima dell’attacco di Pearl Harbor.   Inoltre, la nostra retorica politica contemporanea è satura di affermazioni di superiorità morale, e in misura crescente assistiamo al collegamento tra questa retorica e le molestie fisiche, e perfino alla violenza. Poiché la sinistra ha conquistato una posizione di dominio morale nei media e nel sistema educativo (dalle scuole elementari all’università) le comunità morali della sinistra risultano particolarmente potenti. Non è affatto infrequente udire accuse di depravazione morale lanciate nei confronti dei conservatori e in particolare dei membri della destra razziale.

Malgrado l’attuale situazione, in cui le molestie fisiche a la violenza si mantengono a un livello relativamente basso, se la storia deve farci da guida ci troviamo ancora essenzialmente nella fase non violenta del conflitto. La riprovazione degli atti di molestia e di violenza è ancora diffusa tra le figure del sistema politico, sia di sinistra che di destra; comunque, questa fase sarà probabilmente seguita da dichiarazioni in base alle quali ogni mezzo disponibile dovrà essere utilizzato per distruggere il nemico moralmente corrotto, violenza compresa, con l’obiettivo dichiarato di stabilire un regno duraturo di pace, amore ed armonia etnica. In effetti, si sono già avuti numerosi esempi di violenza da parte di gruppi sedicenti antifascisti12. Questo futuro utopico verrà propagandato sfidando tutto quanto sappiamo sulla natura umana e sui costi del multiculturalismo, in particolare per quanto riguarda i suoi effetti sui crescenti conflitti tra gruppi13.

 

Il ruolo dell’empatia nelle comunità morali: altruismo e altruismo patologico.

 

In una sezione successiva di questo capitolo sulle differenze razziali per quanto attiene alla personalità, descriverò il sistema della personalità basato sull’amore e sulla cura13a e osserverò come questo sia più forte nella cultura europea che in qualsiasi altra cultura (si veda anche il capitolo 3). In breve, il sistema amore / cura è un sistema evolutivo collegato a specifiche regioni del cervello che sono programmate per generare sensazioni positive in risposta all’essere amati e prendersi cura degli altri; l’empatia (che ha come conseguenza una condizione di sofferenza personale alla vista delle sofferenze altrui, e in particolare di quelle dei propri cari) è un’emozione centrale del sistema amore / cura. Gli estremi dello spettro delle differenze individuali risperro a tale sistema si collegano, all’estremo inferiore, alla sociopatia (spietata insensibilità per i sentimenti degli altri, assenza di rimorsi o sensi di colpa, crudeltà) e, all’estremo opposto, al disturbo dipendente di personalità (eccessivo bisogno di approvazione sociale e di amore) e all’altruismo patologico (eccessiva inclinazione al senso di colpa e all’empatia spinta fino all’autosacrificio e ad un comportamento autolesionista)14. A motivo del loro ruolo nel consolidamento delle relazioni familiari e nell’allevamento dei bambini, le donne sono più intensamente coinvolte nel sistema amore / cura e pertanto più inclini all’empatia degli uomini.

Mentre gli individui sociopatici non si preoccupano di ricevere affetto o di piacere agli altri, coloro che sono almeno moderatamente interessati dal sistema amore / cura attribuiscono valore all’essere graditi agli altri. Questa tendenza a desiderare di piacere può interferire col giudizio razionale. La modalità ordinaria del ragionamento umano è integrata socialmente nelle interazioni sociali15 e le predilezioni sociali, come il desiderio di piacere agli altri, possono ostacolare le valutazioni razionali relative ai costi e ai benefici delle azioni. Così, le persone possono formulare giudizi razionali basati su dati e sull’esperienza pregressa in base ai quali il permettere l’ingresso nella loro città a un maggior numero di rifugiati porterebbe a una riduzione dell’omogeneità sociale e ad uno stress per i servizi sociali e per il sistema scolastico. Ma in pubblico  le stesse persone possono continuare ad approvare un programma per l’accoglienza dei rifugiati perché ciò aumenta le probabilità di ottenere approvazione sociale da parte di amici e vicini nell’ambito delle loro relazioni sociali quotidiane. In effetti, molti esagerano decisamente nel rendere pubblico il loro atteggiamento, fenomeno che viene definito “segnalazione morale”15a.

Per gli individualisti (cioè per le persone che sono meno inclini ad atteggiamenti negativi verso i membri di altri gruppi e verso gli stranieri) avere elevati livelli di empatia può facilmente portare a forme patologiche di altruismo nelle quali elevati costi possono non essere compensati da corrispondenti benefici. L’altruismo patologico viene generalmente definito come il comportamento di chi si concentra sui bisogni altrui a detrimento dei propri16. Un tale altruismo, motivato da quella che si potrebbe chiamare un’“iperempatia”, è più comune tra le femmine, coerentemente col fatto che queste sono in generale più coinvolte dal sistema amore / cura17. Tale comportamento può portare a conseguenze patologiche sia per l’altruista che per il suo beneficiario, come nel caso della codipendenza, in cui l’altruismo di una persona facilita i comportamenti maladattivi di un’altra (ad esempio come quando, in una dipendenza da droghe, una persona sia eccessivamente premurosa e tollerante nei confronti del comportamento autodistruttivo dell’altra).

Un livello ordinario di desiderio di approvazione sociale, come pure il caso dell’altruismo patologico, comportano spesso una consapevolezza della propria rettitudine che può tradursi in un senso di superiorità morale in virtù del quale un individuo segnala la propria buona reputazione all’interno di una comunità definita (come i tipici gruppi europei) non dai legami di parentela, ma dalla conformità o meno alle norme morali comunitarie. Come osservato in precedenza, tali espressioni di presunzione moralistica hanno una lunga storia nelle società occidentali e sono molto evidenti nella retorica politica contemporanea.

Un esempio di come la segnalazione di superiorità morale funzioni ai livelli più alti di governo (mostrando così il divario tra le élite e il resto della società su questioni critiche quali l’immigrazione) si può osservare nel commento di David Goodhart, un giornalista progressista residente in Gran Bretagna, circa l’immigrazione in quel paese:

 

C’e stato un enorme divario tra le idee della nostra élite di governo e quelle delle persone ordinarie che circolano per le strade. Ciò mi è apparso chiaro quando, durante una cena al college di Oxford, un eminente personaggio che sedeva accanto a me, un funzionario statale molto anziano, mi disse: «Quando ero al Ministero del Tesoro sostenevo la massima apertura possibile all’immigrazione [perché] consideravo che il mio compito fosse quello di massimizzare il benessere globale, non quello nazionale». Fui ancor più sorpreso quando quel concetto ricevette l’appoggio di un altro ospite, uno dei più potenti dirigenti televisivi del paese. Anche lui riteneva che la cosa di gran lunga più importante fosse il benessere globale, e di avere più doveri nei confronti di un abitante del Burundi che verso di uno di Birmingham […] [La classe politica] non è riuscita a controllare l’immigrazione […] nell’interesse dei cittadini già presenti18.

 

Un evoluzionista non può che restare stupefatto di fronte all’altruismo del tutto squilibrato (patologico) che si manifesta in esempi come questo, dato che le persone che perseguono politiche del genere sono presumibilmente anch’esse bianche e autoctone della Gran Bretagna. I paesi le cui politiche ignorino il bene della loro stesa popolazione sono destinati al disastro. Un simile altruismo non è che la ricetta dell’estinzione sul piano evolutivo.

Come osservato nel capitolo 7, questa smodata preoccupazione per persone di razza diversa che vivono in terre remote, coltivata a spese della propria gente, fu caratteristica di molti intellettuali del XIX secolo, e in particolare di quelli collegati ad Exeter Hall, che mostravano ciò che Charles Dickens definiva «simpatia da palcoscenico per il negro e […] indifferenza da palcoscenico per i nostri stessi compatrioti»19. Nel suo romanzo Casa Desolata [Bleak House], pubblicato a puntate tra il 1852 e il 1853, Dickens ritrasse tali sentimenti nella figura della signora Jellyby, i cui «begli occhi davano la curiosa impressione di essere rivolti verso qualcosa di molto lontano. Come se […] non potessero scorgere nulla di più vicino dell’Africa»20. La signora Jellyby trascurava coloro che le stavano vicino, compresa sua figlia, per concentrarsi interamente  sui possedimenti africani (fittizi) di Borrioboola-Gha e sui propri progetti idealistici per favorirne lo sviluppo.  E’ ben noto come la massiccia immigrazione non-bianca abbia avuto effetti negativi soprattutto sulla tradizionale classe lavoratrice bianca delle società occidentali, mentre i bianchi più ricchi sono riusciti a sottrarsi ai problemi portati dall’immigrazione trasferendosi in altre zone (il fenomeno della fuga dei bianchi). Questi ultimi, inoltre, tendono ad avere occupazioni (ad esempio nel campo del giornalismo) che non hanno subito l’impatto dell’immigrazione, sebbene i permessi di soggiorno per lavoratori dei settori tecnici diventino sempre più frequenti. In ogni caso, le élite progressiste contemporanee di tutto l’Occidente sono indifferenti agli effetti negativi dell’immigrazione, in termini di abbassamento dei salari21, sulla classe lavoratrice bianca, alla diminuzione della coesione e dell’impegno sociali22 e al deterioramento della scuola pubblica, oppure guardano a  queste cose con sufficienza. Come nel caso della signora Jellyby che trascurava i propri figli, questo atteggiamento caratterizza anche i progressisti contemporanei, che tipicamente non sono in grado di pensare seriamente agli effetti dell’immigrazione di massa non-bianca sulle prospettive a lungo termine dei loro stessi figli, ridotti ad una minoranza in una società a maggioranza non-bianca.

Tali espressioni di superiorità morale sono tentativi di adeguarsi ad una comunità morale definita dai media e accettata dai propri pari. Poiché la sinistra esercita l’egemonia in campo morale, esprimere empatia nei confronti dei bianchi autoctoni, specialmente quelli appartenenti alla classe lavoratrice, fa di chi manifesta simili idee una paria morale, uno che sostiene interessi egoistici, con probabili effetti negativi sulle sue prospettive di carriera. In effetti, l’espressione dell’identità bianca e soprattutto il possedere un senso degli interressi bianchi sono cose che hanno subito la condanna dei media e delle personalità accademiche come esempi dalla più bassa forma di depravazione morale.

Certamente, le motivazioni che stanno dietro a questi casi possono coinvolgere qualcosa di più dell’empatia per le sofferenze degli altri. Se anche queste élite bianche possono provare una sincera empatia per coloro che soffrono in paesi stranieri fino al punto di voler sommergere l’Occidente di tali persone, esse comunque rafforzano di fatto il loro status all’interno del loro gruppo definito in termini morali. E’ addirittura probabile che stiano tentando di essere “più morali degli altri” (segnalazione morale competitiva) mettendosi in vista rispetto ad altri membri del gruppo. E sia che ciò avvenga coscientemente o in maniera inconscia, è probabile che siano consapevoli dei pesanti costi cui andrebbero incontro qualora non fossero capaci di conformarsi alle norme della loro comunità morale, così come dei benefici che ricaverebbero conformandosi.

Come ci si può aspettare, viste le differenze tra i sessi per quanto attiene all’empatia, le donne sono più inclini degli uomini all’altruismo; il prototipo è rappresentato dalla moglie che sopporta lunghe sofferenze continuando a prendersi cura di un marito violento e alcolizzato. I soggetti patologicamente altruisti rispondono in maniera molto forte alle immagini dei rifugiati, degli immigrati e di altri non-bianchi sofferenti. E come si è osservato a proposito dell’empatia, esistono specifiche regioni del cervello che vengono attivate quando un soggetto prova compassione verso gli altri. In effetti la sindrome di Williams, un disturbo di origine genetica, è caratterizzata dall’eccesso di fiducia e di compassione.

La convinzione della propria superiorità morale caratteristica delle persone patologicamente altruiste non è necessariamente razionale:

 

Ciò che si percepisce come una consapevole scelta morale che dà un senso la vita (la mia vita avrà un significato se aiuto gli altri) sarà notevolmente influenzato dalla forza di una sensazione mentale inconscia e involontaria che mi dice che questa decisione è “corretta”. Sarà questa stessa sensazione che comunicherà la “correttezza” del dare cibo ai bambini della Somalia che muoiono di fame o del fare ogni test medico possibile e immaginabile su un paziente chiaramente terminale […] Aiuta il fatto di considerare questa sensazione di sapere come qualcosa di analogo ad altre sensazioni corporee sulle quali non abbiamo un controllo diretto23.

 

In altre parole, le sensazioni di correttezza e di nobiltà agiscono come riflessi psicologici e sono così piacevoli che le persone tendono a cercarle di per sè e senza alcun riguardo per i fatti o per le conseguenze a lungo termine per loro stessi.

 

Parlate con un insistente “so tutto io” che rifiuta di prendere in considerazione le opinioni contrarie e toccherete con mano come la sensazione di sapere possa creare uno stato mentale analogo alla dipendenza da droghe […] Immaginate il profondo effetto derivante dal sentirvi certi di possedere le risposte definitive […] Rinunciare a queste credenze personali fortemente sentite richiederebbe di annullare o ridurre i principali collegamenti con il circuito potentemente seducente del piacere-ricompensa. Provate a immaginare un mutamento di opinione capace di produrre il medesimo tipo di cambiamenti psicologici che avvengono quando si smette di far uso di droghe, alcol o sigarette24.

 

I sentimenti di superiorità morale possono dunque essere piacevoli e condurre alla dipendenza. «L’ostentazione di superiorità morale o un senso di legittima indignazione possono produrre sensazioni così intense e deliziose che molte persone cercano di provarle ripetutamente»25.

 

Il piacere di sapere, con soggettiva certezza, che avete ragione e che i vostri oppositori sono profondamente, spregevolmente nel torto. O che il vostro metodo per aiutare gli altri ha motivazioni così limpide e corrette che ogni critica può essere rigettata con un’alzata di spalle, insieme ad ogni evidenza contraria26.

 

Questa forma di ostentazione di superiorità morale è, naturalmente, particolarmente comune tra le persone che vengono definite “militanti della giustizia sociale”. Sono coloro che gridano “razzista”, “misogino”, “suprematista bianco”, ecc. in occasione di ogni apparente violazione delle norme delle comunità morali di sinistra. E a causa dell’egemonia culturale della sinistra, questi individui possono spesso comparire sui social media (come pure negli articoli e servizi dei mezzi di informazione più diffusi) esprimendo la loro superiorità morale, che coincide con quanto definito dalla sinistra culturale oppure ne estende i confini.

Un altro aspetto di tutto ciò è l’altruismo competitivo o segnalazione morale competitiva. Dato che le espressioni di superiorità morale vengono tipicamente manifestate in un contesto sociale e mirano a consolidare o ad accrescere la reputazione della persona all’interno del gruppo, può aver luogo una competizione in cui tali espressioni assumono forme sempre più estreme, anche tra persone che non sono biologicamente inclini ad un intenso coinvolgimento nel sistema amore / cura. Le espressioni estreme di superiorità morale non producono soltanto dipendenza, ma possono anche elevare lo status di una persona all’interno di un gruppo sociale, come nel caso comune tra le persone religiose che esprimono sentimenti del tipo “sono più santo di te”. Le persone fortemente religiose competono per essere le più virtuose nella loro chiesa locale. Nell’ambito della sinistra, vediamo dei vegani fanatici evitare altri vegani che semplicemente rivolgono la parola a gente che mangia carne o che frequenta ristoranti dove si serve la carne, anche quando si tratti di membri della famiglia. Immagino esista una dinamica all’interno dei gruppi “antifascisti” (le truppe d’assalto delle dottrine ufficiali in materia di razza e immigrazione) in base alla quale coloro che non accettano la violenza o non sono disposti a rompere teste in prima persona vengono ostracizzati, o almeno possiedono uno status alquanto inferiore.

Il risultato è un processo “ad intensità crescente”, nel quale i poli del discorso politico si allontanano sempre più l’uno dall’altro. Ad esempio, gli attacchi ben pubblicizzati alle statue di personaggi storici confederati si sono velocemente trasformati in attacchi contro Thomas Jefferson, George Washington e Cristoforo Colombo. La simpatia diffusa tra i progressisti verso l’idea di concedere l’amnistia agli immigrati illegali si è trasformata in richieste, da parte di esponenti democratici di spicco, di abolire l’ICE (Immigration and Customs Enforcement Agency, Agenzia per il controllo dell’immigrazione e delle dogane, n. d. t.), di rendere legale l’attraversamento dei confini e di dare agli immigrati assistenza sanitaria, patente di guida, diritto di voto e, per finire, la cittadinanza. Invitare qualcuno che sia anche lontanamente associato a idee conservatrici (e meno che mai alla destra razziale) a tenere un discorso in un campus universitario è passato dall’essere una rarità tollerata ad essere il contesto di rabbiose proteste, tumulti, danni fisici alle persone dei conservatori e danneggiamento delle proprietà.

In effetti, suggerirei che questa segnalazione morale competitiva sia la causa principale della crescente polarizzazione cui assistiamo negli Stati Uniti e in tutto l’Occidente nell’era dei social media. Un sondaggio del Pew Research Center sui mutamenti della cultura politica statunitense tra il 1994 e il 2017 ha rilevato come il crescente divario tra democratici e repubblicani, specialmente in tema di immigrazione e di razze, sia  dovuto in larga misura alle idee dei democratici medi che si sono spostate a sinistra27.

Un fenomeno teoricamente simile esiste anche a destra, nel caso ad esempio in cui certi individui ne condannino altri a motivo della loro scarsa militanza o perché non sono sufficientemente puri sul piano ideologico. Tuttavia, poiché è la sinistra a dominare il panorama culturale, il fenomeno della segnalazione morale competitiva mostra su di essa i suoi effetti maggiori. Questo fenomeno è fortemente caratteristico, a destra come a sinistra, delle dinamiche sociali dei social media e dell’ambiente giornalistico.

Le persone che hanno idee di destra devono affrontare il pericolo del doxxing, ossia di veder resa pubblica la loro identità insieme ad informazioni sulla loro vita privata. Gli ospiti dei programmi televisivi trasmessi dai canali più diffusi possono correre il rischio di perdere i loro sponsor e con essi il loro reddito, come ad esempio è avvenuto nel marzo 2019, quando l’ospite di Fox News Tucker Carlson ha perduto circa 30 sponsor, principalmente a causa delle sue opinioni riguardo all’immigrazione28. Oppure può accadere che le persone temano di perdere il proprio impiego per effetto di una telefonata fatta al loro datore di lavoro da parte di qualche sedicente organizzazione per i “diritti civili”, come il Southern Poverty Law Center o l’AntiDefamation League. Ciò può avvenire perché, negli ultimi decenni, la sinistra è diventata più estremista, mentre troppi elementi di destra cercano di ammorbidire i loro critici di sinistra inchinandosi alla loro superiorità morale.

Il predominio culturale della sinistra ha fatto sì che certe idee siano proibite per tutti, tranne che per i più coraggiosi. Perciò siti di informazione come Breitbart e The Daily Caller, per quanto si collochino decisamente a destra tra i media maggioritari, evitano di sostenere esplicitamente l’identità e gli interessi dei bianchi. Vincoli di questo genere sono assai meno evidenti a sinistra, con il risultato che le sue idee si fanno ogni giorno più estremiste. Nel momento in cui scrivo, certe idee sull’immigrazione menzionate in precedenza, come pure sull’aborto (rendere l’aborto legale fino al momento della nascita o addirittura poco dopo), idee che un tempo praticamente non esistevano tra i democratici, vengono espresse in misura crescente da noti esponenti politici e opinionisti di tale partito.

Una conseguenza critica di tutto ciò è la polarizzazione razziale. Gli americani bianchi sono andati orientandosi verso il Partito Repubblicano (l’ultimo presidente democratico che ha ottenuto la maggioranza dei voti bianchi è stato Lyndon Johnson, nel 1964) cosa che rappresenta, in termini generali, un’espressione di consapevolezza bianca implicita (come si vedrà più avanti), mentre i gruppi non-bianchi vanno radunandosi attorno al Partito Democratico. Il fatto è che tali tendenze andranno probabilmente aumentando, e la polarizzazione si farà più intensa.

 

Il controllo dell’etnocentrismo: processo implicito e processo esplicito.

 

Come osservato nel capitolo 5, la ricerca psicologica indica due tipi differenti di processo psicologico, quello implicito e quello esplicito. Queste due modalità evidenziano differenze sotto diversi aspetti29. Il processo implicito è automatico, non richiede sforzo, è relativamente veloce e implica l’elaborazione parallela (che si svolge cioè in parti diverse del cervello) di grandi quantità di informazioni; esso caratterizza i moduli descritti dagli psicologi evoluzionisti. Il processo esplicito è l’opposto di quello implicito: è cosciente, controllabile, richiede sforzo, è relativamente lento e implica l’elaborazione seriale di quantità relativamente piccole di informazioni in maniera sequenziale (come quando ad esempio si svolgono i passaggi necessari alla risoluzione di un problema matematico). Il processo esplicito è coinvolto nelle operazioni dei meccanismi dell’intelligenza generale30, come pure nel controllo degli stati emotivi e delle tendenze comportamentali (come la rabbia e la frustrazione che tendono a portare all’aggressione)31.

Come osservato nel capitolo 5, le credenze religiose sono in grado di motivare il comportamento in virtù della capacità delle rappresentazioni esplicite dei pensieri religiosi (p. es. il tradizionale insegnamento cattolico della punizione eterna all’inferno come risultato del peccato mortale) di controllare i meccanismi modulari subcorticali (come ad esempio il desiderio sessuale). In altri termini, gli stati affettivi e le tendenze all’azione mediati dal processo implicito sono controllabili dai centri cerebrali superiori collocati nella corteccia32. La stessa cosa avviene per l’etnocentrismo.

Essere in grado di controllare impulsi di qualunque tipo si inserisce nel sistema della personalità detto della coscienziosità, spesso indicato anche come “controllo attivo” [effortful control], perché comporta uno sforzo esplicito e cosciente per controllare gli impulsi (si veda più avanti). In parole semplici, le persone coscienziose sono relativamente più capaci di regolare le parti del nostro cervello più antiche in termini evolutivi, che sono responsabili di molte delle nostre passioni e dei nostri desideri.

Qual è l’importanza di tutto ciò nel rapporto tra psicologia ed etnocentrismo dei bianchi? Così come le persone coscienziose sono in grado di inibire le loro tendenze naturali all’aggressione e all’eccitazione sessuale, esse sono anche in grado di inibire il loro naturale etnocentrismo. L’aspetto critico di quando diremo nel seguito è che l’informazione culturale è di vitale importanza per mettere le persone in grado di inibire le loro tendenze etnocentriche. Queste informazioni culturali si basano sul processo esplicito e forniscono le basi del controllo inibitorio prefrontale dell’etnocentrismo.

La conclusione è che il controllo dell’etnocentrismo è una diretta conseguenza del controllo esercitato sull’informazione culturale. Il mio libro La cultura della critica è un tentativo di comprendere cosa è accaduto dopo il periodo culminante della difesa etnica (ca. 1870 – 1930) di cui si è parlato nel capitolo 633. L’ascesa di una nuova élite ha avuto come conseguenza che messaggi espliciti riguardo alla razza (p. es.

“non esiste una cosa come la razza”) e all’etnocentrismo (p. es. “l’etnocentrismo bianco è un segno certo di patologia psichica e di relazioni genitori-figli disturbate”) sono stati diffusi attraverso i media e il sistema educativo. Specialmente a partire dalla Seconda Guerra mondiale, questi messaggi sono stati regolarmente ostili all’etnocentrismo bianco. E questo a sua volta significa che i bianchi sono stati spinti ad inibire il loro naturale etnocentrismo.

Inoltre, come si evidenzia in questo libro, i bianchi tendono ad essere più individualisti delle altre popolazioni, e ciò comporta che essi siano meno inclini, rispetto a quelle, a formulare distinzioni ostili tra il proprio gruppo e i gruppi esterni e siano più portati all’apertura verso gli stranieri e verso le persone che non  hanno il loro stesso aspetto. Poiché i bianchi presentano una minore tendenza all’etnocentrismo e una maggior tendenza alla coscienziosità, il controllo dell’etnocentrismo risulta per loro, mediamente, più facile. I loro meccanismi subcorticali responsabili dell’etnocentrismo sono più deboli e pertanto più facili da controllare.

Esiste una notevole quantità di ricerche sul ruolo dei processi impliciti ed espliciti nell’etnocentrismo e nel suo controllo. Gli atteggiamenti impliciti riguardo alla razza possono essere misurati, ad esempio effettuando scansioni del cervello mentre i soggetti stanno osservando volti di persone di razze differenti34. D’altro canto, gli atteggiamenti espliciti sulla razza sono normalmente valutati mediante la compilazione di questionari che sfruttano il processo esplicito. Nei test sugli atteggiamenti espliciti, la popolazione degli studenti universitari bianchi occidentali mostra tipicamente un atteggiamento favorevole ai negri. Ad esempio, uno studio ha rilevato che i bianchi hanno totalizzato un punteggio di 1.89 su una scala di sei punti, dove 1 significa un atteggiamento fortemente favorevole ai negri e 6 un atteggiamento fortemente ostile35.

Un altro modo di misurare gli atteggiamenti espliciti è il ricorso alle interviste. Un recente campione rappresentativo di 2000 famiglie ha mostrato che un sorprendente 74% di bianchi pensava che l’identità razziale fosse o molto importante (37%) o abbastanza importante (37%)36. In generale le persone acquisiscono maggior consapevolezza razziale con l’aumentare dell’età; solo il 53% riteneva che l’identità razziale fosse importante nella fase della crescita (ho osservato come questa sia anche una caratteristica dell’identità ebraica37). Ancor più sorprendente è che il 77% dei bianchi pensasse che i bianchi abbiano una cultura che va preservata. Tuttavia, malgrado affermassero la legittimità dell’identità bianca, solo il 4% dei bianchi ha dichiarato di far parte di organizzazioni basate sull’identità razziale o etnica (queste includono presumibilmente organizzazione come quelle, ad esempio, a sostegno dell’identità scozzese o polacca, irrilevanti nel contesto politico americano). E il 75% dei bianchi afferma che il pregiudizio e la discriminazione sono fattori importanti, o molto importanti, della posizione di svantaggio degli afroamericani.

In generale, i negri e le altre minoranze mostrano identità etniche esplicite più marcate rispetto ai bianchi. Ad esempio, la stessa indagine ha rilevato che il 90% dei negri pensava che l’identità razziale fosse o molto importante (72%) o abbastanza importante (18%) e il 91% riteneva che la cultura negra dovesse essere preservata. I negri dimostrano inoltre una preferenza esplicita per il proprio gruppo considerevolmente maggiore rispetto ai bianchi38.

Il divario tra gli atteggiamenti espliciti e quelli impliciti è reso possibile dai meccanismi inibitori della corteccia prefrontale. In uno esperimento venivano mostrate fotografie di negri e di bianchi ad alcuni soggetti collegati ad un apparecchio per immagini a risonanza magnetica funzionale (FMRI) che produce immagini del cervello in azione39. Quando le fotografie venivano mostrate per periodi di tempo molto brevi (troppo brevi perché venissero elaborate a livello cosciente) l’apparecchio mostrava che i bianchi avevano una risposta negativa alle fotografie dei negri. Questa procedura rileva dunque atteggiamenti impliciti negativi nei confronti dei negri.

Tuttavia, quando le fotografie dei negri venivano presentate per un periodo di tempo più lungo, in modo da poter essere percepite coscientemente, la differenza tra la reazione alle fotografie dei bianchi e quella alle fotografie dei negri diminuiva. Questo accadeva perché veniva attivata la regione prefrontale. In altre parole, le persone che sono coscientemente consapevoli di vedere delle fotografie di negri sono in grado di inibire la risposta negativa automatica proveniente dalla subcorteccia. I soggetti che mostravano la maggiore attivazione prefrontale mostravano anche la minore risposta subcorticale. Ciò implica che erano maggiormente in grado di inibire i loro atteggiamenti negativi verso i negri.

Questo studio (e altri che hanno dato risultati simili) mostra l’importanza del controllo inibitorio prefrontale sugli atteggiamenti negativi automatici dei bianchi verso i negri. L’etnocentrismo bianco esiste, ma per la maggior parte dei bianchi esso esiste soltanto in una sorta di mondo sotterraneo di processi inconsci e automatici: è un etnocentrismo che non osa pronunciare il proprio nome. Non appena il processo esplicito e conscio entra in azione, esso agisce per sopprimere gli atteggiamenti negativi impliciti che provengono dal livello inferiore, così che la risposta del soggetto si allinei meglio con le norme culturali dell’ambiente sociale40.

I bambini tendono ad avere un pregiudizio favorevole palesemente esplicito nei confronti della loro razza. Il pregiudizio razziale esplicito emerge presto nei bambini dell’età di tre o quattro anni, raggiunge il suo picco a metà dell’infanzia e poi subisce un graduale declino nel corso dell’adolescenza, sparendo tipicamente nell’età adulta41. Tuttavia non vi è un simile declino nelle preferenze razziali implicite, che rimangono forti anche nell’età adulta42. Si assiste pure ad un declino nella scelta degli amici e dei compagni tra individui di razza diversa man mano che i bambini crescono. La probabilità che gli scolari bianchi abbiano amici bianchi è assai più elevata di quanto potrebbe essere spiegabile tramite il caso, e questa tendenza si rafforza con l’aumentare dell’età43.

Ciò significa che se anche le preferenze razziali esplicite dai bambini bianchi tendono a declinare, è meno probabile che essi interagiscano effettivamente e stringano amicizie con bambini di altre razze. Tra gli adulti, i bianchi sono quelli che mostrano una tendenza significativamente minore, rispetto agli altri gruppi razziali, a riferire di amicizie o di contatti interrazziali44.

In conclusione, man mano che crescono, i bambini diventano sempre più consapevoli dell’ideologia razziale esplicita ufficiale e si conformano ad essa. I loro centri prefrontali di controllo inibitorio diventano più forti, così che essi riescono meglio ad inibire i loro pensieri negativi, di origine implicita, riguardo agli altri gruppi razziali. A livello esplicito, essi sono liberi da atteggiamenti negativi verso i gruppi non-bianchi e possono addirittura essere politicamente progressisti o radicali. Allo stesso tempo però, “votano con la pancia”, scegliendo amici e compagni della loro stessa razza.

I loro genitori fanno la stessa cosa. I progressisti mostrano un divario maggiore, rispetto ai conservatori, tra gli atteggiamenti e i comportamenti espliciti e quelli impliciti. Inoltre, mentre i genitori bianchi con un livello di istruzione elevato tendono ad avere atteggiamenti espliciti progressisti sulle questioni razziali, compreso l’interesse per l’integrazione scolastica, queste stesse persone scelgono scuole razzialmente esclusive e sono più inclini a vivere in quartieri con caratteristiche analoghe. Un articolo del 2018 ha osservato come tra i genitori progressisti «[i valori] progressisti vengano messi da parte più fequentemente di quanto si possa pensare» quando si tratti di scegliere una scuola45. In effetti, esiste una correlazione positiva tra l’educazione media dei genitori bianchi e la probabilità che essi ritirino i loro figli da una scuola pubblica qualora in essa aumenti la percentuale degli studenti negri46. Michael Emerson, uno degli autori della ricerca, è alquanto consapevole del divario tra atteggiamenti espliciti e comportamento: «Ritengo che i bianchi siano sinceri quando affermano che le diseguaglianze razziali non siano una buona cosa e che vorrebbero vederle eliminate. Tuttavia […] i loro atteggiamenti progressisti riguardo alla razza non si rispecchiano nel loro comportamento».

Il rovescio della medaglia di tutto ciò è che i bianchi meno facoltosi sono più inclini ad avere quegli espliciti atteggiamenti non progressisti in materia razziale che le élite condannano. Tuttavia è anche più probabile che vivano in zone razzialmente integrate e che mandino i loro figli in scuole dello stesso tipo, probabilmente a causa delle loro limitate disponibilità finanziarie.

 

Comunità bianche implicite.

 

La scelta degli amici da parte dei bambini e quella delle scuole e delle zone di residenza da parte dei genitori riflettono la cruda realtà dell’ipocrisia razziale negli Stati Uniti. Quei bambini e i loro genitori agiscono in base ai loro atteggiamenti impliciti, ed esiste un profondo divario tra i loro atteggiamenti impliciti e il loro comportamento (che mostrano la preferenza per il proprio gruppo razziale) e i loro atteggiamenti espliciti (che esprimono l’ideologia ufficiale dell’egualitarismo razziale). In effetti, essi stanno creando delle comunità bianche implicite, implicite perché anche se queste comunità sono espressione di una (implicita) preferenza razziale, esse non possono presentarsi con il loro nome: i bianchi che si comportano in maniera implicitamente bianca non affermano esplicitamente che la scelta dei loro amici o delle loro scuole o quartieri deriva da una preferenza razziale, poiché ciò è in contrasto con i loro atteggiamenti espliciti sulla razza e con l’ideologia razziale ufficiale della cultura in generale.

I bianchi americani si stanno gradualmente raggruppando in associazioni politiche e culturali che li uniscono in quanto bianchi, e questa tendenza continuerà a rafforzarsi in futuro dato che la diversità etnica in America è una realtà in crescita anche in luoghi lontani dai centri dell’immigrazione della costa orientale, di quella occidentale e del confine meridionale. Ma al presente questa affiliazione politica e culturale non è ancora consapevolmente ed esplicitamente bianca, in parte almeno perché un’appartenenza bianca consapevole è un tabù culturale.

Di fronte alla soverchiante condanna dell’affermazione esplicita di un’identità razziale bianca nel mondo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, i bianchi hanno adottato una varietà di identità esplicite che servono come basi per associazioni e comunità bianche. Tutte queste identità sono sotto il controllo del radar della correttezza politica imposta dalle élite accademiche, politiche e dei media: gli iscritti al Partito Repubblicano, gli appassionati di corse automobilistiche della NASCAR46a, i cristiani evangelicali e i cultori della musica country. Ciascuna di queste identità permette ai bianchi di associarsi tra loro e addirittura di formare una base politica bianca senza alcun riconoscimento esplicito del ruolo rivestito dalla razza.

Le comunità bianche implicite sono diventate un aspetto sempre più importante del panorama americano man mano che la polarizzazione razziale è andata crescendo a causa dell’emergere delle politiche identitarie, dapprima tra i non-bianchi (incoraggiati dalla sinistra) ed ora, chiaramente, anche tra i bianchi, come reazione. La più importante di queste comunità bianche implicite è il risultato della segregazione residenziale dovuta alla fuga dei bianchi. Come osserva Kevin Kruse, «all’alba del XXI secolo l’America si è ritrovata dominata dai sobborghi, e i sobborghi dominati dalle politiche della fuga dei bianchi e della secessione urbana»47. «In passato, l’ostilità verso il governo federale, lo stato sociale e le tasse è stata motivata dal risentimento razziale, sia nelle forma segregazionista all’interno della città di Atlanta, sia in quella degli abitanti separatisti dei sobborghi all’esterno di essa. Negli anni 1990 la nuova generazione dei repubblicani suburbani ha semplicemente portato le politiche della fuga dei bianchi sulla scena nazionale»48.

Come osserva Kruse, la razza non fa mai parte della retorica esplicita della fuga dei bianchi, che tende ad esprimersi come opposizione al governo federale, allo stato sociale, alle tasse e a questioni morali ritenute importanti come l’aborto e l’omosessualità. Ma a livello implicito il desiderio di comunità bianche e l’avversione a contribuire al benessere pubblico avvantaggiando in modo sproporzionato i non-bianchi sono le motivazioni prevalenti.

La fuga dei bianchi è parte del futuro frammentato che attende gli Stati Uniti e altri paesi occidentali con un elevato livello di immigrazione non europea. E’ un fatto chiaramente appurato che quanto più una popolazione diviene etnicamente mista, tanto più forte si fa la sua resistenza alle politiche redistributive49. Ad esempio, uno studio sulle donazioni all’organizzazione di beneficenza United Way of America ha rilevato che i banchi americani donano di meno quando le comunità in cui vivono contengono una percentuale di non-bianchi superiore al 10%. Robert D. Putnam ha mostrato recentemente che una maggiore diversità razziale in una comunità è associata ad una perdita di fiducia50. Il risultato di Putnam è confermato da studi condotti al livello delle comunità locali51 e, data la recente impennata di diversità etnica, dai risultati di recenti sondaggi in base ai quali il 71% degli americani ritiene che la fiducia nei concittadini abbia subito un calo negli ultimi 20 anni52. Inoltre si osserva come gli individui siano più felici vivendo tra persone del loro stesso gruppo etnico che non trovandosi in condizioni di minoranza etnica53. I bianchi che vivono in aree relativamente omogenee come il New Hampshire o il Montana sono più coinvolti nelle amicizie, nella comunità e nella politica rispetto alle persone che vivono in aree più diversificate54.

A livello politico, l’identità bianca implicita si riflette anche nel famoso commento di Howard Dean, che ha definito il Partito Repubblicano come il partito dei bianchi cristiani55. I gruppi etnici non-bianchi tendono a votare per il Partito Democratico anche quando possiedono uno status socioeconomico relativamente elevato, mentre i bianchi della classe lavoratrice tendono a votare il Partito Repubblicano, un buon indicatore del fatto che questo modello si basa su scelte politiche identitarie piuttosto che economiche. La tendenza sul lungo periodo è che dal 1992 la percentuale del voto bianco assegnato al Partito Repubblicano è andata crescendo dell’1.5% ogni quattro anni. Inoltre,

 

appare un po’ presuntuoso pensare che i repubblicani arriveranno ad ottenere un 60% circa del voto bianco. Questo potrebbe accadere, ma […] è del tutto possibile che, nella misura in cui la nostra nazione diventa sempre più diversificata, le nostre coalizioni politiche si fratturino sempre più lungo linee etnico-razziali piuttosto che ideologiche56.

 

Un’altra comunità bianca implicita è quella delle corse automobilistiche della NASCAR, con forti sovrapposizioni con i cristiani evangelicali, la musica country e la cultura dei piccoli centri americani, in particolare quella del Sud. Una famosa vignetta di Mike Luckovich apparsa sull’Atlanta JournalConstitution mostra un negro e un bianco che parlano tra loro, con una bandiera confederata sullo sfondo. «Abbiamo bisogno di una bandiera che non sia razzista… ma che preservi la cultura bianca del Sud…». La vignetta successiva mostra una bandiera a scacchi della NASCAR. La distinzione tra implicito ed esplicito non potrebbe essere più ovvia. Il 94% degli appassionati della NASCAR è costituito da bianchi, analogamente al 92% di quelli di un altro sport implicitamente bianco, l’hockey professionale57.

Una gran parte dell’attrattiva che esercita la NASCAR proviene dal desiderio per la cultura tradizionale americana. Le manifestazioni della NASCAR sono permeate di patriottismo sentimentale, preghiere, esibizioni aeree militari e fuochi d’artificio dopo le gare. Come osserva il sociologo Jim Wright, «quasi ogni cosa […] che si incontra in una giornata trascorsa presso la pista trasuda americanità»58.

Comunque, «per la NASCAR la razza costituisce lo scheletro nell’armadio. Sulle piste e sulle gradinate le corse delle stock-car rimangono uno sport per bianchi». Il carattere bianco delle competizioni della NASCAR si può ricavare dal commento di un osservatore sulla folla presente alla Daytona 500 del 1999, in mezzo alla quale «c’erano probabilmente tante bandiere confederate quanti erano i negri» vale a dire una quarantina su una folla di circa 200.000 persone59. «Il discredito quasi universale che ha colpito la bandiera confederata come politicamente scorretta non ha ovviamente raggiunto tutti gli appassionati della Winston Cup59a. Oppure, a costoro non importa nulla. E, come si può immaginare, non si sono viste cautele o autoflagellazioni a tale riguardo tra gli spettatori della Southern 50059b, adorna di una profusione di bandiere confederate come non ne ho mai viste in qualsiasi altro circuito»60.

Wright sottolinea il legame tra la NASCAR e la cultura tradizionale dei piccoli centri e delle campagne americane, come pure quello con attività all’aperto quali la caccia, la pesca, il campeggio e l’utilizzo [sportivo] delle armi da fuoco61. C’è un’ampia sovrapposizione tra gli appassionati della NASCAR e i possessori di armi. C’è anche una forte atmosfera religiosa cristiana: le corse automobilistiche cominciano con una benedizione e l’intervento di un predicatore. Esiste una «visibile associazione cristiana» nella NASCAR, con intere squadre che si identificano pubblicamente come squadre cristiane; molti piloti prendono parte attiva al ministero cristiano62. Altro valore messo in evidenza è il coraggio di fronte al pericolo, un ulteriore richiamo alla cultura tradizionale americana che deriva in ultima analisi dalla cultura scoto-irlandese degli abitanti della zona di confine tra Scozia e Irlanda [scozzesi d’Irlanda, n. d. t.]: «Entrando nel terzo decennio dell’era post-comunista abbiamo cominciato ad attenderci dai nostri uomini, e perfino a pretendere, più sensibilità ed empatia che non spavalderia e fegato, e le tradizionali virtù virili del coraggio, dell’audacia e delle “palle” per molti suonano anacronistiche, nel migliore dei casi, o addirittura pericolose e idiote»63, 64.

Se la NASCAR è uno sport bianco, la NBA [National Basketball Association, n. d. t.] è ampiamente percepita come uno sport negro. I bianchi, specialmente quelli residenti al di fuori delle grandi città, rappresentano per la NBA una porzione di spettatori in diminuzione, e in generale sono quelli, tra tutti i gruppi razziali americani, che passano meno tempo a guardare le sue partite65. Inoltre la cultura della NBA è vista come afroamericana, e la risposta della NBA è stata un tentativo di darsi un aspetto più simile a quello dell’America bianca, in modo da recuperare la propria base di appassionati. L’opinionista sportivo Gary Peterson osserva che

 

per decenni è esistita una divisione razziale tra i giocatori della NBA (in maggioranza negri) e gli spettatori paganti (in larga misura bianchi). Questa divisione si è trasformata in una linea di rottura nel corso degli ultimi 15 anni […] Mai prima di allora i giocatori erano apparsi così differenti dai loro spettatori. Questa divisione rappresenta la preoccupazione principale della dirigenza dell’organizzazione, anche maggiore del declino dei tiri liberi e dei pantaloni baggy shorts. Per averne una prova, basta guardare il codice di abbigliamento diffuso in tutta l’organizzazione che il commissario David Stern ha imposto la scorsa stagione. E’ stato un passo straordinario; potrebbe addirittura aver detto ai giocatori: «Smettetela di vestirvi come i tipici giovani afroamericani delle città. Spaventate gli spettatori»66.

 

Oltre ad aver messo al bando le appariscenti catene d’oro e aver imposto un abbigliamento formale, la NBA ha anche stabilito punizioni draconiane per le risse tra giocatori. Questo perché la rissa richiama l’immagine della cultura afroamericana urbana. Le multe per chi dà un pugno ammontano a 50.000 dollari più una possibile sospensione (che implica la perdita dello stipendio)67. E’ perciò interessante il fatto che la Major League Baseball67a non contempli simili penalità per le risse, e che abbia pubblicato un messaggio su Twitter relativo ad una zuffa tra gli Yankees e i Red Sox, facendole di fatto pubblicità. La spiegazione ovvia è che la NBA sia ansiosa di allontanare da sè lo stereotipo del teppista negro urbano per via della sua immagine di sport negro (l’80% dei giocatori è negro) mentre la MLB non ne ha bisogno, non essendo considerata uno sport negro68.

Il fatto è che la NBA non è più violenta dell’hockey professionale, uno sport in larga misura bianco che è famoso per le sue risse. Piuttosto, la NBA è consapevole della formulazione di stereotipi razziali da parte dei bianchi. Una parte dell’attrazione che la NASCAR esercita sui bianchi proviene dal fatto che essa costituisce una comunità bianca implicita. Regolamentando abbigliamento e condotta, la NBA sembra stia cercando di rendersi più attraente per i bianchi, malgrado la composizione razziale dei suoi giocatori.

 

Gestire l’etnocentrismo bianco: il problema dell’identità bianca non esplicita.

 

I bianchi stanno chiaramente raggruppandosi in comunità bianche implicite che riflettono il loro etnocentrismo ma «non osano pronunciare il proprio nome». Si comportano spesso in questo modo a causa dell’azione di vari meccanismi che agiscono implicitamente, al disotto del livello della consapevolezza cosciente. Queste comunità bianche non possono affermare un’esplicita identità bianca perché lo spazio culturale esplicito è fortemente vincolato ad un’ideologia nella quale ogni esplicita affermazione dell’identità bianca è soggetta ad anatema. La cultura esplicita agisce sui centri coscienti prefrontali che sono in grado di controllare le regioni subcorticali del cervello.

Questo implica che il controllo della cultura rivesta un’importanza critica. La storia di come questo spazio culturale esplicito sia venuto a formarsi e di quali interessi esso serva è il tema del mio libro La cultura della critica, cui si collega il materiale di questo volume sull’individualismo europeo: queste trasformazioni culturali sono il risultato di una complessa interazione tra le tendenze preesistenti e profondamente radicate degli europei (individualismo, universalismo morale e scienza) e l’ascesa di una nuova élite ostile alle popolazioni e alle culture tradizionali d’Europa69. Il risultato è stato una “cultura della critica” che rappresenta il trionfo dei movimenti di sinistra che hanno dominato il dibattito culturale e politico occidentali del XX secolo, specialmente a partire dagli anni 1960. I presupposti fondamentali di questi movimenti di sinistra, in particolare per quanto riguarda la razza e l’etnicità, permeano il discorso intellettuale e politico sia dei progressisti che della principale corrente dei conservatori e definiscono un consenso tra le élite universitarie, mediatiche, degli affari e di governo.

Poiché l’etnocentrismo implicito è vivo e vegeto tra i bianchi e influenza il loro comportamento in maniera sottile (identità bianca implicita) si potrebbe supporre che i bianchi siano in effetti in grado di perseguire i loro interessi anche contro il vento predominante di una cultura esplicita permeata di potenti controlli sociali e ideologie contrari ai bianchi. Il problema, tuttavia, è che l’identità e gli interessi dei bianchi possono essere gestiti soltanto finchè rimangono a livello implicito. In generale, le comunità bianche implicite si conformano, almeno esteriormente, all’ideologia multiculturale ufficiale e adottano atteggiamenti e retoriche convenzionali circa le questioni razziali ed etniche. Ciò permette loro di sottrarsi allo sguardo indagatore delle élite culturali che impongono gli atteggiamenti convenzionali su tali questioni. Tuttavia ciò li rende incapaci di promuovere attivamente ed esplicitamente quei temi che hanno un’influenza vitale sui loro interessi etnici.

Un buon esempio è quello che riguarda l’immigrazione non-bianca. Durante la campagna per le presidenziali del 2016 e dall’elezione di Donald Trump c’è stato un grande dibattito sul tema dell’immigrazione generato  dalle politiche proposte da Trump allo scopo di impedire l’immigrazione illegale. La retorica di Trump ha incontrato un vasto serbatoio di pubblico irritato dalla mancanza di controllo dei nostri confini e, come credo, dalle trasformazioni che l’immigrazione in generale (legale e illegale) sta provocando. In effetti, la retorica di Trump sull’immigrazione potrebbe benissimo essere stata responsabile della sua elezione. Sebbene sia comune da parte dei sostenitori dell’immigrazione illegale bollare come “razzisti” i loro oppositori, il fatto che l’immigrazione illegale sia, in fin dei conti, illegale ha reso facile ai conservatori della corrente maggioritaria opporsi ad essa senza menzionare i loro interessi razziali.

Ciò contrasta con la tendenza dei media ufficiali (dall’estrema sinistra alla destra neoconservatrice e ultraliberale) a trattare pochissimo, o addirittura a non trattare affatto, la questione degli oltre un milione di immigrati legali che entrano negli Stati Uniti ogni anno, ad evitare qualunque discussione circa il loro effetto sull’economia, sui servizi sociali, sul crimine o sulla competizione nelle università d’élite, come pure sull’effetto a lungo termine rispetto alla composizione etnica degli Stati Uniti e sulle conseguenze che ciò avrà per gli interessi politici dei bianchi che si avviano verso una condizione di minoranza, sulla rimozione della popolazione autoctona da vari settori dell’economia o sul fatto che la maggior parte degli americani voglia veramente tutto questo oppure no. In effetti, un atteggiamento piuttosto comune tra gli esponenti conservatori di spicco che si oppongono all’immigrazione illegale è stato quello di manifestare il loro sostegno all’immigrazione legale come mezzo per evitare l’accusa di “razzismo”, sebbene molti di loro siano vincolati ad interessi economici che vedono con favore l’arrivo di manodopera a basso costo. Mentre l’affermazione di interressi etnici da parte dei non-bianchi è un fatto consueto sulla scena politica e culturale americana, è dagli anni 1920 che non si assiste ad un’affermazione esplicita e maggioritaria degli interessi dei bianchi (si veda il capitolo 6).

La conseguenza è che le ideologie di sinistra circa la razza e l’etnicità sono diventate parte della morale convenzionale e del dibattito culturale anche all’interno delle comunità bianche implicite. Come risultato, tali comunità sono incapaci di opporsi alle forze che incatenano il paese e che si oppongono al loro interesse sul lungo periodo. Poiché da parte dei bianchi manca un tentativo a livello maggioritario di modificare la cultura esplicita in modo tale da rendere legittima l’identità culturale dei bianchi e il perseguimento dei loro interessi etnici, le comunità bianche implicite diventano serbatoi di bianchi isolati e risentiti piuttosto che comunità capaci di perseguire consapevolmente i loro interessi etnici.

In conclusione: la creazione di una cultura esplicita che legittimi l’identità e gli interessi dei bianchi costituisce un prerequisito al perseguimento efficace degli interessi dei bianchi in quanto gruppo.

 

Differenze razziali nella personalità.

 

Le differenze razziali nella personalità spiegano la peculiare tendenza dei bianchi a creare comunità morali nelle quali la reputazione assume un’importanza primaria. Il ruolo critico della reputazione implica la valutazione della personalità dei membri del gruppo effettivi come di quelli potenziali. Una reputazione di individuo spietato, calcolatore, inaffidabile o egoista non migliora lo status di quell’individuo in una comunità morale, mentre una reputazione opposta è bene accetta. A causa della lunga storia delle comunità morali in Occidente ci si aspetta che i risultati della ricerca evidenzino differenze razziali per quei tratti che favoriscono l’appartenenza a una comunità morale.

Come introduzione alla discussione sulle differenze razziali nella personalità prenderò brevemente in esame una teoria evoluzionista dei sistemi della personalità e il modo in cui questi sono in relazione con la classificazione psichiatrica  della personalità psicopatica, che è il tema dell’opera di Richard Lynn dal titolo Race Differences in Psychopathic Personality [Differenze razziali nella personalità psicopatica, n. d. t.] che verrà esaminata più avanti70. Si tenga presente che le differenze individuali in tutti i tratti della personalità sono ereditarie; circa la metà delle variazioni tra gli individui per quanto riguarda i tratti della personalità è attribuibile a influenze genetiche71.

 

Alcuni sistemi elementari della personalità.

 

Il sistema dell’approccio comportamentale (SAC)71a. Un insieme di tratti che influenza la reputazione all’interno di un gruppo, come pure una personalità psicopatica, è quello che riguarda la ricerca di una gratificazione; tali tratti, nel loro insieme, sono definiti sistema dell’approccio comportamentale (SAC). Anche tra i mammiferi più primitivi deve esistere un meccanismo concepito per accostarsi all’ambiente al fine di ricavarne risorse; un tipico esempio è il sistema per la ricerca del cibo e quello per l’attrazione di un compagno. Il SAC si è evoluto a partire da sistemi concepiti per motivare l’avvicinamento a fonti di gratificazione (p. es. la gratificazione sessuale, il dominio, il controllo del territorio) presenti come caratteristiche durevoli e ricorrenti degli ambienti nei quali gli esseri umani si sono evoluti72.

Nel mondo contemporaneo questi meccanismi di gratificazione possono essere attivati non solo da aspetti dell’ambiente evolutivo, come nel caso del predominio sociale o delle situazioni relative all’accoppiamento, ma anche da cose come le droghe sintetiche, concepite per attivare i centri della gratificazione prodottisi per via evolutiva. Questi sistemi di gratificazione si sovrappongono, anatomicamente e neurofisiologicamente, a quelli dell’aggressione, forse perché questa è un mezzo potente per affrontare la frustrazione generata dall’aspettativa non soddisfatta di una gratificazione73.

I meccanismi soggiacenti al SAC mostrano differenze tra i sessi che sono in accordo con la teoria evoluzionista della sessualità, che afferma che i maschi, in media, sono più coinvolti dal SAC rispetto alle femmine perché traggono un maggiore vantaggio dal predominio sociale, dall’aggressione e dal controllo delle risorse rispetto alle femmine74. Questo avviene perché i maschi di successo e socialmente dominanti sono molto più capaci delle femmine di tradurre il loro successo in termini riproduttivi, attraendo femmine di elevata qualità, ottenendo più occasioni di accoppiamento e, nella gran maggioranza delle società, un numero maggiore di compagne. Fondamentalmente i maschi traggono maggior beneficio dal controllo sulle femmine che non viceversa, perché la riproduzione per le femmine è vincolata dalla gravidanza e dall’allattamento. Ad esempio, guidando armate vittoriose Genghis Khan e i suoi diretti discendenti furono in grado di crearsi degli harem nelle zone conquistate, col risultato che oggi [Genghis Khan, n. d. t.] conta 32 milioni di discendenti sparsi in tutta l’Asia. Nessuna femmina avrebbe potuto fare ciò nello stesso periodo di tempo, dati i limiti a lei imposti dalla gravidanza e dall’allattamento.

Di conseguenza non sorprende che tra gli esseri umani adulti l’approccio comportamentale sia anche associato all’aggressività e ad elevati livelli di esperienze sessuali e di emozioni positive (p. es. le emozioni che si provano ottenendo il dominio sociale o realizzando degli obiettivi)75, 76.

Un aspetto rilevante per la personalità psicopatica è che esistono differenze tra i sessi, prevedibili da un punto di vista evoluzionista, per quanto riguarda l’aggressione, la ricerca del piacere (compresa la ricerca di sensazioni) e la manifestazione esteriore di disturbi psichiatrici (p. es. disturbi comportamentali, disturbo oppositivo-provocatorio) e dell’aggressività. Inoltre le interazioni sociali dei giovani maschi sono maggiormente caratterizzate da rapporti di predominio e da stili personali forti ed esigenti77. Dall’altro lato, le femmine sono meno inclini alla depressione che è associata a bassi livelli di approccio comportamentale78. Infatti l’anedonia (incapacità di provare piacere) e lo stato d’animo negativo sono i principali sintomi della depressione indicati nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM-V)79.

 

Il sistema amore / cura del legame di coppia. Nel capitolo 3 si è affermato che le popolazioni occidentali sono più inclini ad attribuire valore alla presenza, nei potenziali compagni, di tratti come l’amore e la cura, essendo questo un aspetto dei modelli di accoppiamento individualisti e, in ultima analisi, data la necessità di consolidare strette relazioni familiari e l’investimento paterno in ambienti difficili come quelli in cui si sono evoluti i CR settentrionali. A differenza di quanto avviene nelle società basate sulla parentela, il matrimonio è esogamico e basato almeno in parte sull’attrazione personale, che include tratti della personalità come l’amore e la cura. Questi tratti sono anche importanti ai fini dello status all’interno delle comunità morali. La maggior parte della gente non troverebbe attraente l’insensibilità di un potenziale coniuge, né vorrebbe persone insensibili quali membri della propria comunità morale, perché tali persone tenderebbero ad essere inaffidabili ed egoiste. Diamo nel seguito una descrizione più dettagliata del sistema amore / cura.

Le femmine dei mammiferi danno alla luce i piccoli e li allattano. Questo ha prodotto una quantità di adattamenti per la maternità, una derivazione dei quali sono i meccanismi del legame di coppia presenti anche nei maschi, sebbene mediamente in misura minore80. Per le specie che sviluppano legami di coppia e altri tipi di rapporti intimi che comportano cura ed empatia ci si può aspettare l’evoluzione di un sistema concepito per rendere tali rapporti psicologicamente gratificanti. Lo spazio adattivo dell’amore / cura, perciò, viene elaborato per formare un meccanismo atto a consolidare relazioni di amore e di empatia tra individui adulti che facilitino il trasferimento di risorse ad altri, tipicamente all’interno della famiglia.

I tratti della personalità come l’amore e la cura sono associati alle relazioni intime e ad altre relazioni a lungo termine, specialmente quelle familiari che comportano l’investimento nei figli81. Le differenze individuali per quanto riguarda il calore e l’affetto osservabili nei primi rapporti genitore-figlio, che comportano solidi legami, sono concettualmente collegate con l’amore e la cura nelle fasi successive della vita82. E’ stato rilevato come i legami solidi e le relazioni intense e affettuose tra genitori e figli siano associati a un modello di genitorialità ad alto investimento caratterizzato da una maturazione sessuale più tardiva, da legami di coppia stabili e da rapporti interpersonali intensi, reciprocamente gratificanti e non opportunistici83. Le basi psicologiche del legame di coppia coinvolgono specifiche regioni del cervello su cui poggia la  capacità di ricavare piacere da relazioni strette e intime84. Gli individui nei quali questo sistema è altamente sviluppato sono in grado di trovare gratificazione psicologica e piacere nelle relazioni intime e pertanto le ricercano, mentre i soggetti psicopatici tendono ad avere relazioni personali fredde e prive di sensibilità.

Se infatti la principale spinta evolutiva allo sviluppo del sistema umano dell’amore / cura è rappresentata dal bisogno di una genitorialità ad alto investimento, c’è da aspettarsi che le femmine possiedano meccanismi relativi a tale investimento più elaborati di quelli dei maschi. La teoria evoluzionista della sessualità prevede che le femmine siano più selettive dei maschi nell’accoppiamento e più inclini a relazioni di lunga durata basate sulla cura e sull’affetto; i segnali che indicano cura e affetto nei maschi saranno molto apprezzati dalle femmine in cerca di capacità di investimento paterno. In accordo con questa teoria, esistono notevoli differenze tra i sessi (più marcate nelle femmine) rispetto alle coordinate amore / cura85.

E poiché l’empatia è fortemente collegata al sistema amore / cura, ciò implica altresì che le donne siano più inclini ad essere motivate dall’empatia per le sofferenze degli altri e a manifestare forme patologiche di altruismo. Ciò, a sua volta, ha importanti conseguenze nel mondo contemporaneo, saturo di immagini che ritraggono rifugiati, immigrati e altri non-bianchi sofferenti. Il sistema amore / cura comporta la tendenza a fornire sostegno a quanti hanno bisogno d’aiuto, compresi e bambini e gli ammalati86. Questo tratto è fortemente associato alla femminilità, come pure alle relazioni interpersonali calorose ed empatiche e alla dipendenza psicologica dagli altri.

Gli individui che sono poco coinvolti dal sistema amore / cura tendono ad avere personalità psicopatiche: rapporti interpersonali opportunistici, mancanza di calore umano, di amore e di empatia, incapacità di formare relazioni di coppia a lungo termine, assenza di senso di colpa o di rimorso per aver violato i diritti degli altri. La scoperta in base alla quale i maschi hanno una probabilità tripla, rispetto alle femmine, di ricevere una diagnosi di disturbo antisociale della personalità87 è in accordo con le marcate differenze tra i sessi per quanto riguarda questo sistema. La personalità psicopatica, che è caratterizzata dalla mancanza di empatia e di legami sociali, è associata a un numero elevato di partner sessuali, ad un approccio non impegnativo al rapporto di coppia, alla coercizione sessuale88, a numerose relazioni sessuali a breve termine, alla promiscuità sessuale89 e alla mancanza di cura verso i figli90.

In termini di differenze razziali, il sistema amore / cura rappresenta un aspetto centrale di una lenta strategia storica della vita91, per cui ci si può attendere che gli africani e le popolazioni di origine africana siano meno inclini ai legami di coppia affettuosi e all’investimento paterno nei figli e più inclini a relazioni sessuali a breve termine. In effetti, se da un lato le madri africane sono sensibili e sollecite verso le esigenze dei neonati, dall’altro le interazioni tra madre e bambino nelle tipiche culture africane sono prive del calore e dell’affetto che sono invece caratteristici delle culture europee92. Perciò Mary Ainsworth, pioniere nelle ricerche sul legame madre-figlio, ha trovato che i bambini ugandesi mostravano un forte attaccamento verso la madre malgrado il fatto che questa raramente mostrasse affetto nei loro confronti; un fenomeno osservato anche da altri ricercatori in altri gruppi africani93.

 

Il controllo esecutivo prefrontale (CEP)93a. Una reputazione di persona coscienziosa e affidabile è importante al fine di essere accettatI in una comunità morale. Una tendenza evolutiva relativamente recente, specialmente nella linea dei primati, è stata l’evoluzione di un sistema di controllo centralizzato capace di integrare e coordinare gli adattamenti di livello inferiore. Questo sistema di controllo esecutivo prefrontale (CEP), che agisce dai livelli superiori a quelli inferiori, permette la coordinazione di adattamenti specializzati inclusi tutti i meccanismi associati con il SAC94. Il CEP coinvolge il processo esplicito dell’informazione linguistica e simbolica e il controllo del comportamento che agisce dai livelli superiori a quelli inferiori. A differenza del processo automatico tipico del SAC, esso è in grado di valutare contesti complessi in modo da produrre un comportamento che risulti adattivo nelle società umane contemporanee, con i loro cambiamenti costanti, i loro ambienti e i loro casi di gratificazione e punizione altamente complessi.

Ad esempio, gli stati emotivi risultanti da adattamenti concepiti per reagire alle regolarità evolutive possono porre le persone in una condizione prepotentemente aggressiva alimentata dalla paura, uno stato emotivo che è uno dei sottosistemi del SAC. Tuttavia il fatto che l’aggressione si verifichi o meno può anche essere influenzato, almeno per i soggetti con un CEP sufficientemente sviluppato, dalla valutazione esplicita del contesto più ampio, compresa quella dei possibili costi e benefici di un atto aggressivo (p. es. la punizione della legge, possibili ritorsioni). Questo calcolo esplicito di costi e benefici non è una costante evolutiva, ma è il prodotto di un processo esplicito che valuta gli ambienti di volta in volta presenti e produce modelli mentali delle possibili conseguenze del comportamento. Le differenze individuali nel CEP sono strettamente associate con i tratti della personalità che formano la coscienziosità95. Questa comporta variazioni [individuali, n. d. t.] nella capacità di differire la gratificazione e il piacere (entrambe collegate al SAC) in funzione del conseguimento di obiettivi a lungo termine, perseverando in compiti sgradevoli, prestando grande attenzione ai dettagli e comportandosi in maniera responsabile, affidabile e collaborativa. Non sorprende che la coscienziosità sia anche associata con il successo in campo accademico96; in effetti, una maggiore coscienziosità è probabilmente il fattore che spiega le differenze osservabili tra i sessi, a vantaggio delle femmine, nel periodo scolastico, università compresa.

La coscienziosità si riferisce al «controllo degli impulsi prescritto socialmente che facilita il comportamento orientato all’esecuzione di un compito e al conseguimento di uno scopo»97 ed è pertanto centrale per la comprensione dei comportamenti scarsamente controllati associati alla personalità psicopatica98. In modo specifico, le variazioni nel CEP sono centrali al fine di  comprendere la differenza tra aggressione controllata e incontrollata, cioè la differenza tra un atto impulsivo di aggressione compiuto in condizioni di rabbia provocata da un’offesa e un attacco accuratamente pianificato a scopo di vendetta compiuto a sangue freddo. Le variazioni nel CEP sono anche centrali per quanto attiene al controllo del comportamento orientato alla ricompensa (ricerca del piacere) altro componente fondamentale del SAC99. Gli individui con un basso livello di controllo prefrontale sono inclini all’impulsività e all’abuso di sostanze e hanno un basso livello di controllo emotivo che comprende una relativa incapacità di controllare la rabbia, aspetto che costituisce un fattore scatenante primario di alcuni tipi di aggressione.

 

Le differenze razziali nella personalità di Richard Lynn: i bianchi sono più generosi ed empatici rispetto alle altre razze.

 

Le differenze razziali nella personalità, di Richard Lynn, fornisce un pregevole esame della letteratura sul tema della personalità in relazione alle differenze razziali che si accorda bene con il materiale sulla personalità esaminato in precedenza100. Studi compiuti negli Stati Uniti hanno costantemente evidenziato un ordinamento gerarchico delle razze per quanto riguarda i comportamenti relativi alla personalità psicopatica, con valori più elevati per i negri e per i nativi americani seguiti dagli ispanici, più bassi per i bianchi e ancor più bassi per gli asiatici, soprattutto quelli provenienti dall’Asia nordorientale. Le variabili studiate comprendevano il disturbo del comportamento, la misurazione diretta della personalità psicopatica, la misurazione della promiscuità sessuale (indicante una minore inclinazione al legame di coppia e un ruolo importante del SAC) la coscienziosità (confrontando soltanto bianchi e negri) la criminalità, le sospensioni scolastiche, l’intelligenza emotiva (solo tra bianchi e negri) l’abuso di droghe o altre sostanze, gli abusi nei confronti di minori e l’autostima (collegata al SAC: gli individui con elevato sviluppo del SAC sono inclini all’autostima e alla fiducia in se stessi). In generale, come per il quoziente di intelligenza, le differenza razziali sono maggiori tra bianchi e negri e più attenuate tra bianchi e asiatici nordorientali.

Considerati i dati sull’individualismo europeo e i suoi effetti sui modelli di accoppiamento (che evidenziano l’importanza dell’amore e del legame di coppia nel paragone con le società più orientate alla parentela), suggerisco che le differenze tra gli asiatici nordorientali e i bianchi siano meglio spiegate soprattutto dalle differenze nel CPE. I risultati per i negri indicano chiaramente una più elevata influenza del SAC ed una minore influenze del sistema amore / cura e del CEP.

In effetti, essendo l’unicità dell’individualismo occidentale un aspetto centrale della presente analisi, è importante osservare come i bianchi siano più generosi degli asiatici in termini di donazioni filantropiche, distaccandosi così dalla nota gerarchia relativa al quoziente di intelligenza e al CEP. Ciò è importante perché, come indicato in precedenza, il sistema amore / cura è collegato all’altruismo e all’interesse empatico; inoltre, l’amore e la cura hanno rivestito una speciale importanza per l’occidente per via di particolari aspetti dell’individualismo:

 

  • la scelta individuale del coniuge. Il sistema amore / cura è un criterio importante per entrambi i sessi, ma specialmente per l’uomo in cerca di un’unione monogamica con una donna che presenti in modo marcato il tratto connesso alla cura dei figli e alla fedeltà sessuale. Sull’altro versante, il matrimonio nelle culture collettiviste è maggiormente determinato dal costume di far sposare tra loro individui imparentati, come pure dalle strategie familiari dove i parenti giocano un ruolo determinante.
  • la reputazione in una comunità morale: la reputazione in un gruppo di individui non imparentati tra loro dipende in parte dall’essere considerati generosi, collaborativi e disinteressati. Un elevato sviluppo del sistema amore / cura è collegato all’empatia per le sofferenze degli altri. Tra individualisti, inoltre, a causa della mancanza di netti confini di gruppo e dato che la reputazione in una comunità morale è un fattore critico, ci si aspetta che l’empatia sia rivolta ad individui esterni al proprio gruppo di parentela, rimanendo però interna rispetto alla propria comunità morale.

 

Coerentemente con questo scenario, Lynn presenta dei dati che mostrano come i bianchi siano più disposti ad offrire donazioni filantropiche di quanto lo siano tutti gli altri gruppi, asiatici inclusi101. E di nuovo sottolineo che questo aspetto è particolarmente degno di nota, dato che si discosta dal consueto ordinamento gerarchico dei gruppi razziali basato sulle differenze nelle storie di vita. L’empatia verso gli altri che soffrono fu un aspetto di primo piano dei movimenti per l’abolizione dello schiavismo in Inghilterra e negli Stati Uniti (si vedano i capitoli 6 e 7) e nella “rivoluzione emotiva” del XVIII secolo che alimentò la sensibilità manifestatasi nel secondo impero britannico (cfr. il capitolo 7). In definitiva questo fu un cambiamento etnico che portò in primo piano la sensibilità dei CR, con il peso maggiore che in essa rivestivano l’egualitarismo e le comunità morali.

Per finire, è stato osservato in precedenza come le donne presentino un livello più elevato di amore / cura e dell’emozione collegata, l’empatia. Di conseguenza non sorprende che Lynn osservi come le donne siano più generose degli uomini; in effetti, le donne bianche sono il gruppo più generoso in assoluto, una scoperta che ha senso alla luce delle osservazioni fatte in precedenza sul fatto che le donne siano più sensibili alle richieste provenienti da non-bianchi sofferenti, da rifugiati, immigrati, ecc.

 

La teoria delle storie di vita101a.

 

Nicholas Baumard ha proposto una spiegazione, basata sulla teoria delle storie di vita, del fatto che la Gran

Bretagna sia stato il primo paese a sviluppare una rivoluzione industriale102. Egli fa notare come la Gran Bretagna preindustriale fosse relativamente ricca in confronto a qualsiasi altra regione del mondo, incluse le altre parti dell’Europa. Sebbene non cerchi di spiegare perché la Gran Bretagna fosse più ricca prima della rivoluzione industriale (il cui inizio viene di solito collocato intorno al 1760) egli ricorre alla teoria delle storie di vita per sostenere che questo aumento di ricchezza ebbe un effetto a cascata su un certo numero di tratti psicologici, inclusa una tendenza ad avere un più lungo orizzonte temporale (maggior considerazione per il fattore tempo) un maggiore ottimismo e una maggiore fiducia negli altri, tutti fattori che egli ritiene abbiano aperto la via all’innovazione.

L’idea di base è che in un ambiente stabile e ricco di risorse le persone sono ottimiste e fanno piani per il futuro, piuttosto che comportarsi impulsivamente; poiché la lotta per il sostentamento ha un peso minore, esse sono più gentili verso gli altri e meno preoccupati dei beni materiali. Ad esempio, Baumard cita uno studio che confronta i bambini nativi americani [indiani, n. d. t.] con i bambini americani alloctoni nel periodo precedente e in quello successivo all’apertura di un casinò nella regione abitata dalla popolazione dei nativi. Dopo che questi ultimi ebbero ricevuto quote di denaro dal casinò, si osservò una diminuzione del comportamento criminale, dell’uso di droghe e dei disturbi comportamentali associati alla povertà (come l’ansietà e i disturbi oppositivi) e un incremento di tratti della personalità quali l’amore, la cura e la coscienziosità, che abbiamo descritto in precedenza103. Per analogia, Baumard propone che l’aumento della ricchezza in Gran Bretagna abbia provocato un incremento di questi tratti e che ciò abbia a sua volta portato ad una fioritura dell’innovazione e del progresso tecnologico.

La teoria di Baumard contrasta con quella esposta da Gregory Clark in A Farewell to Alms [Addio all’elemosina, n. d. t.], che propone una selezione naturale per le virtù borghesi come la coscienziosità che ebbe inizio al principio dell’età moderna104. Mentre Baumard adotta esplicitamente una prospettiva di tabula rasa, la teoria di Clark è compatibile con le preesistenti variazioni su base genetica di tratti come la coscienziosità e il quoziente di intelligenza. Popolazioni più intelligenti e coscienziose furono in grado di svilupparsi nel nuovo ambiente della prima età moderna (un ambiente che liberava le potenzialità economiche dell’individualismo) e di avere più figli, producendo una selezione naturale per quei tratti.

Un’altra teoria basata sulla selezione è stata proposta da Peter Frost e Henry Harpending in base all’osservazione che le condanne contro gli atti di violenza crebbero sensibilmente a partire dell’XI secolo, con più del 2% della popolazione maschile di ogni generazione condannato alla pena capitale o morto in altri modi in relazione ai crimini commessi105. Questa eliminazione dei maschi violenti avrebbe ridotto il numero dei maschi più aggressivi e meno inclini alla coscienziosità e all’amore / cura.

Considero tutte e tre queste proposte come fattori che hanno contribuito alla modernizzazione europea; tuttavia prese ciascuna a sé o in combinazione tra loro esse appaiono inadeguate. La prospettiva di tabula rasa di Baumard ignora i consistenti dati sulla variazione genetica dei tratti della personalità e dell’intelligenza. La tesi di Frost e Harpending non spiega come mai la presenza di stati forti in aree come la Cina e l’Europa orientale e meridionale non abbia avuto effetti selettivi analoghi per quei tratti, come pure non spiega l’unicità dell’Europa nordoccidentale, il suo individualismo, il numero enorme delle sue scoperte e invenzioni e la sua spinta ad esplorare e colonizzare il pianeta. Le pene inflitte in Cina per i crimini gravi erano particolarmente severe, risalendo già all’VIII secolo l’uso di punire l’intera famiglia del presunto colpevole106. Inoltre, nessuna di queste teorie prende in esame l’individualismo come condizione necessaria per la modernizzazione europea, inclusa la rivoluzione industriale. Come si è visto nel capitolo 4, l’Europa nordoccidentale aveva una lunga storia di struttura familiare individualista che precede di molto la rivoluzione industriale; le sue origini, in effetti, si perdono nella preistoria, e da parte mia sostengo che abbiano un fondamento etnico. Comunque, la creatività, l’innovazione e l’iniziativa che sarebbero state il prodotto naturale dell’individualismo delle popolazioni europee nordoccidentali vennero soffocate da un sistema sociale aristocratico e non meritocratico fino all’epoca della Guerra Civile Inglese, a metà del secolo XVII, e al rovesciamento della cultura aristocratica (capitolo 6).

Come osservato nel capitolo 4, il modello familiare individualista richiedeva una grande capacità di pianificazione e di autocontrollo (coscienziosità) prima del matrimonio e aveva come conseguenza una maggiore probabilità di esibire quello che gli psicologi chiamano “locus di controllo interno” (cioè la tendenza delle persone a credere di esercitare un controllo sugli esiti degli eventi delle loro vite, in opposizione ad una prospettiva fatalista risultante da forze esterne al di fuori del loro controllo). Non è un caso che la parola inglese kismet106a abbia un’origine araba.

Il matrimonio individualista pone anche l’accento sulla scelta individuale del coniuge basata sulle sue caratteristiche personali, che comprendono l’intelligenza, la coscienziosità e l’affetto (amore / cura). Questi tratti perdono importanza quando il matrimonio sia inserito nelle reti della parentela estesa, dove esso ha luogo tipicamente tra consanguinei ed è spesso determinato dalla scelta dei genitori. In una cultura individualista il fattore critico era costituito dalla reputazione all’interno di una comunità morale piuttosto che dalla comunità basata sulla parentela, e ciò aveva come conseguenza la fiducia nei confronti dei non parenti.

La Riforma protestante, che si verificò soltanto nell’Europa nordoccidentale, rappresenta un fattore critico. In particolare, la Guerra Civile Inglese degli anni 1640 vide il trionfo dell’individualismo egualitario e l’inizio del tramonto della cultura aristocratica basata sull’agricoltura, della rigida gerarchia di status e della condizione sociale ereditaria (non meritocratica) che offriva scarsissime opportunità di mobilità ascendente. La rivoluzione ebbe come risultato finale un relativo egualitarismo, lo sviluppo di un’economia orientata al mercato, l’industrializzazione e opportunità di mobilità ascendente e di successo riproduttivo per gli individui intelligenti e coscienziosi, come viene descritto nell’opera di Clark Addio all’elemosina.

Baumard suppone che l’aumento della ricchezza in Cina e in Giappone (paesi nei quali non si sviluppò mai nulla di simile all’individualismo europeo) avrebbe avuto come conseguenza una rivoluzione industriale. Queste sono congetture che non tengono conto degli elevati livelli di conformismo e della relativa mancanza di creatività e di innovazione di queste culture (malgrado l’aumento della ricchezza) che perdurano ancor oggi107. Come si è detto nel capitolo 3, gli occidentali sono popolazioni WEIRD, che differiscono per un gran numero di caratteristiche psicologiche dalle popolazioni che formano culture collettiviste. Come per i dati sulla famiglia individualista, queste osservazioni sono compatibili con un’interpretazione etnica dell’unicità europea nordoccidentale.

Per finire, poiché in Europa e nelle altre società è sempre esistita una classe agiata, affinchè la teoria di Baumard (secondo la quale l’aumento della ricchezza costituisce un fattore critico) possa essere plausibile, essa deve affermare che tale processo è essenzialmente il risultato di un aumento del numero degli individui benestanti. Ma questa è una congettura. La mia opinione è che il fattore critico fu la distruzione della cultura aristocratica, che permise all’individualismo egualitario connaturato agli europei nordoccidentali di venire alla luce.

 

Sfide psicologiche allo sviluppo di una cultura esplicita dell’identità e degli interessi dei bianchi.

 

Quanto precede ha preso in esame i meccanismi psicologici che stanno alla base del potere che le culture umane hanno di influenzare comportamenti e mentalità. Chiaramente la cultura maggioritaria occidentale, attualmente dominata dalla sinistra anti-bianca, pone un ostacolo considerevole allo sviluppo di una cultura esplicita favorevole all’identità e agli interessi dei bianchi. In assenza di cambiamenti nella cultura esplicita sulle questioni relative alla legittimità di quella identità e di quegli interessi, i bianchi continueranno semplicemente a ritirarsi all’interno delle comunità bianche implicite.

Esistono ovviamente molti ostacoli allo sviluppo di una cultura maggioritaria di questo tipo, il principale essendo costituito dall’opposizione delle élite dei media, dell’università, del mondo degli affari e della politica. Vi sono poi altri meccanismi che sono entrati in gioco e che rendono difficile la creazione di tale cultura.

 

L’interesse personale e le strutture anti-bianche.

Gran parte del problema sta nel fatto che quelle élite hanno creato un’infrastruttura molto elaborata, di modo che, per la gran maggioranza degli individui, l’interesse personale sul piano economico e professionale coincide col sostegno alle politiche anti-bianche. Un esempio particolarmente rilevante è quello degli individui e delle aziende che traggono un beneficio diretto dall’immigrazione per via della manodopera a basso costo, o delle società come la First Data Corporation che guadagnano sulle rimesse inviate dagli immigrati ai propri parenti in altri paesi.

Notevoli esempi sono costituiti dai rettori universitari, molti dei quali guadagnano somme a sette cifre. Ad esempio Mary Sue Coleman guadagnava oltre un milione di dollari l’anno prima di lasciare il suo incarico di rettrice dell’università del Michigan nel 2014. Si era distinta per i suoi tentativi di mantenere le preferenze razziali per i non-bianchi e di promuovere i vantaggi educativi (inesistenti) della diversità108.

Similmente, quando tre giocatori bianchi di lacrosse della Duke University furono accusati di aver violentato una donna negra, la facoltà e gli amministratori rilasciarono dichiarazioni che davano per scontata la loro colpevolezza109. Poiché all’università la politica culturale della sinistra è divenuta una consuetudine, le affermazioni che deploravano il razzismo e il sessismo di quei giocatori possono essere considerate come buone mosse per la carriera, pur essendo risultate infondate. Adottare le idee convenzionali sulla razza e sull’etnicità è la conditio sine qua non per fare carriera come accademico della corrente maggioritaria (in particolare come amministratore) come intellettuale pubblico o nell’arena politica.

Coerentemente con l’importanza rivestita dall’interesse personale nel sostenere politiche e politici esplicitamente bianchi, una ricerca del 2017 ha osservato come i bianchi che si collocano nella fascia di reddito alta fossero i meno inclini a sostenere politici con una forte identità bianca se pensavano che la gerarchia razziale fosse instabile. In altre parole, i bianchi che hanno di più da perdere sono probabilmente i meno disposti creare problemi provocando le minoranze nella misura in cui ritengano che la gerarchia razziale possa mutare per via dei cambiamenti demografici110.

Come ha fatto notare Frank Salter, i bianchi che trascurano gli interessi del loro gruppo razziale ottengono vantaggi per sé e per le loro famiglie a spese dei loro più ampi interessi etnici111. Ciò è particolarmente vero per i membri bianchi dell’élite, persone la cui intelligenza, il cui potere e la cui ricchezza potrebbero fare una grandissima differenza nella cultura e nella politica. In effetti costoro stanno sacrificando milioni di individui della loro razza, ad esempio voltando le spalle alla classe lavoratrice bianca (che, com’è ben noto, è quella che soffre maggiormente a causa dell’immigrazione non-bianca e del regime multiculturale) per il solo vantaggio personale e della loro stretta cerchia familiare.

In base alle regole consuete del successo evolutivo, questa è una scelta disastrosamente sbagliata. Comunque, poiché la nostra psicologia, prodotta dall’evoluzione, è assai più in sintonia con gli interessi individuali e familiari che con quelli del gruppo etnico o della razza, è improbabile che i bianchi che traggono un beneficio economico o professionale dall’adottare le idee convenzionali sulla razza e sull’etnicità provino disagio a livello psicologico. In effetti, dato che tali idee convenzionali sono state sostenute dall’ideologia secondo la quale una deviazione rispetto alle stesse è indice di  turpitudine morale o di patologia psichica, tali individui si sentono probabilmente virtuosi sul piano morale quando rendono pubblico il loro sostegno a quelle idee (segnalazione morale all’interno della comunità morale creata dalla cultura d’élite).

 

La teoria dell’apprendimento sociale: conseguenze per chi non domina la cultura.

Per quanto un mutamento nelle strutture dei vantaggi materiali sia indubbiamente un fattore critico ai fini della promozione degli interessi etnici bianchi, si dovrebbe anche prestare attenzione all’apprendimento sociale, ossia a quell’apprendimento che avviene attraverso l’imitazione di modelli. Le persone sono inclini ad adottare le idee e il comportamento di coloro che godono di prestigio e di uno status elevato, e questa tendenza si accorda bene con una prospettiva evoluzionista per la quale la ricerca di uno status sociale elevato è una caratteristica universale della mente umana. Un componente critica del successo della cultura che promuove l’espropriazione dei bianchi è costituita dal fatto che tale cultura ha ottenuto il controllo delle più prestigiose ed influenti istituzioni dell’Occidente, in particolare dei media e delle università. Una volta che questa cultura è divenuta l’opinione dominante tra le élite, essa è stata largamente accettata anche dai bianchi di livello culturale assai differente e dalle persone di altre classi sociali112.

Ad esempio, Leslie Fiedler, uno studioso di letteratura ebreo collegato agli Intellettuali Newyorkesi113, ha descritto un’intera generazione di scrittori ebrei americani (comprendente Delmore Schwartz, Alfred Kazin, Karl Shapiro, Isaac Rosenfeld, Paul Goodman, Saul Bellow e H. J. Kaplan) come «ebrei di seconda generazione, tipicamente urbani». Le opere di questi scrittori comparivano regolarmente sulla Partisan

Review, il giornale simbolo degli Intellettuali Newyorkesi. Fiedler prosegue dicendo che

 

lo scrittore della provincia attratto da New York si sente […] un sempliciotto e cerca di conformarsi; e il fatto che lo scrittore non ebreo a New York cerchi quasi di parodiare l’ebraicità è una strana e cruciale testimonianza della nostra epoca114.

 

Una volta che gli ebrei ebbero ottenuto prestigio e status nel mondo letterario, era del tutto naturale che i non ebrei li ammirassero e li emulassero, adottando le loro idee sulla razza e sull’etnicità, idee che erano maggioritarie nella comunità ebraica e molto più a sinistra della maggioranza degli americani. Come altre influenze cha fanno da modello, dunque, i memi maladattivi si diffondono meglio tramite individui e istituzioni dotati si elevato status sociale. Essendo stati innalzati al pantheon della cultura d’élite, individui come Sigmund Freud o Stephen Jay Gould sono divenuti icone culturali, autentici eroi della cultura. Pertanto i memi culturali che promanano del loro pensiero hanno un’opportunità molto più grande di radicarsi nella cultura in generale.

Oltre a ciò, adottare le idee dell’élite sulla razza e sull’etnicità porta anche benefici psicologici, in quanto migliora la reputazione di una persona all’interno della comunità morale contemporanea creata da quelle stesse élite. D’altro canto, dissentire pubblicamente da tali idee comporta costi pesanti per la maggior parte delle persone. E’ probabile che le élite bianche che voltano le spalle al loro gruppo etnico ottengano un consistente sostegno dalla cultura esplicita contemporanea, mentre coloro che tentano di promuovere gli interessi dei bianchi possono aspettarsi di pagare un prezzo doloroso sul piano psicologico.

Vi sono molti esempi di bianchi che sono stati licenziati dal loro posto di lavoro nei media o in altre posizioni influenti per aver manifestato opinioni sulla razza e sull’etnicità che si discostano da quelle convenzionali. D’altro canto, l’imponente approvazione sociale che la rettrice dell’Università del Michigan Mary Sue Coleman ha ricevuto da parte della cultura universitaria per le sue posizioni in materia di diversità costituisce senza dubbio una componente positiva del suo lavoro. Se avesse improvvisamente capovolto le sue posizioni sui benefici della diversità, la sua carriera come rettrice universitaria e il suo stipendio di un milione di dollari l’anno sarebbero stati esposti a un grave rischio.

 

Benefici e rischi della coscienziosità.

Un sistema psicologico che influenza la reputazione morale è la coscienziosità, esaminata in precedenza in relazione al suo ruolo nell’inibire le nostre tendenze naturali in vista di vantaggi a lungo termine. Tuttavia le persone che presentano un elevato livello di coscienziosità tendono anche a preoccuparsi molto della loro reputazione.

Ciò non avviene per caso. Infatti per le persone coscienziose crearsi una buona reputazione è un mezzo importante per ottenere vantaggi a lungo termine. Vediamola in questo modo. Se qualcuno imbroglia un’altra persona, costui ottiene un vantaggio a breve termine pagando però il prezzo di guadagnarsi una cattiva reputazione qualora il suo imbroglio venga scoperto. L’unico modo che questo individuo ha per continuare a sopravvivere è quello di approfittare di altre persone che non conoscono la sua reputazione, e ciò significa essere sempre in movimento e interagire con estranei (che saranno meno fiduciosi) piuttosto che con amici e alleati. D’altro canto, se costui collabora entrambe le parti ne beneficiano ed egli si crea una reputazione di persona collaborativa che può durare una vita intera. Nel lungo periodo, dunque, starà meglio.

Le persone coscienziose, a differenza dei soggetti sociopatici, sono collaborative, e di conseguenza si preoccupano molto della loro reputazione. Questo è un aspetto particolarmente critico per gli individualisti, perché questi tendono ad interagire più spesso con estranei; la loro reputazione si forma innanzitutto tra individui che non sono loro parenti e che farebbero molto in fretta (rispetto ai parenti) ad interrompere i rapporti qualora notassero segni di inaffidabilità.

La ricerca teorica ha mostrato che avere accesso alla reputazione di una persona è probabilmente una condizione necessaria all’evoluzione della cooperazione115. L’informazione circa la reputazione degli individui forma una memoria collettiva della loro storia passata ed è resa possibile dal linguaggio, ossia da rappresentazioni esplicite della storia pregressa delle persone nelle situazioni di cooperazione116.

Senza tale informazione esplicita sulla reputazione gli individui collaborativi sarebbero in condizioni di svantaggio evolutivo e vulnerabili ad una strategia di sfruttamento a breve termine, piuttosto che partecipi di una collaborazione a lungo termine con persone simili a loro. Questa informazione esplicita riguardo alla reputazione è pertanto elaborata dai centri cerebrali superiori collocati nella corteccia prefrontale, collegata alla coscienziosità.

Suggerisco perciò che la pressione evolutiva alla cooperazione sia una funzione adattiva critica, che spiega l’evoluzione della coscienziosità. La ricerca psicologica mostra che le persone con elevato livello di coscienziosità sono responsabili, fidate, diligenti e affidabili. In effetti, la responsabilità emerge come un aspetto (cioè una subcategoria) della coscienziosità, definita come la caratteristica di chi è collaborativo, fidato, di aiuto agli altri e fornitore di contributi ai progetti della comunità e del gruppo117. Questi tratti sono anche fortemente correlati con l’onestà e con un comportamento moralmente esemplare.

Pertanto la coscienziosità non ci rende soltanto più capaci di inibire impulsi naturali come l’etnocentrismo, ma ci rende anche più attenti alla nostra reputazione in una comunità morale. Desideriamo sentirci a nostro agio nella comunità e vogliamo essere conosciuti come collaboratori, non come traditori. All’estremo inferiore della scala della coscienziosità si collocano gli individui sociopatici (che si trovano anche al livello più basso rispetto ai tratti dell’amore e della cura). E’ più probabile che questi soggetti approfittino degli altri per trarne vantaggi a breve termine e che non si preoccupino di crearsi una reputazione di persone oneste ed affidabili. Dopo aver approfittato di qualcuno sono costretti a spostarsi in una zona in cui la loro reputazione non è conosciuta.

Ovviamente la coscienziosità, così com’è stata definita in precedenza, costituisce un pilastro della civiltà e della vita culturale umana. Ciò vale in particolare per le culture individualiste dell’Occidente, vista l’importanza che essa riveste al fine di ottenere una buona reputazione in un gruppo di estranei.

A questo insieme di tratti Francis Fukuyama aggiunge anche la fiducia, quale virtù fondamentale delle società individualiste118. Essa è collegata alla coscienziosità perché è più probabile che ci si fidi di persone che hanno una buona reputazione, delle persone cioè che godono della fiducia degli altri. La fiducia è in effetti un modo di sottolineare l’importanza dell’universalismo morale come caratteristica delle società individualiste. Nelle società collettiviste basate sulla famiglia la fiducia termina dove termina la famiglia o il gruppo più ampio della parentela. L’organizzazione sociale, sia nella cultura politica che nell’iniziativa economica, tende ad essere un affare di famiglia. La moralità è definita come ciò che è bene per il gruppo, tipicamente il gruppo dei consanguinei (p. es.: “è un bene per gli ebrei?”).

La mancanza di fiducia al di fuori del gruppo dei consanguinei è il problema fondamentale che impedisce lo sviluppo di società civili in gran parte dell’Asia e dell’Africa, dove le divisioni tra opposti gruppi religiosi, e in ultima analisi di parentela, definiscono il paesaggio politico. Dalle persone che hanno buone occupazioni ci si aspetta che aiutino i loro parenti, cosa che porta ad elevati livelli di corruzione119. Lo spostamento dell’Occidente nella direzione del multiculturalismo e dell’opposizione ai gruppi identitari basati sulla razza e sull’etnicità significa la fine della cultura occidentale individualista, destinata ad essere sostituita da una cultura caratterizzata da conflitti egoistici tra gruppi piuttosto che tra individui.

Nelle culture individualiste, le organizzazioni comprendono membri non appartenenti al gruppo familiare che occupano posizioni di fiducia, e il nepotismo è considerato immorale ed è soggetto a sanzioni legali. La moralità è definita in termini di principi morali universali, che sono indipendenti dalle relazioni di parentela o dall’appartenenza al gruppo. La fiducia pertanto costituisce un fattore di importanza critica per la società individualista. E la fiducia, sostanzialmente, riguarda la costruzione di una reputazione di affidabilità, ad esempio quella di chi tratta onestamente non soltanto con i propri parenti, ma anche con gli altri. Ne consegue che le popolazioni di derivazione europea sono particolarmente attente alla reputazione. Nelle società individualiste in cui gli occidentali si sono evoluti la cooperazione (e quindi il successo) era il risultato del possedere una buona reputazione, non della possibilità di contare su ampie relazioni di parentela.

Ci sono ovviamente grandi vantaggi nella fiducia e nel più ampio sistema psicologico della coscienziosità. L’insieme dei tratti associati all’individualismo sta alla base della modernità occidentale. La possibilità di contare sulla reputazione degli altri è un ingrediente chiave per costruire società cooperative e civili in grado di elevarsi al disopra del familismo amorale.

Il lato negativo, però, è che le persone coscienziose sono a tal punto preoccupate della loro reputazione da diventare conformiste. Da quando la sinistra politica e culturale ha conquistato l’egemonia, gran parte dei suoi successi è stata dovuta al fatto che essa ha dominato il discorso morale e intellettuale sulle questioni della razza e dell’etnicità. La cultura della critica è diventata la visione comune e un pilastro della classe dirigente intellettuale. Le persone che sono in disaccordo con l’opinione progressista dominante devono affrontare una disastrosa perdita di reputazione, nulla di meno che un’agonia psicologica.

Vi sono molti esempi che mostrano il potere di questo meccanismo. Più di 75 anni fa Anne Morrow Lindbergh divenne una delle prime vittime della versione moderna della correttezza politica quando suo marito, Charles Lindbergh, affermò che gli ebrei erano una delle forze che cercavano di spingere gli Stati Uniti ad entrare nella Seconda Guerra Mondiale. Poco tempo dopo l’esternazione del marito, ella scrisse:

 

La tempesta comincia a farsi forte […] Sento che questo è l’inizio di una battaglia, di una solitudine e di un isolamento che non abbiamo mai conosciuto prima d’ora […] Perché io sono molto più attaccata alle cose mondane di quanto lo sia lui, mi dispiace maggiormente dover rinunciare agli amici, alla popolarità, ecc., mi preoccupano molto di più le critiche, la freddezza e la solitudine […] Sarò ancora capace uscire a fare compere a New York? Sono sempre stata guardata, ma ora, essere guardata con odio, dover camminare tra file d’odio!120

 

Ciò che colpisce e che forse è controintuitivo è che il senso di colpa e la vergogna rimanevano presenti anche se la donna era completamente certa, a livello intellettuale (esplicito), che le affermazioni di suo marito si basavano su prove valide, che erano moralmente giustificabili e che egli era un uomo integro.

 

Non posso spiegare con la logica la rivolta dei miei sentimenti. E’ la mia mancanza di coraggio di fronte al problema? E’ la mia incapacità di vedere e di comprendere a fondo le cose? O è la mia intuizione che si fonda su qualcosa di profondo e di valido? Non lo so, e sono soltanto molto turbata, cosa che lo sconvolge. Ho la più grande fede in lui come persona, nella sua integrità, nel suo coraggio, nella sua sostanziale bontà, onestà e gentilezza, nella sua vera e propria nobiltà […] Come spiegare allora il mio profondo sentimento di dolore per ciò che sta facendo? Se quanto ha detto è la verità (e sono incline a pensare che lo sia) perché era sbagliato dirlo?

 

La sua reazione è involontaria e irrazionale, al di là delle capacità d’analisi della logica. Charles Lindbergh aveva perfettamente ragione in quanto diceva, ma una comprensione razionale della correttezza della sua analisi non poteva ridurre il trauma psicologico di sua moglie, che doveva affrontare gli sguardi ostili degli altri. Il trauma è il risultato del potere che il sistema della coscienziosità ha di provocare una perdita di reputazione per chi violi il tabù culturale che grava sulla discussione dell’influenza ebraica.

Ho avuto esperienze simili, per quanto in scala assai più ridotta, concretizzatesi in attacchi contro la mia persona presso l’università dove lavoravo121. Come nel caso di Anne Morrow Lindbergh, che era preoccupata al pensiero di andare a far compere a New York, la cosa più difficile per me è stata gestire la perdita di reputazione nel mio ambiente quotidiano all’università. Il problema maggiore è che essere un accademico non conformista in materia di razza e di etnicità ha implicazioni morali enormi. Se qualcuno dissente sulla teoria macroeconomica dominante o sulle principali influenze del romanticismo francese del secolo XIX può essere considerato un po’ eccentrico o, forse, non troppo sveglio. Me è improbabile che venga travolto da in profluvio di indignazione morale.

Dato che gli accademici tendono ad essere dei tipi coscienziosi, non sorprende che essi, in generale, siano restii a fare o a dire cose che potrebbero danneggiare la loro reputazione. Ciò è per lo meno ironico, perché contrasta con l’immagine degli accademici quali intrepidi ricercatori della verità. Diversamente dai politici, che devono continuamente ingraziarsi il pubblico per essere rieletti, e a differenza delle figure del mondo dei media, che non hanno un lavoro garantito, gli accademici di ruolo non hanno scuse per non essere disponibili a sopportare etichette come “antisemita” o “razzista” allo scopo di perseguire la loro ricerca della verità. Fa parte del loro lavoro (e costituisce, in primo luogo, gran parte della motivazione soggiacente al loro ruolo retribuito) il fatto che si suppone siano disposti ad assumere posizioni impopolari: a continuare sulla loro strada facendo uso di tutto il potere del loro intelletto e di tutta la loro competenza per mappare nuovi territori che pongono una sfida alla saggezza popolare.

Ma questa immagine del mondo accademico, semplicemente, non poggia sulla realtà. Si consideri, ad esempio, un articolo apparso quasi due mesi dopo la pubblicazione del famoso saggio di John Mearsheimer e Stephen Walt sulla lobby israeliana122 e opportunamente intitolato Un testo che scotta mette il bavaglio al mondo accademico123:

 

Piuttosto che accettare in dibattito irritante, la maggior parte dei professori non solo ha acconsentito a dissentire, ma ha anche sostenuto pubblicamente che non vi fosse alcun dissenso. A Harvard e in altre scuole il testo di Mearsheimer e Walt si è semplicemente dimostrato troppo scottante per essere maneggiato ed ha rivelato un mondo accademico profondamente diviso e tuttavia deplorevolmente timoroso di impegnarsi su una delle più scottanti questioni politiche del nostro tempo. Chiamatela guerra fredda accademica: fazioni diffidenti rese timorose dalla prospettiva di una sicura mutua distruzione delle carriere.

 

I professori hanno rifiutato di prendere posizione sul testo, sia in favore che contro. Come ha osservato un docente della Ivy League: «Un gran numero [dei miei colleghi] era più preoccupato delle ripercussioni sulla politica accademica e di come avrebbe potuto sganciarsene». Come nel 1941, discuter dell’influenza ebraica (sia pure in modo spassionato e basato sui fatti) comporta costi pesanti.

Purtroppo vi sono attualmente prove consistenti che gli accademici, in generale, cerchino prudentemente di evitare le conseguenze di qualsiasi cosa possa provocare ostilità, come pure di darle rilievo. Infatti alcuni ricercatori stanno puntando l’indice contro questo fatto chiedendosi se il ruolo retribuito dei docenti sia giustificato. Una recente indagine sugli atteggiamenti di 1004 professori delle università d’élite illustra piuttosto chiaramente la cosa. Indipendentemente dal loro grado, i professori giudicano i colleghi

 

riluttanti ad impegnarsi in attività che vadano contro i desideri dei loro colleghi. Anche i docenti di ruolo credevano [che gli altri professori di ruolo] facessero appello alla libertà accademica soltanto “qualche volta”, piuttosto che “di solito” o “sempre”, quantunque più spesso dei loro colleghi di grado inferiore […] La loro inclinazione ad autolimitarsi può essere dovuta ad un desiderio di armonia e/o rispetto per le critiche dei colleghi, le cui opinioni stimano. Tuttavia i dati non recano sostegno all’immagine che ritrae il Professor Americanus come un ribelle senza freni124.

 

Vista in questo contesto, la reazione al testo di Mearsheimer e Walt acquista sicuramente un senso. Come ha osservato un professore, «la gente potrebbe avere qualcosa da dire se si desse a tutti un buono di uscita gratuito dalla prigione, promettendo che poi tutti tornerebbero amici»125. Questo intenso desiderio di venire accettati ed apprezzati dai colleghi è certamente comprensibile. Impegnarsi per ottenere una buona reputazione fa parte della nostra natura, specialmente per quelli tra noi che sono coscienziosi.

L’ostracismo e la condanna morale da parte di coloro che fanno parte del nostro ambiente sociale quotidiano provocano sensi di colpa. Si tratta di risposte automatiche risultanti, in ultima analisi, dall’importanza che riveste l’inserirsi in un gruppo, e che si sono sviluppate nel corso del nostro periodo evolutivo. Ciò è particolarmente vero per le culture individualiste dell’Occidente, dove possedere una buona reputazione al di là dei confini del gruppo di parentela costituisce la base della fiducia e della società civile, mentre una cattiva reputazione condurrebbe all’ostracismo e alla morte evolutiva.

Inoltre, in base alla mia esperienza appare interessante il fatto che le decisioni dei dipartimenti universitari vengono prese per consenso comune, come avviene tipicamente in gruppi egualitari come la cultura scandinava, di cui si parlerà nel seguito. Chi va contro l’opinione comune rischia perciò l’ostracismo.

Come mostrano questi esempi, essere in grado di difendere razionalmente le idee e gli atteggiamenti che provocano una condanna morale non è sufficiente per disinnescare le complesse emozioni negative causate da questa forma di ostracismo. Si potrebbe pensare che così come le aree di controllo prefrontali possono inibire gli impulsi etnocentrici che hanno origine nella struttura subcorticale, noi potremmo essere in grado di inibire questi primitivi sensi di colpa. Dopo tutto, i sensi di colpa hanno origine, in ultima analisi, da atteggiamenti assolutamente normali di identità e di interesse etnico che sono stati delegittimati come risultato del definitivo fallimento del periodo della difesa etnica di cui si è parlato nel capitolo 6, fallimento che si è tradotto nell’instaurazione della cultura della critica in America e in tutto l’Occidente. Potrebbe avere un effetto terapeutico comprendere che molte delle persone che hanno creato questa cultura hanno conservato un forte senso della propria identità e dei propri interessi etnici. E potrebbe aiutare a placare i sensi di colpa comprendere che questa cultura è oggi sostenuta da persone alla ricerca di vantaggi materiali e di approvazione psicologica a scapito dei loro stessi legittimi interessi a lungo termine. Stante la forte influenza ebraica nell’instaurazione di questa cultura126, i sensi di colpa non sono altro che il risultato di uno stato di conflitto etnico che si compie sul piano dell’ideologia e della cultura invece che sui campi di battaglia.

Liberarsi dalla colpa e dalla vergogna, comunque, non è certo un processo facile. Per noi bianchi la psicoterapia incomincia con una comprensione esplicita di ciò che ci permette di agire nel nostro interesse, anche se non riusciamo a controllare del tutto i sentimenti negativi che tale agire genera.

Il teorico evoluzionista Robert Trivers ha proposto che l’emozione della colpa è un segnale inviato al gruppo che la persona cambierà atteggiamento e che in futuro si comporterà secondo le norme del gruppo. La vergogna, d’altro canto, funziona come un modo di manifestare sottomissione nei confronti di individui posti più in alto nella scala gerarchica del dominio127. Da questo punto di vista una persona incapace di provare vergogna o senso di colpa anche nel caso di palesi trasgressioni è, letteralmente, sociopatica, qualcuno cioè che non desidera conformarsi alle norme del gruppo. Come osservato in precedenza, i sociopatici si collocano all’estremo inferiore della scala della coscienziosità, e vi furono senza dubbio forti pressioni selettive contro gli individui sociopatici all’interno dei piccoli gruppi nei quali ci siamo evoluti, specialmente tra le popolazioni individualiste dell’Occidente; come si è visto, i bianchi mostrano in effetti livelli di coscienziosità più elevati rispetto agli altri gruppi, con l’eccezione degli asiatici orientali. Gli individui collaborativi e con una reputazione eccellente hanno avuto la meglio.

 

La dissonanza cognitiva come forza di inerzia psicologica.

Da quando la sinistra ha stabilito la propria egemonia culturale in tutto l’Occidente, le persone sono state sostanzialmente educate dalla società a vedere il mondo attraverso le lente progressista, una visione del mondo cioè nella quale i bianchi, e specialmente i maschi bianchi, considerano se stessi come gli oppressori, nel passato, dell’intera gamma dei gruppi identitari che formano la coalizione dei danneggiati: negri, nativi americani, latinos, ebrei, donne, non conformisti in materia sessuale, ecc. Una volta stabilitasi, questa forma mentis fatta di credenze progressiste è difficile da cambiare.

La ricerca sulla dissonanza cognitiva ha mostrato che le persone con forti credenze, specialmente quelle legate alla loro identità personale, spesso non le cambiano, quand’anche siano messe di fronte a prove contrarie128. Fondamentalmente, il cervello vuole evitare il conflitto delle idee e spesso utilizza un ragionamento illogico e altri meccanismi per conservare un senso di comfort psicologico. Ad esempio, quando vengono messi di fronte a prove contrarie (come ad esempio i dati che mostrano le differenze razziali di origine genetica per quanto riguarda l’intelligenza) gli individui possono ignorare tali dati allo scopo di conservare un’immagine di sé come persone moralmente rette. Inoltre, le persone tendono a dimenticare quei fatti che sono in contrasto con le loro credenze e ad accettare argomentazioni deboli che sono in accordo con la loro visione del mondo, respingendo le argomentazioni più forti e i dati che la contraddicono. Possono focalizzare la loro attenzione non sulla prova in sé, ma sulla persona che l’adduce, mettendo in dubbio le sue motivazioni e accettando argomentazioni di colpevolezza per associazione128a. Appare chiaro come la mente sia concepita per compiere grandi sforzi pur di evitare la sofferenza psicologica129.

Questo fatto pone una sfida a chi voglia indurre i bianchi progressisti e la maggior parte di quelli  conservatori ad accettare idee come quelle che i bianchi hanno legittimi interessi in quanto gruppo, che la razza è una realtà concreta, che l’immigrazione di non-bianchi rappresenta sul lungo periodo un disastro per i bianchi, ecc.130.

Ciò è particolarmente vero stante il meccanismo, esaminato in precedenza, che promuove l’inerzia all’interno della cultura imposta dalla sinistra. La non conformità comporta dei costi che possono essere evitati respingendo le informazioni contraddittorie. E dato il controllo che i media maggioritari esercitano sulle informazioni presentate al pubblico riguardo alla razza, ecc., le persone possono facilmente evitare quelle che confliggono con la loro visione del mondo. Ciò spiega perché aziende della comunicazione come YouTube, Facebook e Twitter rimuovono tale genere di informazioni da internet o per lo meno ne limitano la diffusione. E mostra quanto sia importante creare una cultura esplicita nella quale l’identità e gli interessi dei bianchi siano legittimi.

 

Meccanismi psicologici per un rinascimento bianco.

 

In generale, gli individualisti sono meno etnocentrici degli altri, ma ciò non implica che siano incapaci di etnocentrismo. Ha senso a priori supporre che la selezione naturale abbia agito in modo da rendere gli esseri umani (anche i bianchi individualisti) almeno in una certa misura etnocentrici. Frank Salter presenta un forte argomento a favore dell’adattatività dell’etnocentrismo131. I differenti gruppi etnici umani e le diverse razze sono stati separati tra loro per migliaia di anni e nel corso di questo tempo hanno sviluppato alcuni tratti genetici caratteristici. Queste tratti peculiari costituiscono un deposito di interesse genetico. In altre parole, le persone hanno un interesse nel loro gruppo genetico allo stesso modo in cui i genitori hanno un interesse genetico nei loro figli.

Prendendosi cura dei figli, i genitori si assicurano che i loro particolari geni vengano trasmessi alla prossima generazione. Difendendo i loro interessi etnici, le persone fanno la stessa cosa, assicurandosi che l’unicità genetica del loro gruppo etnico venga trasmessa alle generazioni future. Quando due genitori appartenenti ad un particolare gruppo etnico hanno successo nell’allevare i propri figli, anche il loro gruppo etnico ne beneficia, perché l’unicità genetica di quel gruppo viene perpetuata in quanto parte dell’eredità genetica dei figli. Inoltre, quando un gruppo etnico ha successo nel difendere i propri interessi, anche i singoli membri di quel gruppo ne traggono beneficio, perché la peculiarità genetica che essi condividono con gli altri membri del gruppo viene trasmessa. Ciò si verifica anche per gli individui che non hanno figli: una persona ha successo sul piano genetico quando il suo gruppo etnico, nella sua interezza, prospera.

Anche ad uno sguardo superficiale, la documentazione storica mostra che il conflitto tra gruppi tribali biologicamente collegati è stato comune nel corso della storia. La difesa collaborativa presso i popoli tribali è un fatto universale e antico, mirante ad incrementare l’adattamento genetico di coloro che agivano per promuovere gli interessi del loro gruppo. In simili circostanze sarebbe stato strano, in effetti, se la selezione naturale non avesse modellato la mente umana predisponendola all’etnocentrismo. Certamente, questo fatto non ci dice quali meccanismi psicologici si siano effettivamente evoluti per promuovere l’etnocentrismo o come tali meccanismi possano essere controllati da meccanismi inibitori collocati nella corteccia prefrontale. Per stabilire ciò dobbiamo rivolgersi alla ricerca empirica.

Dall’esame della letteratura che ho compiuto, ho ricavato la conclusione che esistano dei meccanismi universali che soggiacciono all’etnocentrismo132:

 

  • Meccanismi di somiglianza genetica: le persone si raggruppano di preferenza con altre persone geneticamente simili. Gli amici, i coniugi e gli altri individui con i quali intessiamo alleanze sono più simili a noi delle persone scelte a caso; a parità di altre cose, ciò accresce i vantaggi di tali relazioni e riduce i rischi133. Questa è la spiegazione più probabile dell’identità bianca implicita.

 

  • Come osservato in precedenza, vi sono buone prove del fatto che i processi dell’identità sociale siano un adattamento biologico importante ai fini della difesa del gruppo. Ma poiché non corrispondono in generale a differenze genetiche tra i gruppi, non sono veramente utili alla difesa etnica, a meno che i gruppi non siano già formati su base etnica, come nelle società tribali tradizionali.

 

  • I gruppi composti da tifosi sportivi e simili possono innescare processi di identità sociale, ma non producono le profonde emozioni che sorgono nei gruppi etnici, religiosi e patriottici. Non è affatto inconsueto che delle persone compiano l’estremo sacrificio a vantaggio di questi gruppi. La migliore spiegazione di ciò è che gli esseri umani hanno una tendenza naturale a suddividersi in gruppi interni e gruppi esterni sulla base di queste categorie [etnia, religione, patria, n. d. t.], per cui tendono ad avere legami più forti con gruppi del genere piuttosto che, ad esempio, col loro club filatelico. Razza ed etnicità hanno tutte le caratteristiche di un modulo sviluppatosi per via evolutiva. Ad esempio, l’elaborazione delle differenze razziali ed etniche avviene nel modo rapido, inconscio e automatico134 che è caratteristico del processo implicito ed è un aspetto distintivo dei moduli evolutivi.

 

In ogni caso, qualunque sia la forza dei meccanismi che stanno alla base all’etnocentrismo, poste le tendenze dei bianchi all’individualismo nel contesto dell’attuale clima culturale dell’Occidente che denigra l’etnocentrismo bianco, tali meccanismi si sono fino ad ora rivelati insufficienti a sostenere una difesa etnica dei bianchi. Tuttavia, la cultura attuale contiene anche degli aspetti che di fatto possono rafforzare l’etnocentrismo bianco.

 

La consapevolezza del rischio di diventare una minoranza alimenta l’etnocentrismo bianco.

Quanto precede ha esaminato i motivi per cui il raggiungimento di una diffusa accettazione, da parte dei bianchi, di una cultura esplicita della propria identità e dei propri interessi sia un percorso in salita. Tuttavia esistono anche meccanismi che potrebbero portare ad una crescita del senso di identità dei bianchi negli anni a venire. La ragione fondamentale sta nella trasformazione demografica risultante dalla massiccia immigrazione di non-bianchi all’interno di paesi che erano interamente bianchi o che, come gli Stati Uniti (dove i bianchi erano il 90% nel 1960) avevano una maggioranza bianca politicamente dominante. Questa trasformazione, nella quale è evidente come il potere politico dei bianchi stia declinando man mano che essi si avviano a diventare una minoranza, può di per sé innescare dei meccanismi difensivi di identità bianca implicita e dei comportamenti come la fuga dei bianchi di cui si è parlato in precedenza.

Gli individualisti sono meno portati, per natura, ad essere etnocentrici, e la sinistra ha creato una cultura che spinge i bianchi ad inibire le loro manifestazioni di etnocentrismo, incoraggiando al contempo quelle dei non-bianchi. Poiché i media sono dominati dalla sinistra e perfino quelli conservatori sono terrorizzati dall’idea di apparire come i difensori degli interessi dei bianchi, i messaggi espliciti che possano incoraggiare i bianchi a preoccuparsi e a temere un futuro nel quale saranno una minoranza sono rari. In effetti i media menzionano raramente (se mai lo fanno) il fatto che i bianchi sono ben avviati sulla strada che li porterà a diventare una minoranza. E questo per una buona ragione: i bianchi degli Stati Uniti e del Canada che vengano messi di fronte ad esplicite previsioni riguardanti un’epoca nella quale essi non saranno più in maggioranza tendono a sentirsi irritati e impauriti. Ed è anche più probabile che si identifichino come bianchi e che siano solidali con gli altri bianchi135.

In altri termini, se ho evidenziato la capacità che i centri cerebrali superiori hanno di inibire l’etnocentrismo, i messaggi espliciti che segnalano come il proprio gruppo etnico sia minacciato hanno invece il potere di innescare l’etnocentrismo. Ciò riveste una particolare importanza per il fatto che molti bianchi vivono lontani dalle aree che stanno subendo il mutamento demografico. La loro vita quotidiana, che si svolge in un ambiente sostanzialmente bianco, non è cambiata, mentre centri come Los Angeles, Sydney, Toronto e Londra sono cambiati al di là di ogni immaginazione rispetto a com’erano 50 anni fa. Una conclusione ovvia è che gli attivisti bianchi debbano fare appello ai centri cerebrali superiori delle persone bianche tramite messaggi espliciti che mettano in evidenza tali trasformazioni.

 

Le espressioni di odio nei confronti dei bianchi promuovono l’etnocentrismo bianco.

Un’altra forza che può rendere i bianchi più disposti a raccogliersi in gruppi coesi è la stridente retorica antibianca che è attualmente diffusa nei media d’élite e nella cultura accademica di tutto l’Occidente. Gli esempi sono molti. E’ attualmente cosa comune, per la sinistra, concettualizzare la storia americana come nulla più che l’espropriazione degli indiani d’America e la riduzione in schiavitù degli africani, le leggi Jim Crow del Sud135a, ecc., col risultato che la storia americana viene decostruita in una prospettiva anti-bianca; il testo di Howard Zinn, A People’s History of the United States, 1492-Present ne rappresenta un classico esempio136, 136a. I personaggi storici americani vengono delegittimati, le loro statue rimosse, ecc.

Recentemente il New York Times ha assoldato Sarah Jeong, un’asiatica con un passato di messaggi su Tweeter diretti contro i bianchi; la collaboratrice della medesima testata, Michelle Goldberg, si è rallegrata per il fatto che i bianchi stiano per essere sostituiti [da altre razze. n. d. t.] in Georgia; un professore di lettere classiche di Princeton ha proposto di impedire ai maschi bianchi di pubblicare lavori nel suo campo di studi; Don Lemon, della CNN, ha affermato che i maschi bianchi costituiscono la maggior minaccia terroristica per l’America137.

Appare evidente come, nell’America post-Obama, lo Zeitgeist anti-bianco sia uscito dal vaso di Pandora… A causa di un’immigrazione senza precedenti e di esperimenti progressisti di natura fatalista, non c’è paese nel quale le correnti culturali anti-bianche non stiano crescendo. Non si immaginava che le cose andassero in questo modo: l’atteggiamento debole, il trasferimento della ricchezza, il trattamento preferenziale, l’apertura dei confini e la sistemazione degli immigrati avrebbero dovuto produrre sentimenti di accoglienza, esiti di eguaglianza e cecità razziale…

Con gli anni 1990 l’intera galassia della moralità cristiana e della responsabilità civile nello spazio pubblico era stata secolarizzata e compressa in un unico mandato. Alla generazione dei millennials137a è stato insegnato fin dall’infanzia che il più grande bene morale consisteva nel sostenere l’autostima dei nonbianchi. In epoche precedenti virtù come il coraggio, la modestia, la cavalleria, il valore e la fede erano ciò tramite cui i giovani adulti venivano incoraggiati a distinguersi, ma per i millennials ciò che conta è

 

la capacità e la disponibilità a muoversi in quel mutevole campo minato che consiste nel sapere quando e come mettersi al servizio dell’autostima dei non-bianchi.

Nel corso degli untimi trent’anni i conservatori erano tutti presi dalla costruzione di una cultura antisocialista, mentre la sinistra si impegnava a spingere il proprio cavallo di Troia e a scatenare una pestilenza di un tipo completamente diverso. Forse, nel loro intimo, molti conservatori sapevano che la maledizione anti-bianca sarebbe emersa, ma erano troppo codardi per affrontarla138.

 

Troppo codardi, in effetti, più o meno come il professore che non intendeva discutere l’influenza ebraica sulla politica mediorientale.

Quanto segue prenderà in esame diversi meccanismi di origine evolutiva che agiscono a livello implicito e inconscio e che potrebbero agire come forza compensatrice rispetto alla cultura della sinistra.

 

I processi dell’identità sociale.

All’inizio di questo capitolo ho esaminato le ricerche sui processi dell’identità sociale che mostrano come l’identificazione con il proprio gruppo aumenti in presenza di una competizione tra gruppi, aspetto che è parte dell’argomento che spiega perché i processi dell’identità sociale siano un tratto universale prodotto per via evolutiva. Poiché la sinistra ha adottato un programma che mira ad incoraggiare le politiche identitarie delle sue componenti razziali, religiose e sessualmente non conformi, ne risulta che i confini tra i gruppi sono divenuti più evidenti, innescando così meccanismi di pregiudizio positivo nei confronti del gruppo di appartenenza e di pregiudizio negativo nei confronti dei gruppi estranei.

Come osservato in precedenza, la consapevolezza del rischio di divenire una minoranza e l’ampia diffusione della retorica anti-bianca sono fatti che vengono elaborati dai centri cerebrali superiori. Il risultato è che nell’Occidente multiculturale i bianchi si sentono sempre più minacciati. Questa sensazione di essere esposti a una minaccia alimenta la nostra psicologia dell’identità sociale di origine evolutiva. E’ perciò prevedibile che i bianchi, in America come nel resto dell’Occidente, si raccoglieranno in un gruppo coeso sulla base di questi processi.

I bianchi statunitensi si stanno radunando attorno al Partito Repubblicano, mentre le identità e le associazioni implicitamente bianche continuano ad essere diffuse. Tuttavia rimangono poco diffuse le affermazioni esplicite di identità bianca, testimonianza dell’individualismo e della relativa mancanza di etnocentrismo dei bianchi, verosimilmente convergenti con gli effetti dei media, del sistema educativo, delle minacce di ostracismo, ecc. Secondo un sondaggio compiuto nel 2019 dal Pew Research Center, i bianchi come gruppo si collocano di gran lunga all’ultimo posto tra coloro che affermano che la razza sia estremamente importante (5%) o molto importante (10%) per la loro identità, con i bianchi di età inferiore ai trent’anni che si trovano  al livello più basso in assoluto a tale riguardo139. Comunque, tra il 2017 e il 2019 sono aumentati i sostenitori del Partito Repubblicano (la cui ampia maggioranza è costituita da bianchi) che si dichiarano d’accordo sul fatto che «se l’America è troppo aperta alle altre popolazioni del mondo rischiamo di perdere la nostra identità nazionale» (dal 48% al 57%) tra cui gli uomini, le persone anziane e quelle meno istruite sono coloro che maggiormente esprimono tale atteggiamento.

Ancor più sorprendente è stata l’improvvisa impennata di tali sentimenti: «a partire da settembre [2018] la percentuale di repubblicani che affermano che l’America rischierebbe di perdere la propria identità qualora si aprisse troppo è cresciuta di 13 punti percentuali, mentre quella di coloro che vedono l’apertura del paese agli altri come un aspetto essenziale è scesa di 10 punti»140. Almeno una parte di questo fenomeno si spiega probabilmente con la retorica del presidente Trump sull’immigrazione, che ha posto tale questione al centro e in primo piano nella politica americana e ha provocato una valanga di ingiurie da parte della sinistra.

Questi risultati rappresentano certamente delle stime conservative, dato che i bianchi sono restii a manifestare, a chi effettua un sondaggio, opinioni che sono messe al bando dalle élite dei media, della cultura politica e del sistema educativo.

E’ perciò interessante il fatto che altri dati del medesimo sondaggio indichino che una consistente percentuale di bianchi americani (61%) ha una percezione del destino che l’accomuna alle altre popolazioni bianche, e che tale atteggiamento sia di fatto più comune tra i giovani adulti (dell’età di 30 anni o inferiore) che tra gli adulti più anziani (età superiore ai 50 anni) come pure tra i bianchi che hanno un’istruzione più elevata141. Il senso di un destino comune è una misura indiretta dell’identità bianca che è probabilmente più accurata rispetto alle domande dirette concernenti tale identità o il desiderio di una maggiore diversità, dato che questo sentimento non è stato esplicitamente condannato dal sistema mediatico e da quello educativo. Il senso di un destino condiviso è un forte indicatore dell’identità di gruppo; nella sua manifestazione estrema esso è stato messo in relazione col martirio e con altre forme di comportamento autosacrificale a vantaggio del gruppo142. Come si dice abbia affermato Benjamin Franklin al momento della firma della Dichiarazione d’Indipendenza, «dobbiamo in effetti lottare tutti uniti, o saremo certamente appesi uno per uno».

I capitoli 3-5 del mio libro La separazione e i suoi inconvenienti sviluppano l’argomento che la competizione tra gruppi sia stata al centro dei principali esempi storici di antisemitismo: lo sviluppo di un antisemitismo istituzionalizzato nell’impero romano del IV secolo, l’Inquisizione Iberica e il fenomeno dell’antisemitismo nazionalsocialista nel periodo 1933 – 1945 in Germania143. Il denominatore comune di questi fenomeni è che essi implicavano un forte senso di coesione di gruppo in contrapposizione al giudaismo, e io ritengo che ciascuno di essi possa essere studiato con profitto come una reazione al giudaismo inteso come strategia evolutiva di gruppo di elevato successo. In base alle ricerche sull’identità sociale esaminate in precedenza, ci si può aspettare che forti strategie di gruppo abbiano provocato strategie opposte che, sotto molti aspetti, hanno rispecchiato l’immagine dei gruppi ebraici che esse contrastavano: socializzazione in base all’identità di gruppo, punizione dei disertori, senso di superiorità del proprio gruppo e di inferiorità degli altri, senso di un destino comune.

Il significato di tutto ciò nel contesto attuale è che nella misura in cui i bianchi vedono il loro potere diminuire e osservano come nei mezzi di comunicazione maggioritari e nell’azione degli attivisti si manifesti in maniera crescente un odio verso di loro e verso la loro storia, essi si identificheranno sempre più come bianchi e formeranno un gruppo più coeso e opposto alle forze schierate contro di loro. Storicamente, questo fenomeno è spesso sfociato in violenti conflitti tra gruppi.

 

L’estremismo della cultura scandinava: egualitarismo, fiducia, conformismo e processi decisionali basati sul consenso.

 

Sembra opportuno concludere un capitolo dedicato alla psicologia delle comunità morali con un esame dell’estremismo della cultura politica scandinava. Nel capitolo 1 si è affermato che i Paesi Scandinavi si collocano ad un estremo del clinale genetico nordovest – sudest, con livelli più elevati di geni derivati dai CR settentrionali rispetto ad altre parti dell’Europa occidentale. Il capitolo 3 ha descritto queste culture di CR come caratterizzate da un individualismo egualitario, mentre il capitolo 4 ha descritto i modelli familiari scandinavi come modelli estremi nell’ambito dell’Europa occidentale.

Sebbene tutte le società di derivazione europea occidentale stiano subendo un’immigrazione non-bianca che ha raggiunto il livello di una sostituzione di popolazioni, vi sono pochi dubbi sul fatto che la Scandinavia, e specialmente la Svezia, si collochino in una posizione estrema quanto al favore con cui accolgono tale sostituzione dei loro popoli e delle loro culture. Come altrove in Occidente, un ruolo di primo piano in queste trasformazioni è stato giocato dagli attivisti ebrei e dalla proprietà ebraica dei mezzi di informazione144, ma gli scandinavi sembrano particolarmente favorevoli a tali trasformazioni. In effetti Noah Carl, analizzando i dati di un sondaggio dell’Unione Europea del 2015, ha trovato che gli scandinavi erano l’ultimo gruppo quanto ad etnocentrismo, misurando questo tramite parametri quali l’approvazione al fatto che i propri figli abbiano relazioni amorose con individui appartenenti ad altri gruppi etnici, con minoranze sessuali e con persone disabili145. I soggetti intervistati in Gran Bretagna e in Olanda erano anch’essi molto tolleranti, mentre i paesi dell’Europa orientale si collocavano all’estremo inferiore, dati coerenti col fatto che gli europei nordoccidentali sono i più tolleranti.

Le comunità morali della Scandinavia, basate sulla reputazione, sono state fortemente egualitarie. Le “leggi di Jante” scandinave sono paradigmatiche: 1. Non pensare di essere qualcosa; 2. Non pensare di valere quanto noi; 3. Non pensare di essere più intelligente di noi; 4. Non immaginare di essere migliore di noi; 5. Non pensare di saperne più di noi; 6. Non pensare di essere più grande di noi; 7. Non pensare di essere capace di qualcosa; 8. Non ridere di noi; 9. Non pensare che a qualcuno importi di te; 10. Non pensare di poterci insegnare qualcosa146. In breve, nessuno deve innalzarsi al disopra degli altri. Un simile egualitarismo è tipico dei gruppi di CR di tutto il mondo147 ed è antitetico rispetto all’ideale aristocratico degli IE.

Un egualitarismo estremo ha come conseguenza elevati livelli di conformismo e di ansietà sociale. Gli individui temono l’ostracismo sociale nel caso in cui violino le norme egualitarie e si distinguano rispetto alla massa, un fenomeno che ha avuto un ruolo primario nel creare un consenso pubblico favorevole all’immigrazione di massa e al multiculturalismo. Le decisioni vengono prese mediante consenso, il che implica che gli individui detestino distinguersi dal gruppo. In Svezia specialmente non esiste un pubblico dibattito sui costi e i benefici dell’immigrazione; gli scettici, generalmente, rimangono in silenzio, temendo l’emarginazione e la disapprovazione.

Riflettendo questo modello, la società scandinava contemporanea, in generale, ha una tradizione di redditi relativamente bassi e differenze sociali poco marcate, che include l’assenza del servaggio durante il periodo medievale (cfr. capitolo 4). Un recente studio antropologico sui CR ha rilevato che la diseguaglianza economica tra loro era simile a quella della moderna Danimarca148. Il capitolo 4 ha esaminato l’individualismo dei modelli familiari scandinavi, che comprendono rapporti relativamente egualitari tra i coniugi: un caso estremo anche nel contesto dell’Europa occidentale.

Le comunità morali basate sulla reputazione portano pertanto ad un pensiero di gruppo, nella misura in cui gli individui si fidano dell’onestà delle opinioni altrui e coloro che si discostano dalle norme del gruppo vengono emarginati. Un avvocato svedese, commentando un caso giudiziario in cui una persona innocente era stata dichiarata colpevole di un crimine, osservò come molte persone fossero state coinvolte nella decisione e tutte si fossero trovate d’accordo su quello che doveva poi rivelarsi un verdetto ingiusto:

 

Quando le medesime persone prendono parte a tutte o alla maggior parte [delle decisioni] viene a formarsi un pensiero di gruppo […] Una forte fiducia reciproca tra le persone è spesso descritta come una delle migliori risorse della Svezia, [ma] essa non può sostituire un approccio critico ad accuse gravi, anche quando si tratti di autoaccuse [cioè di una falsa confessione da parte dell’accusato]149.

 

Una forte fiducia sociale è in effetti una grande risorsa della Svezia e di altri paesi con una consistente popolazione nordica, fattore che porta a società basate sul merito individuale (un aspetto della reputazione) e a bassi livelli di corruzione. Tuttavia, come nell’esempio citato, essa può portare al formarsi di un pensiero di gruppo nella misura in cui gli individui che si distinguono o che dissentono in qualunque modo dalle norme del gruppo vengono ostracizzati; un aspetto, questo, delle leggi di Jante (o della sindrome dell’alto papavero in Nuova Zelanda, cfr. il capitolo 7). Non è solo l’eccellenza ad essere punita, ma ogni deviazione dalle norme del gruppo, inclusa quella rispetto alle opinioni condivise dai suoi membri.

I gruppi egualitari, dunque, prendono le decisioni tramite consenso e non dall’alto in basso, in modo autoritario. Una volta che sia stata presa una decisione in base al consenso, i dissenzienti vengono visti come soggetti ostinati che la ignorano deliberatamente e che di conseguenza finiscono per perdere il loro status all’interno del gruppo.

Forti tendenze egualitarie possono pertanto portare facilmente a potenti forme controllo sociale (formale o informale) sui comportamenti, concepite per garantire che gli individui non divergano da una mentalità di consenso, come si è visto a proposito delle culture di derivazione puritana che divennero dominanti in Inghilterra e ebbero una forte influenza sugli Stati Uniti (cfr. il capitolo 6). Pertanto, sebbene le culture scandinave siano state descritte come le più individualiste in termini di funzionamento familiare (capitolo 4) non sorprende che esse possano esercitare forti controlli sul comportamento individuale al fine di assicurare la conformità alle norme di una comunità morale.

Queste culture si caratterizzano dunque sia per l’egualitarismo che per l’imposizione delle norme sociali (concettualizzate in termini morali). La Svezia sembra rappresentare il caso limite di queste tendenze. Mentre il capitolo 3 ha esaminato l’egualitarismo svedese, qui vengono descritti i forti controlli sociali che hanno virtualmente messo al bando ogni discussione sugli aspetti negativi dell’immigrazione e del multiculturalismo, fenomeni che godono del sostegno dell’élite svedese.

La Svezia si è dichiarata “una superpotenza umanitaria” la cui ideologia comporta che nessun sacrificio compiuto dagli svedesi a vantaggio degli immigrati del Terzo Mondo possa considerarsi troppo grande. In base alla politica ufficiale gli svedesi devono fare sacrifici al fine di assicurare un’adeguata collocazione al continuo afflusso di immigrati, compresa la riconversione delle chiese ad uso abitativo (mentre al contempo vengono costruite moschee). Il governo acquista praticamente qualunque struttura stia in piedi per ricavarne alloggi per gli immigrati, e vi sono proposte di confisca delle abitazioni vuote per destinarle “ad un bene superiore”. Contemporaneamente, per quanto riguarda l’assegnazione degli alloggi gli svedesi hanno una priorità inferiore rispetto agli immigrati e migliaia di loro non riescono a trovare alloggio, situazione particolarmente difficile per i giovani, in particolare per quelli che intendono metter su famiglia. I personaggi ai vertici della politica dichiarano apertamente che la Svezia non appartiene agli svedesi, che questi e la loro cultura sono noiosi, ovvero che gli svedesi non hanno una cultura150.

Questo fenomeno rappresenta una violazione della generale osservazione secondo la quale le persone sono meno inclini a contribuire al bene comune (p. es. alloggi, cure mediche) di coloro che non hanno il loro stesso aspetto151 ed è un ulteriore indicatore di scarsissimo etnocentrismo. Le società europee che inaugurarono i programmi nazionali di assistenza sanitaria lo fecero quando erano razzialmente omogenee. Al di là della lunga tradizione di autonomia individuale che sta alla base dell’autopercezione degli americani, una probabile ragione per cui un’assistenza sanitaria generalizzata ha conosciuto uno sviluppo così lento negli Stati Uniti è che essi possiedono, storicamente, un’ampia popolazione negra cui si aggiunge, negli anni più recenti, lo tsunami multiculturale venuto dopo il 1968152.

Un aspetto critico del successo del multiculturalismo in Svezia è che gli svedesi hanno il terrore di violare il consenso morale che circonda l’immigrazione per timore di venire emarginati e di perdere il lavoro. Sono coinvolti in un pensiero di gruppo che pretende lealtà verso una comunità morale definita dai media e dalla cultura politica. In effetti, considerata la distanza genetica in gioco, questa è una forma estrema di ciò che gli evoluzionisti definiscono “punizione altruistica”, ossia la disponibilità a punire il proprio stesso popolo e sacrificarlo sull’altare di un’idea morale per paura di violare le norme della comunità morale (cfr. il capitolo 3, con ulteriori esempi nel capitolo 6).

La giornalista Ingrid Carlqvist ha commentato il silenzio imposto a qualunque critica al  multiculturalismo, in particolare nei mezzi di informazione legalmente riconosciuti. La violazione di questo silenzio provoca un’indignazione morale che mira a produrre isolamento e ostracismo; in altre parole, siamo in presenza di un pensiero di gruppo socialmente imposto per cui le persone sono terrorizzate all’idea di avere opinioni dissenzienti:

 

La situazione in Svezia è di gran lunga peggiore che in Danimarca [che, come osservato nel capitolo 1, è alquanto differente dalla Svezia sul piano genetico]. In Svezia nessuno parla dei problemi dell’immigrazione, della morte del progetto multiculturale o dell’islamizzazione / arabizzazione dell’Europa. Chi lo fa viene immediatamente definito razzista, islamofobo o nazista. Così sono stata definita io da quando ho fondato in Svezia la Free Press Society. Il mio nome è stato trascinato nel fango da grandi giornali come Sydsvenskan, Svenska Dagbladet e addirittura dal giornale del mio sindacato, The Journalist153.

 

Questo fenomeno non ha niente a che fare con il cristianesimo. La Svezia è il paese più secolarizzato del mondo. Le sue élite sono ostili al cristianesimo e più che felici di donare chiese cristiane ai nuovi arrivati non cristiani, ovvero di distruggerle per edificare alloggi in cui accoglierli. Si tratta, piuttosto, di una nuova religione secolare del consenso morale. Si comportano come i puritani e i quaccheri di cui si è parlato nei capitoli 6 e 7, ma senza connotazioni religiose. Certamente, assistiamo al medesimo fenomeno in tutto l’Occidente, per quanto in misura minore. Le società occidentali hanno avuto la caratteristica peculiare di basarsi su un’elevata fiducia e sulla reputazione, un corollario essenziale della psicologia dell’individualismo occidentale.

Per ironia forse, una delle principali osservazioni sul multiculturalismo (che abbiamo fatto in precedenza) è che esso erode la fiducia non soltanto verso i soggetti etnicamente estranei, ma anche nei confronti degli autoctoni. Possiamo dunque aspettarci che in futuro gli svedesi, come pure altri occidentali, divengano meno fiduciosi, ma per l’epoca in cui ciò avverrà gli svedesi saranno già stati trasformati in una società disomogenea, incline alla conflittualità interna e poco disponibile a contribuire al bene comune. Quando la fiducia sarà scomparsa, gli svedesi potranno forse essere più disposti a prendere posizione contro il consenso suicida.

Il pensiero di gruppo comporta l’incapacità di concentrarsi sulla situazione concreta invece di guardare a versioni idealizzate della realtà che rafforzano il consenso. Il pensiero di gruppo rende perciò difficile mettere in discussione i mantra multiculturali del tipo “la diversità è la nostra forza” prendendo in considerazione i dati della ricerca sugli effetti dell’importazione della diversità etnica e religiosa. Nel caso della Svezia la ricerca indica che, come già osservato per gli Stati Uniti, gli svedesi, soprattutto quelli con un elevato livello di istruzione e relativamente benestanti, sono i primi a fuggire la diversità, tipicamente senza cercare di metterne in discussione il valore.

 

Abbiamo trovato quello che si definisce un “punto critico” che si colloca introno a un valore del 3-4%, dice Emma Neuman, economista e ricercatrice presso la Linneuniversitet. Quando in una certa zona residenziale gli immigranti extraeuropei raggiungono quella quota percentuale, gli autoctoni svedesi cominciano a trasferirsi altrove […].

Questo fenomeno non riguarda gli immigrati in generale. Quelli che provengono dai paesi europei non provocano un effetto del genere, ciò accade solo con gli extraeuropei. La cosa ricorda il fenomeno della fuga dei bianchi negli Stati Uniti, dove i bianchi abbandonano le zone residenziali nelle quali affluiscono molti negri154.

 

Malgrado questo comportamento implicitamente nativista, è improbabile che questi svedesi manifestino pubblicamente un dissenso rispetto all’opinione dominante che proibisce ogni discussione circa gli effetti dell’importazione della diversità extraeuropea. La questione se gli svedesi traggano o meno un beneficio da una società sempre più segregata, culturalmente e razzialmente divisa e lacerata da conflitti non viene mai sollevata pubblicamente155.

 

Il caso speciale della Finlandia.

Ho osservato nel capitolo 1 come i finlandesi, particolarmente nella parte orientale del loro paese, siano geneticamente separati rispetto al resto dell’Europa occidentale. E’ interessante il fatto che la società finlandese mostri un fenomeno simile alle leggi di Jante di cui si è detto in precedenza. Edward Dutton osserva che un fattore che ha contribuito alla mancata condanna pubblica di una recente epidemia di violenze carnali compiute da immigrati è stato il desiderio di non distinguersi dalla massa. Come i loro vicini scandinavi, i finlandesi mostrano un elevato grado di conformismo e di ansietà sociale e si preoccupano di conservare una buona reputazione nella loro comunità morale156. Non vogliono dissentire dal consenso morale che definisce la loro comunità. Venire ostracizzati dalle piccole comunità della vita quotidiana nelle quali i finlandesi si sono evoluti voleva dire morte certa sul piano evolutivo.

Allo stesso tempo la società finlandese tradizionale, specialmente nella Finlandia orientale dove l’influenza genetica e culturale svedese è relativamente scarsa, non ha evidentemente costituito un esempio del sistema familiare europeo nordoccidentale di cui si è parlato nel capitolo 4157. La struttura familiare era patriarcale: i padri controllavano i figli e determinavano i matrimoni. «Il capofamiglia decideva quando suddividere la propria fattoria, quando affidarla a un figlio e quando ritirarsi». Sebbene potessero lasciare la fattoria di famiglia con una porzione di eredità uguale a quella dei fratelli, i figli maschi tendevano a rimanere in famiglia; il più anziano diventava il patriarca mentre le figlie andavano spose presso altre case. Nella Finlandia orientale, nella seconda metà del XVIII secolo, un buon 70% delle famiglie era di tipo esteso o multiplo, quota che saliva all’84-90% tra i contadini. Questo modello è notevolmente simile a quello osservato nella Francia meridionale e nell’Europa sudorientale e contrasta con quelli dell’Europa nordoccidentale, come si è visto nel capitolo 4. Fu soltanto nel XVIII secolo inoltrato che in Finlandia tale modello cominciò a cambiare, come risultato dell’influenza svedese mediata dall’opposizione della chiesa luterana ai clan e ai matrimoni tra consanguinei. La Svezia dominò la Finlandia fino al 1809, caratterizzandosi per un egualitarismo imposto socialmente, secondo il modello delle leggi di Jante.

Questo suggerisce che egualitarismo, ansietà sociale e conformismo si siano evoluti in Finlandia indipendentemente rispetto alle altre parti della Scandinavia, dove tali aspetti sono collegati ad un individualismo estremo nella struttura familiare.

 

Conclusione: l’importanza di modificare la cultura esplicita.

 

Gli evoluzionisti non sono stati adeguatamente sensibili all’enorme divario esistente tra esseri umani e animali, conseguenza dell’intelligenza generale e del sistema della coscienziosità propri degli umani. A un livello molto ampio, il sistema della coscienziosità permette al nostro comportamento di passare sotto il controllo della cultura circostante. Noi compiamo complesse valutazioni sul modo in cui il nostro comportamento e i nostri atteggiamenti si collegano alle gratificazioni e alle punizioni presenti nell’ambiente culturale che ci circonda e veniamo inondati da idee e ideologie che provengono dal mondo accademico e dai mezzi di informazione. Un aspetto importante per l’attuale contesto politico è che i potenziali dissidenti politici devono valutare i rischi che corrono la loro reputazione e il loro sostentamento nella società in cui vivono quotidianamente.

Ma le cose sono ancora più complicate. Coloro che creano i messaggi diffusi dai media maggioritari e dalla cultura accademica non devono necessariamente avere (e spesso non hanno) i medesimi interessi dei destinatari dei messaggi. Ad esempio, è un fatto normale che le immagini diffuse dai media abbiano effetti rilevanti sul comportamento delle persone, anche se queste ne sono spesso inconsapevoli. Queste immagini sono spesso studiate da pubblicitari che tentano consapevolmente di influenzare i destinatari del messaggio secondo fini funzionali agli interessi di chi lo emette e non a quelli del pubblico.

Più importante ancora, i messaggi dei media e la cultura accademica (entrambi dominati dalla sinistra antibianca) sono stati capaci di modellare il dibattito su questioni connesse all’identità e agli interessi dei bianchi. La cultura della critica è diventata la cultura esplicita dell’Occidente, ripetuta all’infinito dai messaggi dei media ma confezionata in maniera differente per persone di differente intelligenza e istruzione e per individui con interessi diversi e appartenenti a differenti subculture. Ai bianchi vengono continuamente presentati dei non-bianchi sofferenti quali candidati più adatti all’immigrazione e all’ottenimento dello status di rifugiato. I bianchi sono esposti a messaggi intesi a produrre in loro sensi di colpa per la storia dello schiavismo e dell’espropriazione dei nativi americani. Un tema di questo capitolo è che attraverso la programmazione delle aree superiori del cervello la cultura esplicita è in grado di controllare le tendenze etnocentriche implicite della popolazione bianca.

Per trovare una via d’uscita da questa palude, dunque, un fattore critico è la cultura esplicita, in particolare rendere legittimo un forte senso dell’identità e degli interessi di gruppo tra i bianchi. La cosa non sarà facile, ma io suggerisco che il primo passo sia di tipo psicologico: affermare esplicitamente, con orgoglio e sicurezza, l’identità e gli interessi dei bianchi e creare comunità nelle quali tali affermazioni siano considerate normali e naturali invece che motivi di ostracismo. Il fatto che tali affermazioni facciano appello alla nostra psicologia implicita è certamente una risorsa. E’ sempre più facile seguire una tendenza naturale che opporvisi. E in ogni caso, opporsi alle nostre naturali tendenze etnocentriche utilizzando il nostro caratteristico controllo inibitorio prefrontale contro i nostri stessi interessi etnici non è altro che un comportamento suicida.

Inoltre, gli imponenti mutamenti demografici che si sono verificati in tutto l’Occidente, parallelamente alla diffusione crescente di temi anti-bianchi da parte dei media maggioritari, sembrano aver reso i bianchi più consapevoli del fatto che i loro interessi non vengono rispettati dalla creazione, in tutto l’Occidente, di società multiculturali e multirazziali dove i bianchi assumono lo status di minoranza. Come si è detto in precedenza, questa retorica anti-bianca ha l’effetto di rendere i bianchi non soltanto più consapevoli della loro identità razziale, ma anche più disposti a coagularsi in una forza politica bianca.

Di conseguenza si sono avuti tentativi sempre più insistenti di intensificare la propaganda a sostegno dello status quo sulle questioni relativa alla razza e all’immigrazione e di mettere a tacere ogni libera discussione sulle stesse. A cominciare in particolare dal momento in cui Trump è stato eletto presidente, l’apparato culturale egemone della sinistra ha accelerato la propria attività e i giornali (The New York Times, Washington Post) e le reti televisive più importanti (CNN, MSNBC) sono diventati ossessivamente antiTrump. Dal momento in cui è crollata l’accusa [contro Trump, n. d. t.] di collusioni con la Russia, i media hanno spostato la loro attenzione, con maggiore enfasi, sul preteso razzismo di Trump.

Tuttavia quando la propaganda non è riuscita ad ottenere l’effetto desiderato di manipolare la nostra psicologia (circostanza che sembra essere sempre più frequente) il sistema ha fatto ricorso alla forza. La repressione delle esternazioni di chi non è d’accordo con la linea ufficiale in materia di razza è divenuta un fatto comune. Queste persone vengono tenute lontane dai campus universitari e sono messe a tacere dalle urla di chi, spesso, provoca tumulti158. Le aziende che gestiscono i social media hanno chiuso gli account dei sostenitori dichiarati della causa dei bianchi, come Jared Taylor, praticando lo shadow banning158a e limitando il numero degli utenti che possono accedere ai loro messaggi. Ai siti internet associati alla Dissident Right [Destra Dissidente, n. d. t.] sono stati negati servizi finanziari da parte della Pay Pal e di società che gestiscono le carte di credito.

Come si è osservato nel capitolo 7, esiste anche una consistente letteratura accademica prodotta da professori di diritto legati alla sinistra che sostanzialmente giustifica l’abrogazione del Primo Emendamento nelle questioni riguardanti la razza159, 159a. Se Hillary Clinton fosse stata eletta presidente e avesse nominato uno o due giudici della Corte Suprema, il Primo Emendamento sarebbe stato demolito. Il giudice Elena Kagan ha già dimostrato la sua volontà di imbrigliare il Primo Emendamento per quanto riguarda il discorso sul tema della diversità.

E recentemente l’American Civil Liberties Union [ACLU], che a lungo ha difeso con convinzione la libertà di parola e che spesso è stata considerata come una organizzazione de facto ebraica160, ha mutato la propria politica per combattere le idee associate alla Destra Dissidente:

 

Un recente promemoria interno della ACLU concernente le «linee guida sulla scelta dei casi» afferma esplicitamente che i casi che l’organizzazione accetta di difendere possono essere influenzati dalla «misura in cui il discorso può servire a promuovere gli obiettivi dei suprematisti bianchi o di altri le cui idee siano contrarie ai nostri valori […] Fattori come l’effetto potenziale del discorso sulle “comunità marginali” ed anche sulla “credibilità dell’ACLU” possono essere tali da impedire di accogliere il caso»161.

 

Storicamente i militanti di sinistra hanno sostenuto la libertà di parola, quando non avevano il potere che hanno oggi. Per esempio negli anni 1950, nell’era di McCarthy, la sinistra (già ben radicata nei media e nelle università d’élite) era soprattutto impegnata a proteggere i professori comunisti e altri dissidenti (molti dei quali erano ebrei) che venivano presi di mira dai comitati del Congresso. Essendo la loro visione politica soffocata dalle restrizioni sul comunismo, la loro risposta fu quella di creare una cultura nella quale la libertà di parola fosse considerata sacrosanta. La commedia Inherit the Wind [Ereditare il vento, n. d. t.] di Lawrence Schwartz e Robert Edwin Lee, fu scritta in opposizione al maccartismo162. Un altro esempio famoso di anti-maccartismo degli anni 1950 è The Crucible [Il crogiuolo, n. d. t.] di Arthur Miller, che implicitamente condannava la Commissione Congressuale per le Attività Antiamericane paragonando le sue audizioni sulle infiltrazioni comuniste ai processi alle streghe di Salem nel Massachusetts puritano.

Comunque, la conquista dell’egemonia culturale da parte della sinistra ha coinciso con il potere di organizzazioni come il Southern Poverty Law Center (SPLC, un’altra organizzazione de facto ebraica163) e l’Anti-Defamation League, alle quali non importa nulla libertà di parola e che si sono specializzate nel far ostracizzare e licenziare dal posto di lavoro le persone sulla base di reati di pensiero. Questa trasformazione mostra un evidente aspetto etnico ebraico164. Mentre scorrono a fiumi le lacrime per gli sceneggiatori di Hollywood proscritti durante il periodo del fervore anticomunista degli anni 1950 e da allora elevati agli altari della cultura165, non è il caso di aspettarsi che la nostra nuova élite condanni la caccia alle streghe contro la Destra Dissidente. Né bisogna aspettarsi, in tempi brevi, di vedere a Broadway uno spettacolo di successo basato su un’allegoria in cui l’SPLC venga implicitamente condannato per il modo in cui perseguita i portavoce del realismo razziale e degli interessi dei bianchi.

La lezione che se ne trae è che la sinistra non rinuncerà alla sua egemonia culturale senza lottare e che agirà in maniera del tutto priva di scrupoli nel suo tentativo di rimanere al potere. Il potere della sinistra risiede nella sua abilità di operare manipolazioni psicologiche occupando una posizione dominante sul piano morale e intellettuale nei media e nelle università; risiede nella sua abilità di creare incentivi e disincentivi nell’ambito del lavoro e di importare un nuovo elettorato orientato a sinistra. Se tutto ciò dovesse fallire, potrà essere impiegata la forza, e lo sarà.


Note.

 

  • GEOFFREY MILLER, The Mating Mind: How Sexual Choice Shaped the Evolution of Human Nature. New York, Anchor Books, rist. 2001: 332.
  • Jonathan HAIDT, Post-partisan Social Psychology; presentazione agli incontri della Society for Personality and Social Psychology, San Antonio, TX, 27 gennaio 2011; https://vimeo.com/19822295; http://people.stern.nyu.edu/jhaidt/postpartisan.html.
  • Kevin MACDONALD, The Culture of Critique: An Evolutionary Analysis of Jewish Involvement in Twentieth-Century Intellectual and Political Movements, Westport, CT, Praeger, 1998; 2.a ed. Bloomington, IN, AuthorHouse, 2002; cfr. soprattutto i capitoli 2 e 6.
  • Kevin MACDONALD, Why are Professors Liberals?, “The Occidental Quarterly”, 10, n. 2, estate 2010:

57-79.

  • Kevin MACDONALD, An Integrative Evolutionary Perspective on Ethnicity, “Politics and the Life

Sciences”, 20, 2001: 67-79; si veda anche il capitolo 1 di Separation and Its Discontents: Toward an

Evolutionary Theory of Anti-Semitism, Westport, CT, Praeger, 1998; 2.a ed. Bloomington, IN, Authorhouse, 2002).

  • William Graham SUMNER, Folkways, New York, Ginn, 1906: 13.
  • ] Kevin MACDONALD, An Integrative Evolutionary Perspective on Ethnicity.
  • Ibid.
  • Miles HEWSTONE, Mark RUBIN, Hazel WILLIS, Intergroup Bias, “Annual Review of Psychology”, 52, 2002: 575-604; Michael A. HOGG, Dominic ABRAMS, Social Identifications, New York, Routledge, 1987. [10] Ernest Lee TUVESON, Redeemer Nation: The Idea of America’s Millennial Role, Chicsgo, University of Chicago Press, 1968: 199.
  • Ibid., 214.
  • Natalie RICHARDSON, Two More Oregon Men Left Bloody after Violent Antifa Attack at Portland Protest, “Washington Times”, 1 luglio 2019, https://www.washingtontimes.com/news/2019/jul/1/two-more-oregon-men-left-bloody-antifa-attack-port/ [13] Frank K. SALTER, The Biosocial Study of Ethnicity, in Rosemary HOPCROFT (ed.), The Oxford Handbook of Evolution, Biology and Society, Oxford, Oxford University Press, 2018: 543-568.

[13a] N. d. t.: Cfr. il cap. 7, nota 39a.

  • Kevin MACDONALD, Personality, Development and Evolution, in Robert BURGESS and Kevin

MACDONALD, Evolutionary Perspectives on Human Development, 2.a ed., Thousand Oaks, CA, Sage, 2005: 207-242; MACDONALD, Cutting Nature at Its Joints.

  • Keith STANOVICH, Who is rational? Studies of Individual Differences in Reasoning, Hillsdale, NJ, Erlbaum, 1999; Keith STANOVICH, The Robot’s Rebellion: Finding Meaning in the Age of Darwin, Chicago, The University of Chicago Press, 2004.

[15a] N. d. t.: nell’originale: virtue signaling.

  • Barbara OAKLEY, Ariel KNAFO, Michael McGrath, Pathological Altruism. An Introduction, in Barbara OAKLEY, Ariel KNAFO, Guruprasad MADHAVAN, David Sloan WILSON (eds.), Pathological Altruism, New York, Oxford University Press, 2012: 3-9, 3.
  • Ibid., 5.
  • David GOODHART, Why We on the Left Made an Epic Mistake on Immigration, “Daily Mail”, 22 marzo 2013; https://www.dailymail.co.uk/news/article-2297776/SATURDAY-ESSAY-Why-Left-epic-mistakeimmigration.html.
  • Arthur A. ADRIAN, Dickens on American Slavery: A Carlylean Slant, “PMLA, Journal of the Modern Language Association of America”, 67, n. 4. giugno 1952: 315-29, 329.
  • Charles DICKENS, Bleak House, vol 3, London, Bradbury & Evans, 1853: 26; https://books.google.com/books?id=K1sAAAAQAAJ.
  • George J. BORJAS, The Analytics of the Wage Effect of Immigration, Working Paper 14796 (marzo, 2009), National Bureau of Economic Research; https://www.nber.org/papers/w14796.pdf.
  • Robert D. PUTNAM, E Pluribus Unum: Diversity and Community in the Twenty-first Century,

“Scandinavian Political Studies”, 3, 2007: 137-174; SALTER, The Biosocial Study of Ethnicity; si veda anche Frank SALTER, Germany’s Jeopardy, You Tube, 5 gennaio 2016, https://youtu.be(R8qcK-jx6_8

  • Robert A. BURTON, Pathological Certitude, in Barbara OAKLEY, Ariel KNAFO, Guruprasad

MADHAVAN, David Sloan WILSON (eds.), Pathological Altruism, New York, Oxford University Press, 2012:

131-37, 135.

  • Ibid., 136.
  • David Brin, Self-addiction and Self-righteousness, in Barbara OAKLEY, Ariel KNAFO, Guruprasad MADHAVAN, David Sloan WILSON (eds.), Pathological Altruism, New York, Oxford University Press, 2012: 77-84, 80
  • Ibid., 80.
  • PEW RESEARCH CENTER, The Partisan Divide on Political Values Grows Even Wider; 5 ottobre 2017; https://www.people-press.org/2017/10/05/the-partisan-divide-on-political-values-grows-even-wider/ [28] Jeremy BARR, Without Major Sponsors, Tucker Carlson’s Show Leans on Ads for Fox Programming,

“The Hollywood Reporter”, 22 marzo 2019,

https://www.hollywoodreporter.com/news/major-sponsors-tucker-carlsons-show-leans-fox-news-house-ads-

1196257

  • Si vedano ad esempio David C. GEARY, The Origin of Mind: Evolution of Brain, Cognition and

General Intelligence, Washington, DC, American Psychological Association. 2005: Kevin MACDONALD,

Effortful Control, Explicit Processing and the Regulation of Human Evolved Predispositions, “Psychological Review”, 115, n. 4, 2008: 1012-1031; Keith STANOVICH, Who is rational? Studies of Individual Differences in Reasoning, Hillsdale, NJ, Erlbaum, 1999; Keith STANOVICH, The Robot’s Rebellion: Finding Meaning in the Age of Darwin, Chicago, The University of Chicago Press, 2004.

  • Dan CHIAPPE, Kevin MACDONALD, The Evolution of Domain-General Mechanisms in Intelligence and Learning, “Journal of General Psychology”, 132, n. 1, 2005: 5-40.
  • Kevin MACDONALD, Effortful Control, Explicit Processing and the Regulation of Human Evolved Predispositions.
  • Kevin MACDONALD, Evolution and a Dual Processing Theory of Culture: Applications to Moral Idealism and Political Philosophy, “Politics and Culture”, Issue, # 1, April, 2010, senza nn. di pagine; si veda anche Kevin MACDONALD, Evolution, Psychology and a Conflict Theory of Culture, “Evolutionary Psychology”, 7, n. 2, 2009: 208-233.
  • Kevin MACDONALD, The Culture of Critique.
  • Un altro metodo per valutare gli atteggiamenti impliciti è l’impiego dell’Implict Attitude Test, IAT, [Test degli Atteggiamenti Impliciti, n. d. t.] nel quale ai soggetti vengono presentate in successione fotografie di bianchi e di negri e viene loro richiesto di associare a tali immagini parole positive o negative (p. es. intelligente, rispettoso della legge, povero, successo). L’80% dei bianchi impiega più tempo nell’associare parole positive ai negri di quanto ne impieghi per i bianchi. Questo fatto viene interpretato nel senso di una presenza, nei bianchi, di stereotipi negativi impliciti nei confronti dei negri. Recentemente i risultati dello IAT che mostrano come i soggetti che rispondono di più al test siano più inclini a comportamenti discriminatori sono stati messi in discussione. Comunque questi risultati non si riflettono sugli studi che non si focalizzano sulla discriminazione, né su quelli che si basano sulle scansioni del cervello. Per una buona sintesi delle controversie che riguardano l’IAT si veda Jesse SIGNAL, Psychology’s Racism-Measuring Tool Isn’t Up to the Job, “The Cut”, gennaio, 2017;

https://www.thecut.com/2017/01/psychologys-racism-measuring-tool-isnt-up-to-the-job.html

  • Elizabeth A. PHELPS et al., Performance on Indirect Measures of Race Evaluation Predicts Amygdala Activation, “Journal of Cognitive Neuroscience”, 12, 2000: 729-738.
  • Paul E. CROLL, Douglas HARTMANN, Joseph GERTEIS, Putting Whitness Theory to the Test: An

Empirical Assessment of Core Theoretical Propositions, manoscritto non pubblicato, Department of Sociology, University of Minnesota American Mosaic Project, 2006.

  • Descrivo diversi casi nella mia trilogia sul giudaismo, come ad esempio quello di Heinrich Heine; si veda Kevin MACDONALD, Separation and Its Discontents, capitolo 2, n. 9.
  • Brian A. NOSEK, Mahzarin R. BANAJI, Anthony G. GREENWALD, Harvesting Implicit Group Attitudes and Beliefs from a Demonstration Website, “Group Dynamics”, 6, 2002: 101-115.
  • William A. CUNNINGHAM et al., Separable Neural Components in the Processing of Black and White Faces, “Psychological Science”, 15, 2004: 806-813.
  • Uno studio analogo spiega ciò che accade quando le persone si trovano ad affrontare questioni controverse riguardo alla razza e all’etnicità. Ad alcuni soggetti bianchi sono state mostrate immagini raffiguranti una coppia interrazziale sorridente, dicendo poi a tali soggetti che la loro reazione all’immagine indicava come essi nutrissero dei pregiudizi. Dopo questa osservazione, i soggetti impiegavano molto più tempo prima di dare risposte su altre immagini. Ciò viene interpretato come un tentativo cosciente, da parte dei soggetti, di controllare le loro risposte. Le immagini servono da “segnale di controllo”, un avviso che «la situazione è tale per cui possono manifestarsi risposte prevenute e pertanto occorre esercitare un controllo sul comportamento». Margo J. MONTEITH, Leslie ASHBURN-NARDO, Corinne I. VOILS, Alexander M. CZOPP, Putting the Brakes on Prejudice: On the Development and Operation of Cues for Control, “Journal of Personality and Social Psychology”, 83, 2002: 1029-1059, 1046.
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Louise ROSEWARNE, Stereotype Knowledge and Prejudice in Children, “British Journal of Developmental Psychology”, 19, 2001: 143-156.

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  • James MOODY, Race, School Integration and Friendship Segregation in America, “American Journal of Sociology”, 107, 2002: 679-716.
  • Michael O. EMERSON, Rachel TALBERT KIMBRO, George YANCEY, Contact Theory Extended: The Effects of Prior Racial Contact on Current Social Ties, “Social Science Quarterly”, 83, 2002: 745-761.
  • Margaret A. HAGERMAN, White Progressive Parents and the Conundrum of Privilege, “Los Angeles Times”, 30 settembre 2018; https://www.latimes.com/opinion/op-ed/la-oe-hagerman-white-parents20180930-story.html.
  • David SIKKUNK, Michael O. EMERSON, School Choice and Racial Segregation in U. S. Schools: The Role of Parents’ Education, “Racial and Ethnic Studies”, 31, 2008: 267-293.

[46a] N. d. T.: National Association for Stock Car Auto Racing (NASCAR) associazione statunitense che organizza e gestisce gare automobilistiche.

  • Kevin M. KRUSE, White Flight: Atlanta and the Making of Modern Conservatism, Princeton, NJ, Princeton University Press, 259.
  • Ibid., 263.
  • Frank SALTER (ed.), Welfare, Ethnicity and Altruism: New Data and Evolutionary Theory, London, Taylor & Francis, 2005.
  • PUTNAM, E Pluribus Unum: Diversity and Community in the Twenty-first Century; la letteratura recente è esaminata da SALTER, The Biosocial Study of Ethnicity; si veda anche SALTER, Germany’s Jeopardy.
  • Si veda SALTER, The Biosocial Study of Ethnicity.
  • The State of Personal Trust, Pew Research Center, 22 luglio 2019; https://www.people-press.org/2019/07/22/the-state-of-personal-trust/ [53] SALTER, The Biosocial Study of Ethnicity.
  • Steve SAILER, Fragmented Future: Multiculturalism Doesn’t Make Vibrant Communities but Defensive Ones, “The American Conservative”, 2 gennaio 2007.
  • Shailagh MURRAY, Dean’s Words Draw Democratic Rebukes, “The Washington Post”, 9 giugno 2005; https://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2005/06/08AR2005060800650_pf.html
  • Sean TRENDE, Does the GOP Have to Pass Immigration Reform?, “Real Clear Politics”, 25 giugno 2013.
  • Demographics of Sports Fans, Demographic Partitions.org, 10 luglio 2017; http://demographicpartitions.org/ demographics-of-sports-fans-u-s/
  • Jim WRIGHT, Fixin’ to Git: One Fan’s Love Affair with NASCAR’s Winston Cup, Durham, NC, Duke University Press, 2002, 35.
  • Ibid., 83.

[59a] N. d. t.: Winston Cup: competizione automobilistica della NASCAR.

[59b] N. d. t.: Southern 500: altra competizione automobilistica della NASCAR organizzata a Darlington nel South Carolina (lo stato ex-confederato che fu il primo a separarsi dall’Unione nel dicembre 1860).

  • Ibid., 141. Il libro di Wright è stato pubblicato nel 2002. Da allora la bandiera confederata è diventata meno visibile e vi sono stati tentativi di limitare la sua presenza. Nel 2015 Brian France, presidente della NASCAR, ha definito la bandiera «un simbolo offensivo» e ha chiesto, senza tuttavia esigerlo, che non venisse mostrata. Alcuni piloti famosi ne hanno scoraggiato l’uso. Nel 2019 la NASCAR ha rifiutato la pubblicità di un fucile semiautomatico. Tuttavia, non per questo la NASCAR perde il suo carattere di comunità bianca implicita. Mike HEMBREE, NASCAR Fans: Confederate Flag Still Important Symbol, “USA Today”, 8 agosto 2017; Awr HAWKINS, NASCAR Shifts on Guns, Rejects Ad Showing Semiautomatic Rifle, “Breitbart”, 9 settembre 2019.
  • Ibid.,156.
  • Ibid., 37.
  • Ibid., 156.
  • La musica country rappresenta anch’essa una comunità bianca implicita; la grande maggioranza delle persone (oltre il 90%) che l’ascolta regolarmente è costituita da bianchi, mentre soltanto il 3% degli ispanici e il 5% degli afroamericani dicono di preferire la musica country ad altri generi musicali. Brandon GAILLE,

49 Curious Country Music Demographics, 9 maggio 2016;  https://brandongaille.com/46-curious-country-music-demographics/

[65] Hoop Dreams: Multicultural Diversity in NBA Viewership, 26 febbraio 2015;

https://www.nielsen.com/us/en/insights/article/2015/hoop-dreams-multicultural-diversity-in-nba-viewership/ [66] Gary PETERSON, Brawl puts glaring spotlight on NBA, “Contra Cpsta Times”, 22 dicembre 2007.

  • Gabe FERNANDEZ, Baseball Fights Highlight a Double Standard in Sports Perception, “The Sporting News”, 12 aprile 2018; https://www.sportingnews.com/us/mlb/news/baseball-fights-yankees-red-sox-nbabrawls-players-double-standard/15e4ngugjbiv217ebzyvhzeia8 [67a] N. d. t.: lega professionistica del baseball americano.
  • Gabe FERNANDEZ, Baseball Fights Highlight a Double Standard in Sports Perception.
  • Kevin MACDONALD, The Culture of Critique.
  • Richard LYNN, Race Differences in Psychopathic Personality: An Evolutionary Perspective, Arlington, VA, Washington Summit Press, 2018.
  • Robert PLOMIN, Blueprint: How DNA Makes Us Who We Are, Cambridge, MA, MIT Press, 2018.

[71a] N. d. t.: Nell’originale: Behavioral Approach System (BAS).

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  • Kevin MACDONALD, Temperament and Evolution, in Marcel ZENTNER, Rebecca L. SHINER (eds.) Handbook of Temperament, New York, Guilford Press, 2012b: 273-296.
  • GRAY, The Neuropsychology of Anxiety.
  • Il SAC può essere anche osservato nei bambini, nei quali si collega all’impulsività (cioè alla ricerca di gratificazione senza un’adeguata attenzione ai costi) al “piacere ad alta intensità” e all’aggressività. I bambini che mostrano un elevato sviluppo del SAC sono inclini a risposte emotive positive che includono il sorriso, la gioia e il riso in occasione di situazioni gratificanti e nell’interazione sociale piacevole, che i bambini socievoli ricercano. Mary K. ROTHBART, John E. BATES, Temperament, in Handbook of Child Psychology, William DAMON, Richard LERNER, Nancy EISENBERG (eds.) Social, Emotional and Personality Development, vol. 3, 6.a ed., New York, Wiley, 2006: 99-166.
  • Peter J. LA FRENIERE, Emotional Development: An Evolutionary Perspective, Boston, Wadsworth / Thompson Learning, 2000.
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[93a] N. d. t.: Nell’originale: Prefrontal Executive Control (PEC).

  • MACDONALD, Effortful Control, Explicit Processing and the Regulation of Human Evolved Predispositions.
  • Ibid.
  • Oliver P. JOHN, Sanjay SRIVASTAVA, The Big Five Trait Taxonomy: History, Measurement and Theoretical Perspectives, in Lawrence A. PERVIN, Oliver P. JOHNS (eds.) Handbook of Personality: Theory and Research, 2.a ed., New York, Guilford Press, 102-138.
  • Ibid., 121; corsivo nell’originale.
  • Adrian RAINE, Psychophysiology and Antisocial Behavior: A Biosocial Perspective and a Prefrontal Dysfunction Hypothesis, in Daniel M. STOFF, James BREILING, Jack D. MASER (eds.), Handbook of Antisocial Behavior, New York, Wiley, 1997: 289-304.
  • MACDONALD, Effortful Control, Explicit Processing and the Regulation of Human Evolved Predispositions.
  • LYNN, Race Differences in Personality.
  • Lynn osserva come gli asiatici siano più disponibili a donare i loro organi dopo la morte di quanto lo siano i bianchi (disponibilità intermedia) o i negri (disponibilità minima) una scoperta che è in accordo col modello generale delle differenze razziali in termini di q. d. i. e di molti altri tratti. Comunque, le donazioni post-mortem non rappresentano un vero e proprio costo per il donatore e possono essere influenzate dalle credenze religiose, mentre gli atti di beneficenza effettuati in vita sono costi reali. Sottolineo di conseguenza il secondo aspetto. Il punto qui è che a causa dell’evoluzione dell’individualismo e della conseguente elaborazione, tra la popolazione bianca, di meccanismi collegati all’attrattività personale, le differenze tra le razze per quanto riguarda i tratti dell’amore / cura non seguono il modello generale, quello cioè che vede classificati, nell’ordine, asiatici orientali, bianchi, africani.

[101a] N. d. t.: Nell’originale: Life History Theory.

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  • “Wikipedia”, voce Capital Punishment in China;

https://en.wikipedia.org/wiki/Capital_punishment_in_China#Historical_background [106a] N. d. t.: destino, fato, sorte.

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  • Gli Intellettuali Newyorkesi come movimento intellettuale ebraico vengono presi in esame in The Culture of Critique; Ibid.
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[128a] N. d. t.: detta anche fallacia associativa.

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  • [nota mancante, n. d. t.]
  • SALTER, On Genetic Interests.
  • MACDONALD, An Integrative Evolutionary Perspective on Ethnicity.
  • Philippe RUSHTON, Genetic Similarity Theory and the Nature of Etnocentrism, in Kristiaan

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[135a] N. d. t.: Le leggi Jim Crow furono leggi locali emanate tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento nel Sud degli Stati Uniti allo scopo di mantenere la segregazione razziale.

  • Howard ZINN, A People’s History of the United States, 1492-Present, New York, Harper, 1980;; si veda inoltre Kevin MACDONALD, The Academic Left’s Involvement in Politics, “The Occidental Observer”,

1 febbraio 2010;  https://www.theoccidentalobserver.net/2010/02/01/kevin-macdonald-the-activist-lefts-involvement-inpolitics/

[136a] N. d. t.: Il testo di Zinn è stato tradotto in italiano come Storia del popolo americano. Dal 1492 ad oggi, Milano, Il Saggiatore, 2010.

[137] FOX NEWS, New York Times Stands by New Tech Writer, 2 agosto 2018,  https://www.foxnews.com/entertainment/new-york-times-stands-by-new-tech-writer-sarah-jeong-afterracist-tweets-surface;

Michelle GOLDBERG, We Can Replace Them, “The New York Times”, 29 ottobre 2028,

https://www.nytimes.com/2018/10/29/opinion/stacey-abrams-georgia-governor-election-brian-kemp.html; Rod DREHER, Classics Studies: No Country for White Men, “The American Conservative”, 30 gennaio 2019, https://www.theamericanconservative.com/dreher/classics-studies-no-country-for-white-men/;

Lindsey BEVER, CNN’s Don Lemon Doubles Down after Saying White Men Are “the Biggest Terror Threat in This Country”, “Washington Post”, 31 ottobre 2018, https://www.washingtonpost.com/arts-entertainment/2018/10/31/cnn-host-don-lemon-said-white-men-arebiggest-terror-threat-this-country/?utm_term=.7512d32960f4

[137a] N d. t.: millennials : la generazione dei nati negli anni 1980 e 1990. [138] Mark POINT, Racism on the Rise, “American Thinker”, 6 novembre 2018, https://www.americanthinker.com/articles/2018/11/racism_on_the_rise.html

  • PEW RESEARCH CENTER, Race in America, 2019, 9 aprile 2019, https://www.pewsocialtrends.org/2019/04/09/race-in-america-2019/
  • Claire BROCKWAY, Carrol DOHERTY, Growing Share of Republicans Say U. S. Risks Losing Its Identity If It Is Too Open to Foreigners, Pew Research Center, 17 luglio 2019, https://www.pewresearch.org/fact-tank/2019/07/17/growing-share-of-republicans-say-u-s-risks-losing-itsidentity-if-it-is-too-open-to-foreigners/
  • Kiana COX, Most U. S. Adults Feel What Happens to Their Own Racial or Ethnic Group Affects Them Personally, Pew Research Center, 11 luglio 2019. Parafrasando, il sondaggio chiedeva: «Quello che accade al tuo gruppo razziale o etnico negli Stati Uniti influenza complessivamente ciò che accade nella tua vita?»; https://www.pewresearch.org/fact-tank/2019/07/11/linked-fate-connectedness-americans/ [142] MACDONALD, An Integrative Evolutionary Perspective on Ethnicity.
  • MACDONALD, Separation and Its Discontents.
  • ECKEHART, How Sweden Became Multicultural, Helsingborg, Sweden, Logik FörlG, 2017; F. Roger DEVLIN, The Origins of Swedish Multiculturalism: a Review of M. Eckehart’s “How Sweden Became Multicultural”, “The Occidental Observer”, 9 sett. 2017: https://theoccidentalobserver.net/2017/09/23/the-origins-of-swedish-multiculturalism/;

Kevin MACDONALD, The Jewish Origins of Multiculturalism in Sweden, “The Occidental Observer”, 14 gen.

2013: https://theoccidentalobserver.net/2013/01/14/the-jewish-origins-of-multiculturalism-in-sweden/; [145] Noah CARL, Tolerance of Inter-Ethnic Relationships in Europe, @NoahCarl, 27 lug. 2019: https://medium.com/@NoahCarl/tolerance-of-inter-ethnic-relationships-in-europe-c27bda8a25e1

  • Aksel SANDEMOSE (1899-1965) nel suo romanzo En Flyktning Krysser Sitt Spor [Un fuggitivo incrocia le sue tracce, n. d. t.]. Sebbene abbiano origine in un’opera di fantasia, le leggi di Jante sono state ampiamente riconosciute dagli scandinavi come qualcosa che riflette accuratamente una mentalità tipica della loro società.
  • Christopher H. BOEHM, Hierarchy in the Forest: The Evolution of Egalitarian Behavior, Cambridge, Harvard University Press, 1999.
  • Eric A. SMITH, Kim HILL, Frank MARLOWE, D. NOLIN, Polly WIESSNER, P. M. GURVEN, S. BOWLES, Monique BORGERHOFF-MUDLER, T. HERTZ, A. BELL, Wealth Transmission and Inequality Among H-gs, “Current Anthropology”, 51, n. 10, 2010: 19-34.
  • Lawyers Blame Groupthink in Sweden’s Worst Miscarriage of Justice, “The Guardian”, 5 giugno 2015, https://www.theguardian.com/world/2015/jun/05/groupthink-sweden-miscarriage-of-justice-sturebergwall
  • Si veda Kevin MACDONALD, Pathological Altruism on Steroids in Sweden, “The Occidental Observer”, 4 aprile 2015, https://www.theoccidentalobserver.net/2015/04/29/pathological-altruism-onsteroids-in-sweden/
  • Frank K. SALTER, Welfare, Ethnicity and Altruism: New Data and Evolutionary Theory, London, Routledge, 2005.
  • Kevin MACDONALD, Racial Conflict and the Health Care Bill, “The Occidental Observer”, 3 marzo 2010, https://www.theoccidentalobserver.net/2010/03/26/kevin-macdonald-racial-conflict-and-the-healthcare-bill/
  • Ingrid CARLQVIST, I Want My Country Back, discorso tenuto presso l’International Civil Liberties Alliance al Parlamento Europeo, Bruxelles, 9 luglio 2012, corsivo nell’originale; https://www.trykkefrihed.dk/i-want-my-country-back.htm
  • Henrik HÖJER, Segregation Is Increasing In Sweden, “Forsting & Framsted”, 29 maggio 2015, traduz.

Google, https://fof.se/artikel/segregationen-okar

  • Si potrebbe pensare che dato il peso del conformismo le culture scandinave non siano inclini a produrre individui geniali (fenotipi anomali che creano idee nuove e invenzioni). Tuttavia, una classifica sommaria per nazione (basata sulla popolazione del 2018) del numero di premi Nobel nelle scienze (chimica, fisica e fisiologia o medicina) indica che i paesi scandinavi (Norvegia, Svezia e Danimarca) hanno una posizione simile a quella degli altri paesi europei nordoccidentali e superiore a quella della Francia o della Germania. I risultati non mutano sostanzialmente escludendo i premi Nobel ebrei (due soli dei quali risiedono in paesi scandinavi). I risultati della Finlandia sono paragonabili a quelli della Francia e leggermente superiori se si escludono i Nobel ebrei che vivono in Francia. La ragione sta forse nel fatto che le comunità scientifiche nell’ambito delle scienze esatte e naturali non sono comunità morali; i dissidenti possono essere considerati persone eccentriche o non molto brillanti, ma non vengono denigrati come moralmente reprobi. Cfr. List of Countries by Nobel Laureates Per Capita, https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_Nobel_laureates_per_capita
  • Edward DUTTON, The Silent Rape Epidemic: How the Finns Were Groomed to Love Their Abusers, Oulu, Finlandia, Thomas Edward Press, 2019: 25.
  • Kirsi WARPULA, Eastern Finnish Families on the Borderland of Historical Family Forms, “History of the Family”, 7, n. 3 (2002): 315-326.
  • Per un resoconto esaustivo si veda Richard HOUCK, Words Like Violence: The Left’s Total War on Freedom of Speech, in Liberalism Unmasked, parte 2, cap. 1, London, Arktos, 2018: 55-85.

[158a] N. d. t.: shadow banning : intervento praticato da chi gestisce siti o forum in rete (e giustificato come moderatore) consistente nell’“oscurare” un certo utente o i contenuti dei suoi interventi senza tuttavia “bandirlo” del tutto.

  • Si veda ad esempio Jeremy WALDRON, The Harm in Hate Speech, Cambridge, Harvard University Press, 2012.

[159a]N. d. t.: il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce la libertà di parola.

  • J. Goldberg osserva che «nel mondo delle orgnizzazioni progressiste come la ACLU e People for the American Way l’influenza ebraica è così profonda che a volte la distinzione tra i non ebrei e la comunità ebraica formale appare difficle da cogliere»; J. J. GOLDBERG, Jewish Power: Inside the American Jewish Establishment, Reading, MA, Addison-Wesley, 1996: 46.
  • Mark HEMINGWAY, Want to Defend Civil Liberties? Don’t Look to the ACLU, “The Weekly Standard”, 29 giugno 2018; https://www.weeklystandard.com/mark-hemingway/the-aclu-gives-up-on-free-speech-and-the-firstamendment
  • Inherit the Wind (commedia), cfr. Wikipedia; https://en.wikipedia.org/wiki/Inherit_the_Wind_(play)#Background
  • Kevin MACDONALD, Jerry Kammer: The SPLC Depends on Jewish Donors, “The Occidental Observer”, 18 marzo 2010; https://www.theoccidentalobserver.net/2010/03/18/kevin-macdonald-jerry-kammer-on-the-splc-2.
  • Kevin MACDONALD, The Hate Crimes Prevention Bill: Why Do Jewish Organisations Support It?,

“Vdare.com”, 11 maggio 2009; https://vdare.com/articles/ the-hate-crimes-prevention-bill-why-do-jewish-organisations-support-it [165] Kevin MACDONALD, Joe McCarthy and the Jews, recensione di Aviva WEINGARTEN, Jewish

Organizations’ Response to Communism and Senator McCarthy (2008), “The Occidental Quarterly”, 19, n.

1, primavera 2019: 97-105.