INDIVIDUALISMO E TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTAL: Capitolo 9, TRADIZIONE PROGRESSISTA E MULTICULTURALISMO.

INDIVIDUALISMO E
TRADIZIONE PROGRESSISTA OCCIDENTALE.
Origini evolutive, storia e prospettive future.
traduzione italiana di Marco Marchetti

TRADIZIONE PROGRESSISTA E MULTICULTURALISMO.

 

 

Questo libro ha messo in risalto il filone progressista della cultura occidentale che deriva, in ultima analisi, dall’individualismo europeo, a sua volta riconducibile alle origini stesse delle popolazioni europee occidentali. Come osservato in più luoghi, un aspetto fondamentale dell’individualismo consiste nel fatto che la coesione di gruppo non si basa sulla parentela, ma sulla reputazione, e in particolare su una reputazione morale di persona onesta, affidabile ed equa.

Queste tendenze culturali progressiste ed egualitarie contengono numerosi aspetti positivi. E’ facile intuire  come una guida intellettuale o religiosa possa trovare dei  difetti nella cultura aristocratica e sostanzialmente IE che ha dominato l’Europa per millenni. L’aristocrazia, originariamente composta da capi militari che si erano guadagnati la loro posizione sui campi di battaglia, si era in molti casi trasformata in una élite parassitaria e oppressiva sul piano politico e su quello economico, lontana dal popolo che essa governava e, assai spesso, dedita a un vistoso consumismo e a un comportamento sessuale degenerato, in particolare in Francia.

In una situazione del genere i movimenti sociali egualitari esercitavano un’ovvia attrattiva, e a partire dal XVIII secolo essi si impegnarono a migliorare le condizioni spesso terribili delle classi lavoratrici e a porre fine allo schiavismo.

Ciò nondimeno, la tradizione aristocratico-egualitaria ha avuto certamente, in sé, molte caratteristiche positive. Nel mondo antico, questa tradizione si basava saldamente sull’idea che la società dovesse essere dominata da coloro che possedevano una naturale superiorità. Theodor Mommsen, il grande storico di Roma, osservò che

 

l’aristocrazia senatoria aveva guidato lo stato non tanto in virtù di un diritto naturale, bensì in virtù del più alto di tutti i diritti di rappresentanza: il diritto di chi è superiore, in contrapposizione all’uomo semplicemente ordinario1.

 

Tutto quanto poteva essere richiesto ad un’assemblea di cittadini, come quelli romani, che non rappresentava la forza motrice del potere ma la solida struttura dell’intera sua macchina; una chiara percezione del bene comune, una perspicace deferenza nei confronti di un giusto capo, uno spirito saldo nei giorni prosperi come in quelli avversi e, soprattutto, la capacità di sacrificare l’individuo per il vantaggio generale e il benessere presente per quello futuro: tutte queste qualità erano presenti nella comunità romana a un livello così elevato che, se osserviamo la sua condotta nell’insieme, ogni critica si dissolve in riverente ammirazione2.

 

Si può certamente ammirare una tale aristocrazia, e negli ultimi tempi della storia europea vi furono certamente dei casi in cui le aristocrazie servirono gli interessi della comunità nel suo insieme. Viene in mente re Luigi IX di Francia (San Luigi) ricordato nel capitolo 5 come promotore degli interessi economici dell’intera comunità piuttosto che dell’incremento della propria ricchezza personale; si devono anche menzionare le numerose campagne militari condotte da eroi aristocratici come Carlo Martello contro gli invasori musulmani. Ma tutto ciò non vale come regola generale, e certamente non lo si può dire delle élite che attualmente dominano l’Occidente, nelle quali predominano la miopia, l’opportunismo, l’avidità e i meschini interessi individuali ed etnici. La prospettiva di creare un’aristocrazia come quella del passato appare, nella situazione attuale, semplicemente utopica.

Le tendenze egualitarie che nel XVII secolo iniziarono la loro ascesa verso l’egemonia liberarono una creatività e un’innovazione enormi, nella misura in cui lo status sociale ereditario perdeva importanza nel nuovo contesto meritocratico che consentiva una mobilità sociale ascendente e premiava l’iniziativa e il talento individuali. Si ebbe una straordinaria fioritura delle scienze, della tecnologia, delle invenzioni e delle arti, al punto che, a paragone con tutte le altre aree del mondo, quasi tutti (97%) i protagonisti in questi campi furono maschi di origine europea, e in particolare dell’Europa nordoccidentale. In effetti, la mappa proposta da Charles Murray del «Nucleo Europeo» che diede origine a questa capacità inventiva coincide in misura notevole con l’area geografica descritta nel capitolo 4 come quella dell’individualismo moderato, che comprende le aree germaniche dell’Italia settentrionale ma esclude la Scandinavia (con l’eccezione della Danimarca che, come osservato nel capitolo 1, presenta una maggior comunanza genetica con la Germania rispetto al resto della Scandinavia) e l’Europa del sud (incluse la Francia e l’Italia meridionali)3.

Inoltre, sebbene i risultati delle scienze occidentali nel mondo antico non abbiano paralleli altrove (a mio giudizio Aristotele fu il più grande intellettuale di ogni tempo) questa fioritura ebbe inizio nel XVII secolo e coincise con l’ascesa dell’individualismo egualitario (capitolo 6).

 

L’individualismo come fattore predisponente alla scienza e al capitalismo.

 

L’individualismo come fattore predisponente alla scienza. Le popolazioni occidentali, istruite, ricche e democratiche (WEIRD) di cui si è parlato nel capitolo 3 hanno creato nell’Occidente postmedievale delle associazioni scientifiche e culturali che concepiscono il gruppo come un’entità permeabile e fortemente soggetta alla defezione, cioè ammettono l’esistenza di un mercato delle idee in cui gli individui possono distaccarsi dalla visione scientifica corrente qualora ritengano che i dati in loro possesso sostengano prospettive differenti. Sull’altro versante, le culture collettiviste hanno prodotto movimenti intellettuali orientati al gruppo e basati sulle affermazioni dogmatiche, sulla fedeltà ai capi, sulle reti etniche e sull’espulsione dei dissidenti4.

Ricardo Duchesne evidenzia il ruolo della discussione come componente critica del dibattito culturale europeo, analizzandola nei termini di un retaggio culturale IE connesso alla personale ricerca della fama5. A cominciare dall’antica Grecia, il dibattito intellettuale fu intensamente competitivo, e gli individui erano liberi di abbandonare una particolare scuola se ne trovavano un’altra più attraente6. Gli intellettuali cercavano seguaci non sulla base di preesistenti legami parentali o etnici, bensì valendosi della loro capacità di attrarre un seguito in un liberto mercato delle idee nel quale gli individui erano liberi di cambiare il loro punto di vista. Come i membri di un Männerbund erano liberi di lasciare un gruppo per unirsi ad altri gruppi che presentavano oggettivamente migliori possibilità di successo, così il libero mercato delle idee ricorreva naturalmente ad argomenti e idee che potevano attrarre individui liberi di disertare da gruppi altamente permeabili. In un contesto sociale in cui tutti sono ugualmente liberi di disertare, gli argomenti logici e le teorie predittive sul mondo naturale acquisiscono una posizione di primo piano.

La discussione implica che gli individui siano liberi di dissentire. I movimenti scientifici sono gruppi fortemente permeabili cui membri sono inclini alla diserzione qualora trovino una teoria migliore o vengano alla luce nuovi dati. Una questione fondamentale nella filosofia della scienza consiste nel definire il tipo di comunità di discorso che promuove il pensiero scientifico in ogni area di ricerca. Per usare le parole di Donald Campbell, la questione è sapere «quale sistema sociale di esame e di conservazione delle credenze è quello che ha le migliori probabilità di far crescere la competenza di riferimento relativa a ciò che credono i suoi presunti referenti»7. Il progresso scientifico (la “competenza di riferimento” di Campbell) dipende da un universo di discorso individualista e atomizzato nel quale ciascun individuo vede se stesso non come un membro di una più ampia entità politica o culturale che propone un particolare punto di vista, bensì come un agente indipendente che tenta di valutare le prove e di scoprire la struttura della realtà.

Come osserva Campbell, un aspetto critico della scienza, così come essa si è sviluppata nel XVII secolo, fu che gli individui erano agenti indipendenti che potevano riprodurre le scoperte scientifiche per conto proprio8. Sicuramente, nella scienza concreta l’opinione scientifica si coagula attorno a certe proposizioni (p. es. la struttura del DNA o i meccanismi psicologici del rinforzo) ma questo consenso scientifico è fortemente soggetto ad essere abbandonato nell’eventualità in cui nuovi dati mettano in dubbio le teorie sostenute fino a quel momento. Arthur Jensen sintetizza bene questa idea osservando che «quando molti singoli scienziati […] sono tutti in grado di pensare come vogliono e svolgono le loro ricerche indipendentemente da vincoli collettivisti o totalitari, la scienza è un processo che si autocorregge»9.

Gli argomenti razionali fanno presa sugli osservatori disinteressati e sono passibili di confutazione. La loro efficacia non dipende dalla disciplina o dagli interessi di gruppo, perché nelle culture occidentali i gruppi sono permeabili e le defezioni individuali rappresentano la norma molto più che presso altre culture.

Inoltre, come si è osservato nel capitolo 3, le popolazioni WEIRD tendono maggiormente al ragionamento analitico (astraendo gli oggetti dal contesto, occupandosi delle loro caratteristiche e sviluppando regole atte a spiegare e a predire i fenomeni) che è opposto al ragionamento olistico (che si occupa delle relazioni tra l’oggetto e l’ambiente che lo circonda). Gli occidentali tendono a categorizzare gli oggetti sulla base di regole che sono indipendenti dalla loro funzione e pertanto più astratte, mentre i non occidentali sono più inclini a categorizzare in base alla funzione e alle relazioni col contesto. La scienza si occupa sostanzialmente di creare regole astratte indipendenti dal contesto e di sviluppare spiegazioni e previsioni dei fenomeni del mondo empirico. Tali caratteristiche, già visibili nel mondo antico greco-romano, predispongono al pensiero scientifico.

A questo riguardo, è interessante notare come avere un elevato livello di intelligenza generale (q. d. i.) faciliti la soluzione dei problemi tramite decontestualizzazione e astrazione. La decontestualizzazione è anche un aspetto del pensiero operatorio formale di Jean Piaget, «l’indipendenza della sua forma dal suo contenuto di realtà»10. Questo perché sia l’intelligenza generale che il pensiero operatorio formale di Piaget sono in grado di inibire la modalità predefinita della cognizione umana che consiste nell’elaborare l’informazione in una maniera che è fortemente sensibile al contesto ed è automatica. Noi possediamo una «euristica automatica», delle «regole del pollice» inconsce che ci permettono di elaborare velcemente le informazioni nel nostro ambiente, formulare deduzioni, giudizi e decisioni11.

Le persone tendono automaticamente a contestualizzare i problemi nei termini della loro esperienza personale e specialmente della loro esperienza sociale. Ad esempio, molte persone sono influenzate da esperienze personali forti ma non rappresentative (p. es. l’essere scampati per un soffio alla morte in un incidente aereo) molto più che da valide informazioni statistiche (che mostrano come viaggiare in aereo sia più sicuro che viaggiare in automobile). Di conseguenza, a meno che non inibiscano tali tendenze, esse compiono errori in problemi che sono del tutto formali, come i sillogismi logici, i problemi geometrici e matematici o quelli che si incontrano in un test di intelligenza culturalmente equo, come le matrici progressive non verbali di Raven12. La decontestualizzazione risulta dall’inibizione e dal conseguente controllo di questi processi automatici; essa perciò consente all’individuo di affrontare problemi di logica formale o di matematica che sono astratti da qualsiasi contesto sociale o personale.

Gli studiosi del q. d. i. sono ben consapevoli della centralità della decontestualizzazione per quanto riguarda l’intelligenza e il suo rapporto con la scienza. Così Arthur Jensen:

 

Uno dei ben noti sottoprodotti della scolarizzazione è un’accresciuta capacità di decontestualizzare i problemi. In quasi ogni materia […] gli allievi imparano a scoprire la regola generale che si applica ad una situazione molto specifica e ad applicare una regola generale a un’ampia varietà di contesti differenti. L’uso, nella lettura, di simboli che stanno al posto degli oggetti (e la notazione musicale); le operazioni aritmetiche di base; la coerenza nell’ortografia, nella grammatica e nella punteggiatura; le regolarità e le generalizzazioni nella storia; la categorizzazione, la serialità, l’enumerazione e la deduzione nelle scienze, e così via. Imparare a fare queste cose, che fanno tutte parte del curriculum scolastico, instilla abitudini cognitive che possono essere indicate come decontestualizzazione delle capacità cognitive. L’obiettivo di molti test non verbali o indipendenti dalla cultura non richiede una conoscenza scolastica in quanto tale, ma la capacità di decontestualizzare nuove situazione scoprendo regole o regolarità e utilizzandole per risolvere il problema13.

 

Il pensiero si è evoluto in un contesto sociale e i processi di contestualizzazione funzionano di solito in maniera molto efficace nelle situazioni quotidiane; tali processi sono automatici (cioè sono riflessi psicologici che non richiedono una ponderazione consapevole) e avvengono velocemente e senza sforzo, mentre il pensiero decontestualizzato è relativamente lento e richiede impegno (che è il motivo per cui i bambini, in un contesto educativo, devono concentrarsi e applicarsi per eseguire un compito). Comunque, a prescindere dai test di intelligenza, esistono molte situazioni della vita reale nelle quali è richiesta la decontestualizzazione, dove cioè gli individui devono risolvere problemi in situazioni nuove; e in generale, gli individui che possiedono una più elevata intelligenza generale riescono meglio a ragionare in modo logico su tali problemi14.

L’aver scoperto che le persone WEIRD tendono al ragionamento logico-scientifico spiega dunque l’origine della scienza quale fenomeno peculiare dell’Occidente. A cominciare dal mondo antico greco-romano, l’argomentazione logica ha caratterizzato le culture occidentali più di qualunque altra area culturale. Come ha evidenziato Ricardo Duchesne, per quanto i cinesi abbiano fatto molte scoperte pratiche, essi non hanno mai sviluppato l’idea di un universo razionale e ordinato, retto da leggi universali comprensibili all’uomo. Né hanno mai sviluppato un «metodo deduttivo di dimostrazione rigorosa in base al quale una conclusione o un teorema venissero provati tramite il ragionamento a partire da una serie di assiomi autoevidenti»15.

Queste leggi universali e generalizzate e questi teoremi geometrici o matematici derivati da assiomi sono regole decontestualizzate, cioè regole che pur concernendo triangoli perfetti o moti senza attrito hanno comunque numerose applicazioni nel mondo reale. Questa è l’essenza del ragionamento scientifico. Il concetto galileiano di moto senza attrito, ad esempio, non permette di predire in maniera accurata il moto di un oggetto lungo un piano inclinato, perché nel mondo reale l’attrito è sempre presente. Tuttavia, questo concetto è stato molto utile per effettuare previsioni della realtà e per concepire un’ampia serie di manufatti che vanno dai motori alle strade.

L’esame delle popolazioni WEIRD fatto nel capitolo 3 mette in risalto il radicamento sociale del ragionamento morale presso le culture collettiviste in contrasto con la tendenza occidentale a creare regole morali astratte che si applicano a chiunque. Per i collettivisti il ragionamento morale implica tener conto del contesto sociale, che ruota sostanzialmente attorno al problema di adattarsi ad un gruppo di parentela e di rafforzarlo. Per gli individualisti il mondo sociale comporta una maggior necessità di interagire con estranei e di considerare la loro reputazione per quanto attiene al rispetto di regole impersonali.

La mia proposta è che le culture individualiste e il retaggio genetico dell’Occidente predispongano gli occidentali ad astrarre il loro giudizio dal contesto sociale, e che ciò di conseguenza abbia predisposto l’Occidente al pensiero razionale e scientifico, come pure ad un peculiare metodo di ragionamento morale. Gli individui sono valutati in quanto tali, in base a tratti come l’onestà, l’intelligenza, il talento militare, la logicità ed utilità delle argomentazioni, facendo astrazione dai loro (relativamente deboli) legami di parentela. Le situazioni morali sono valutate in base ad un concetto astratto di giustizia che si applica a tutti gli individui, piuttosto che essere essenzialmente vincolate agli obblighi sociali verso un particolare gruppo costituito da una particolare rete di legami di parentela estesa. Di fronte al mondo reale, per gli individualisti è più facile astrarre dal contesto sociale e dall’esperienza personale, così come ricercare ed applicare leggi naturali  universali.

 

L’individualismo come fattore predisponente al capitalismo.

Oltre alla scienza, nella nuova cultura dell’individualismo egualitario sorta a partire dal XVII secolo è fiorito anche il capitalismo, che ha finito per minare le culture aristocratiche basate sullo status ereditario. Nel XX secolo, in Gran Bretagna, le antiche famiglie di proprietari terrieri con un albero genealogico che risaliva al Medioevo (e che guardavano con disprezzo al successo negli affari) stavano andando in bancarotta e vendevano le loro proprietà a facoltosi capitalisti i cui antenati erano contadini, sarti e piccoli commercianti; oppure facevano sposare i loro figli con quelli dei ricchi capitalisti, in modo da poter conservare le loro proprietà.

Il contesto sociale in cui la cultura aristocratica decadde e in cui le persone furono libere dagli obblighi verso i signori feudali lasciò libero spazio alle tendenze acquisitive individuali e ad una cultura capitalista. Ciò ebbe come conseguenza grosse differenze nel successo economico16. Come sostiene Gregory Clark nel suo libro Farewell to Alms, ciò a sua volta condusse ad una selezione naturale dell’industriosità e dell’intelligenza nel contesto precedente il XIX secolo in cui la ricchezza era positivamente correlata al numero dei figli17.

La trasformazione dell’Occidente era completa. E’ pur vero che la rivoluzione industriale ebbe un’enorme effetto perturbatore («le sofferenze e lo sconvolgimento che l’Inghilterra subì tra il 1790 e il 1850 sono stati tra i peggiori nel corso della sua storia»18) e lo stesso si può dire del processo di industrializzazione che ebbe luogo in alte aree dell’Occidente; tuttavia, in Inghilterra «il tenore di vita della maggior parte delle persone crebbe nettamente nella seconda metà del [XIX] secolo»19. Le società occidentali non soltanto divennero ricche come non lo erano mai state fino ad allora, ma crearono anche condizioni di vita più che adeguate per la classe lavoratrice e la possibilità di mobilità sociale ascendente per gli individui dotati e ambiziosi.

Nell’arco di tempo che va dalla metà del XVII secolo agli anni 1960 l’Occidente ha tratto beneficio da questi movimenti e si è incamminato lungo la strada della creazione di società non solo più ricche, ma anche più giuste e più eque. Negli Stati Uniti degli anni 1950 esistevano già forti tendenze verso un trattamento sempre più equo degli afroamericani. L’Occidente aveva perso le sue colonie lasciando in eredità l’autogoverno, consistenti infrastrutture e istituzioni educative a gran parte dell’Africa e dell’Asia20. Nel 1991 l’Unione Sovietica è crollata, lasciando l’Occidente in una condizione di egemonia senza rivali.

 

Cosa è andato storto? La nuova élite e la sua avversione per la nazione che essa governa.

 

Dunque, cos’è andato storto? Come mai poco più di mezzo secolo dopo la rivoluzione controculturale l’Occidente è sull’orlo del suicidio, ovunque inondato da altre popolazioni, da genti tipicamente molto più tribali e molto più inclini alla corruzione (un problema endemico in gran parte del terzo mondo, dove le relazioni si basano principalmente sui rapporti di parentela più che sui meriti individuali e sulla fiducia verso i non consanguinei) e spesso, palesemente, dotate di un’intelligenza inferiore? Le cose sono arrivate al punto in cui i popoli occidentali stanno per diventare minoranza in aree che hanno dominato per centinaia o, in Europa, migliaia di anni. Sostanzialmente, se le tendenze attuali continueranno, il loro peculiare patrimonio genetico andrà completamente perduto. Basta soltanto considerare le tendenze demografiche di tutti i paesi occidentali che mostrano un continuo declino della percentuale dei bianchi rispetto alla popolazione mondiale, con un tasso di natalità che è al di sotto del livello sostitutivo, nel contesto di una massiccia immigrazione di non-bianchi. L’estinzione, dopo tutto, costituisce una parte della storia della vita tanto quanto l’evoluzione di nuove forme viventi.

Questo disastro attualmente in corso, che riguarda la popolazione americana tradizionale, è la diretta conseguenza dell’ascesa di una nuova élite come risultato della controrivoluzione culturale degli anni 1960.

Questa nuova élite disprezza la popolazione e la cultura tradizionali americane. Così David Gelernter:

 

La vecchia élite era in buoni rapporti col paese ai cui vertici si collocava. I membri della vecchia classe sociale superiore erano più ricchi e meglio educati rispetto al grosso della popolazione, ma concepivano la vita sostanzialmente negli stessi termini. La gente comune andava in chiesa e lo stesso facevano loro. La gente comune entrava nell’esercito e lo stesso facevano loro. La gente comune organizzava matrimoni semplici e l’élite matrimoni più lussuosi, ma quasi tutti utilizzavano il medesimo linguaggio dignitoso e nessuno si metteva in mostra. Erano tutti concordi sul fatto che l’arte fosse uno spreco (quella era l’America) che degli scienziati si potesse dubitare, che l’ingegneria, le macchine, il progresso e la natura fossero cose buone. Alcuni aspetti della mentalità dei vecchi tempi avevano un senso, altri no; ma la manovalanza e i suoi capi erano fondamentalmente concordi […].

L’élite odierna detesta la nazione che essa governa. Niente di personale, solo una sostanziale differenza nella visione del mondo, e tuttavia il sentimento è inequivocabile. Occasionalmente, esso si manifesta come un geyser rovente. Così Michael Lewis scrive sul New Republic a proposito della campagna presidenziale di Dole dell’autunno 1996: «la gente fa gestacci col dito medio agli autobus carichi di giornalisti e rivolge loro cantilene offensive; i giornalisti, dal canto loro, portano distintivi con scritto “Sì, io sono nei Media. E tu vai a farti fottere!”». La gente odia i giornalisti e i giornalisti odiano la gente: siamo pari, eccetto per il fatto che i giornalisti detengono un potere e la gente (di fatto) non ne ha nessuno21.

 

Questa cultura ostile e antagonista è ora molto più diffusa e più esplicitamente affermata di quando, due decenni or sono, comparve l’articolo di Gelernter, come appare ad esempio dalle frequenti manifestazioni di astio contro i bianchi di cui si è detto nel capitolo 8. E’ stata sicuramente evidente nel corso delle elezioni [presidenziali americane, n. d. t.] del 2016 e in seguito, quando la stragrande maggioranza dei media ha dato mostra di un odio quasi furioso nei confronti di Donald Trump. Questi, durante i suoi comizi, è solito restituire il favore, spesso puntando il dito contro i media e riferendosi ad essi con espressioni come «le gente più corrotta del mondo» o simili, suscitando l’entusiastico applauso del suo uditorio.

Fondamentalmente, l’assuefazione della sinistra alle politiche identitarie ha distrutto la tradizionale base sociale e classista della politica occidentale, producendo uno scenario politico che si basa sull’identità etnicorazziale e sui vantaggi elettorali per i partiti di sinistra e per gli interessi affaristici (tramite il lavoro a basso costo) ottenuti importando milioni di non-bianchi nei paesi occidentali. Storicamente, ciò ha avuto inizio con un mutamento avvenuto tra gli intellettuali legati alla Scuola di Francoforte in risposta all’emergere del nazionalsocialismo in Germania nel corso degli anni 193022. Questi intellettuali erano stati marxisti ortodossi convinti che le fondamentali divisioni nella società fossero quelle basate sulle classi sociali, i quali tuttavia si resero conto del fatto che l’analisi marxista classica non poteva spiegare l’attrazione che il nazionalsocialismo esercitava nei confronti della classe lavoratrice tedesca.

Temi comuni negli scritti [della corrente legata alla Scuola di Francoforte, n. d. t.] sono l’ostilità verso il populismo americano, il bisogno di una guida rappresentata da un’élite di intellettuali e la patologizzazione dell’identità e del perseguimento degli interessi dei bianchi, che include un’ideologia secondo la quale la preoccupazione dei bianchi per il rischio di essere soppiantati e per la crescita del potere delle minoranze etniche è irrazionale e sintomo di una psiche disturbata.

Questi temi misero radici nei circoli intellettuali degli anni 1950 e divennero dominanti con il successo della rivoluzione controculturale degli anni 1960.

E siccome le società bianche omogenee erano considerate, alla lunga, inevitabilmente pericolose (come dimostrava il caso della Germania nel periodo tra il 1933 e il 1945) questa ideologia venne a saldarsi con lo sforzo di ribaltare la legge del 1924 che poneva dei limiti all’immigrazione favorendo quella che proveniva dall’Europa nordoccidentale23. Il risultato fu la legge Hart-Cellar del 1965 che aprì le porte all’immigrazione di tutti i popoli del mondo e che fu promulgata nello stesso periodo in cui si svolse la fase finale dell’ascesa al potere della nuova élite.

Nel corso degli anni l’immigrazione legale è cresciuta fino ad oltre un milione di unità l’anno, per un totale di 59 milioni di persone fino al 2015, epoca nella quale gli immigrati di prima e seconda generazione erano arrivati a costituire il 26% della popolazione e quasi 65 milioni di americani non parlavano inglese nell’ambito domestico24.

 

Gli americani nati all’estero e i loro discendenti hanno rappresentato la componente principale della crescita della popolazione degli Stati Uniti, come pure del mutamento razziale ed etnico della nazione, da quando la promulgazione della legge del 1965 ha ridefinito la politica nazionale sull’immigrazione. […] Senza l’immigrazione verificatasi a partire dal 1965, gli Stati Uniti […] avrebbero una popolazione bianca pari al 75% invece del 62% attuale. Gli ispanici sarebbero l’8% della popolazione e non il 18%. E gli asiatici sarebbero meno dell’1% degli americani, invece che il 6%25.

 

Il risultato è stata la polarizzazione della politica in senso razziale, nella misura in cui i bianchi si sono raggruppati sempre più attorno al Partito Repubblicano, mentre coloro che sono immigrati dopo il 1965 e i loro discendenti si sono raggruppati attorno al Partito Democratico, insieme ad altri gruppi già presenti in precedenza come i negri e gli ebrei. Nel 2016 oltre il 90% dei voti repubblicani proveniva dai bianchi, mentre il 40-44% dei voti democratici proveniva dai non-bianchi26. Questa tendenza alla polarizzazione razziale aumenterà probabilmente in futuro, anche nel caso in cui l’immigrazione dovesse essere improvvisamente bloccata, perché coloro che sono già immigrati e i loro figli tendono ad essere più giovani rispetto alla popolazione autoctona.

Se la tendenza attuale continuerà, il Partito Democratico e la sinistra in generale domineranno la politica americana a cominciare da un futuro molto prossimo, assai probabilmente dalle elezioni del 2020. Malgrado la retorica anti-immigrazione del presidente Trump, nulla ha sostanzialmente cambiato la linea della politica immigratoria americana, col risultato che, salvo il caso in cui si verifichi un qualche tipo di cataclisma, la sinistra otterrà presto la presidenza ed entrambe le camere del Congresso. La sinistra ha già dato prova delle sue tendenze autoritarie, in particolare per quanto concerne la libertà di parola. I campus universitari sono divenuti il bastione dell’intolleranza progressista o di sinistra verso qualunque posizione conservatrice, anche moderata27. Una o due nomine di giudici della Corte Suprema fatte da un presidente progressista faranno sostanzialmente piazza pulita del Primo e del Secondo Emendamento. E la retorica anti-bianca di cui si è parlato nel capitolo 8 si inasprirà assai oltre l’attuale livello.

La frattura su base razziale, che va facendosi più profonda, segnerà la fine dell’individualismo per la popolazione bianca americana, nella misura in cui questa si concentrerà in gruppi coesi in un ambiente antibianco sempre più ostile. Un’impennata di etnocentrismo da parte della maggioranza della popolazione americana di origine europea è un esito probabile del panorama politico e sociale contemporaneo, sempre più strutturato in gruppi, probabilmente perché i meccanismi psicologici umani, prodotti dall’evoluzione, funzionano attribuendo un maggiore risalto alla distinzione tra il proprio gruppo d’appartenenza e i gruppi estranei in situazioni di competizione per le risorse e di ostilità tra gruppi (si veda il capitolo 8). I principali esempi di collettivismo in Occidente (la cristianità medievale e il nazionalsocialismo tedesco) sono stati caratterizzati da atteggiamenti di gruppo fortemente negativi e da nette divisioni sociali.

 

I movimenti intellettuali di sinistra hanno approfittato della tradizione progressista occidentale.

 

Gli intellettuali che sono arrivati a dominare il dibattito culturale americano e il mondo accademico erano ben consapevoli della necessità di fare appello alle tendenze occidentali all’individualismo, all’egualitarismo e all’universalismo morale che sono state prese in esame in questo volume. Un tema de La cultura della critica è che le accuse morali rivolte ai loro oppositori hanno avuto un ruolo di primo piano negli scritti di questi intellettuali attivisti, inclusi i radicali e coloro che rifiutano il punto di vista biologico circa le differenze di quoziente intellettivo tra gli individui e i gruppi. Un senso di superiorità morale era altresì prevalente nel movimento psicanalitico, e la Scuola di Francoforte ha sviluppato l’idea che le scienze sociali dovessero essere giudicate in base a criteri morali.

Il trionfo di questi movimenti intellettuali fino ad ottenere il consenso in Occidente ha prodotto una comunità morale in cui coloro che non ne accettano le credenze sono visti non soltanto come deficienti sul piano intellettuale, ma anche come moralmente riprovevoli.

Israel Zangwill rappresenta un buon esempio di attivista intellettuale che ha sottolineato come gli ideali occidentali di moralità e di equità potessero essere utilizzati contro le restrizioni poste all’immigrazione.

 

Dovete condurre una battaglia contro [la legge limitativa dell’immigrazione del 1924]; dite loro che stanno distruggendo gli ideali americani. La maggior parte delle fortezze è fatta di cartone, e se farete pressione contro di esse, cederanno28.

 

L’America ha un ampio spazio per tutti i sei milioni della Zona di Residenza [il territorio in cui viveva la maggior parte degli ebrei russi]; ciascuno dei suoi cinquanta stati potrebbe assorbirli. E a parte l’avere un paese tutto per loro, non potrebbero avere un destino migliore di quello di ritrovarsi assieme in una terra di libertà religiosa e civile della cui costituzione il cristianesimo non fa parte e dove il loro voto collettivo li garantirebbe in pratica da ogni persecuzione futura29.

 

E’ stato osservato come durante il periodo della difesa etnica, negli anni 1920, il pensiero darwinista sulla razza fosse diffuso in tutta la cultura occidentale e avesse un ruolo importante per molti americani fautori delle restrizioni all’immigrazione, stimolati dal mutamento degli equilibri etnici negli Stati Uniti (cfr. il capitolo 6). Un tema de La cultura della critica è che gli intellettuali che acquisirono influenza a partire dagli anni 1930 (in particolare la scuola antropologica boasiana) presero di mira le teorie darwiniane sulla razza come pure le singole identità basate sulla coscienza razziale del gruppo bianco. Ad esempio, l’attacco rivolto alle identità razziali con l’obiettivo di promuovere un individualismo atomizzato degli americani di origine europea rappresentò una strategia centrale della Scuola di Francoforte. Le identità di gruppo fondate sulla razza e addirittura sulla famiglia vennero presentate come indicatori di patologia psichica. L’individualismo radicale venne dunque proposto da intellettuali che mantenevano un forte legame col proprio gruppo e ne promuovevano consapevolmente gli interessi.

Queste ideologie caddero su un suolo particolarmente fertile, perché si inserirono nelle tendenze individualiste dell’Europa occidentale. E se l’individualismo ha rappresentato la caratteristica chiave dei popoli occidentali nella loro ascesa verso il dominio mondiale, queste ideologie e la loro interiorizzazione da parte di un così gran numero di europei giocano ora un ruolo di primo piano nel facilitare l’espropriazione dell’Occidente.

In particolare, l’ideologia secondo la quale possedere un senso dell’identità bianca e degli interessi dei bianchi è sintomo di patologia mentale ha reso impossibile sostenere, nei mezzi di informazione maggioritari e nelle università, il legittimo interesse della popolazione bianca ad avere una propria terra e ad evitare di trasformarsi in minoranza all’interno delle società che essa ha dominato per centinaia e di anni, nel caso dell’Europa, per migliaia. Ideologie del genere sono diffuse dai mezzi di informazione maggioritari (che comprendono tanto quelli conservatori quanto quelli progressisti) e dal sistema educativo, dalle scuole elementari fino all’università.

Esse di fatto hanno prodotto una comunità morale che si oppone radicalmente agli interessi dei bianchi. E come nel caso dei puritani, la nuova élite è stata capace di creare una cultura di punizione altruistica nella quale i bianchi puniscono i loro simili che dissentono dai dogmi della comunità morale creata dalla nuova élite, anche a costo di compromettere i propri interessi a lungo termine e quelli dei loro discendenti.

Queste ideologie sono state rafforzate in misura crescente dai controlli sociali. Come si è detto nel capitolo 8, in gran parte dell’Occidente tali controlli includono una legislazione formale che punisce chi critica l’immigrazione e l’espropriazione dell’Occidente. Negli Stati Uniti, grazie al Primo Emendamento, questi controlli legali sono in una fase embrionale, ma è probabile che acquistino forza negli anni a venire qualora la sinistra vada al potere.

In ogni caso, i controlli informali sono molto efficaci sia negli Stati Uniti che nel resto dell’Occidente. Molte persone, ad esempio, sono state licenziate grazie ad una semplice telefonata fatta ai loro datori di lavoro da parte di organizzazioni attiviste. Queste organizzazioni approfittano dalla comunità morale creata dalle élite dei media e del mondo accademico nel corso degli ultimi  cinquant’anni per limitare l’influenza dei soggetti dissidenti e per esporli al pubblico giudizio, portandoli così all’ostracismo e alla perdita del lavoro. L’efficacia di queste tattiche si fonda sul consenso delle élite e sugli atteggiamenti conformisti della popolazione. Idee scientifiche che meno di un secolo fa erano del tutto rispettabili portano ora all’emarginazione e al licenziamento.

 

L’argomento morale a sostegno degli interessi dei bianchi.

 

In ultima analisi, l’efficacia della comunità morale della sinistra contemporanea dipende dalle tendenze occidentali all’individualismo e al progressismo, così come sono state esposte in questo volume. Gli attivisti bianchi che tentano di opporsi a questa comunità morale devono essere consapevoli della fortissima tendenza dei suoi componenti a voler essere parte di tale comunità. In particolare, essi devono porre l’accento sul fatto che i bianchi sono portatori di interessi moralmente legittimi. Per quanto i sentimenti morali degli abolizionisti del XVIII e del XIX secolo fossero certamente lodevoli, adottare un’ideologia di universalismo morale significa il suicidio in condizioni come quelle attuali, nelle quali la migrazione attraverso lunghe distanze è diventata facilissima. Chi definisce “razzisti” i bianchi che affermano i loro legittimi interessi tenta di porre i suoi avversari su un piano di illegittimità morale. Campagne del genere sono efficaci soltanto in Occidente. Ad esempio, Israele e i suoi sostenitori occidentali sono straordinariamente immuni all’accusa, malgrado abbiano edificato una società fondata su una politica immigratoria definita su basi etniche, sulla pulizia etnica, su politiche di apartheid nei confronti dei palestinesi e sull’espulsione dei migranti africani. Per uno psicologo evoluzionista l’aggressione moralistica nei confronti di coloro che dissentono dagli atteggiamenti del gruppo appare come un ovvio adattamento all’esigenza di mantenere i confini di un gruppo fortemente coeso e di sorvegliarne il comportamento.

I gruppi degli angli, degli juti e i loro discendenti puritani trassero senza dubbio un grande vantaggio dall’aggressione moralistica, per la capacità che essa ha di rafforzare le norme del gruppo e di punire opportunisti e disertori creando in tal modo dei gruppi efficaci. L’aggressione moralistica non è in sé sbagliata. La chiave sta nel convincere i bianchi a modificarla in una direzione più adattiva da un punto di vista darwinista. Dopo tutto, l’oggetto dell’aggressione moralistica è piuttosto malleabile.

Un comportamento adeguato in senso darwinista sarebbe dirigere l’aggressione moralistica verso gli appartenenti a qualunque etnia che hanno concepito o tengono in piedi i controlli culturali che stanno attualmente espropriando i bianchi dei loro territori storici. La base morale di tale proposta è piuttosto chiara:

 

  • Esistono differenze genetiche tra i popoli, così che, da un punto di vista evoluzionista, popoli differenti hanno legittimi conflitti di interessi30.
  • L’etnocentrismo ha profonde radici psicologiche che fanno sì che anche i bianchi, che sono relativamente poco etnocentrici, provino una maggiore attrazione verso coloro che sono geneticamente simili a loro e di costoro si fidino31. Tra gli occidentali l’etnocentrismo ha aperto la strada alla creazione di società omogenee e fortemente basate sulla fiducia, che sono state tradizionalmente più comuni in Occidente che altrove. Come si è osservato nel capitolo 8, gli studi hanno dimostrato che le aree in cui è presente una maggiore diversità culturale ed etnica tendono ad avere una minore partecipazione politica e una minore fiducia sociale, che include quella nei confronti dei membri del proprio gruppo razziale o etnico32.
  • Come osserva Frank Salter, le società in cui è presente un gruppo etnico predominante unito da vincoli di parentela e di cultura sono più inclini alle politiche redistributive (come la previdenza sociale) e a contribuire al bene comune (come ad esempio alla sanità pubblica)33.
  • Le società con una predominante maggioranza occidentale di origine europea sono predisposte verso sistemi politici caratterizzati dalla democrazia e dal governo delle leggi34. Vi sono già dei segnali che tali caratteristiche delle società occidentali europee siano minacciate, a causa dell’ascesa di forme di progressismo radicali basate sulla coercizione, sullo sradicamento delle libertà individuali e su modifiche radicali alla Costituzione. Una condizione necessaria per questa trasformazione è il nuovo elettorato che viene importato nei paesi occidentali in conseguenza delle politiche immigratorie generate, in ultima analisi, dall’approvazione della legge sull’immigrazione del 1965 e diffusesi negli altri paesi occidentali poco tempo dopo35.
  • L’accusa di corruzione morale che attualmente viene mossa ai bianchi in quanto gruppo, per via della loro storia di conquiste e dello schiavismo, si applica anche ai gruppi non-bianchi. Grandi gruppi umani (arabi, cinesi Han, bantu) sono stati in grado di monopolizzare sul piano etnico vaste aree in conseguenza delle conquiste dei loro antenati, e tuttavia non li si sente mai esprimere sensi di colpa per quelle loro conquiste o per il trattamento riservato ai popoli soggiogati; né sono destinatari di messaggi da parte delle loro élite che presentino come un imperativo morale l’accoglienza di milioni di non-bianchi.
  • A patire almeno dal XVIII secolo, le società occidentali sono state non soltanto più prospere, ma anche più giuste ed eque di quelle non occidentali, col risultato che una gran parte dell’umanità vorrebbe trasferirsi in Occidente. Un esempio notevole sta nel fatto che lo schiavismo ha continuato ad esistere in molte parti del mondo per molto tempo rispetto a quando fu abolito in Occidente, e continua ad esistervi anche oggi, in particolare in Africa36.
  • Poiché la gran maggioranza degli immigrati dopo il 1965 possiede un q. d. i. inferiore alla media dei bianchi, essi rappresenteranno per molto tempo un peso per la società, per via del loro scarso successo accademico in un’economia altamente tecnologica37, per l’elevato consumo di servizi sociali38 e per la tendenza alla criminalità39, specialmente dopo la prima generazione40. Ciò costituisce un costo a lungo termine per i contribuenti bianchi come pure un generale abbassamento del livello culturale.
  • Una consistente immigrazione ha come conseguenza una pressione verso il basso degli stipendi della classe lavoratrice41 e in misura crescente anche per i settori altamente tecnologici, con il proliferare dei visti di ingresso per i lavoratori del settore informatico provenienti dall’India e dalla Cina.
  • L’immigrazione ha avuto come conseguenza una radicalizzazione in senso razziale della politica e un aumento della polarizzazione politica e del conflitto sociale che possono in definitiva dimostrarsi catastrofici. Malgrado le guerre presentate come crociate morali contro crudeli dittatori (Iraq, Libia) le intromissioni occidentali in queste culture non ne hanno modificato la dinamica basata sulla parentela, cosa che rappresenta il segnale di un futuro sempre più frammentato per l’Occidente, a meno che il processo di trasformazione della società occidentale non venga invertito.
  • Ho già espresso i miei commenti sul crescente odio anti-bianco che promana dalla cultura dell’élite e dalla società occidentale in senso lato. Esso non farà che diventare più intenso man mano che i bianchi perderanno il potere politico, e potrà sicuramente potare ad un aumento della violenza nei loro confronti. Già si verifica che la probabilità che i bianchi siano vittime di crimini violenti perpetrati dai negri risulti molto più alta che nel caso opposto42.
  • A causa del livello di vita relativamente più alto dei paesi occidentali, l’importazione di milioni di poveri dal Terzo Modo ha effetti ambientali negativi.

 

E non è il caso di dire che i sostenitori entusiasti dell’immigrazione ignorano gli interessi etnici e genetici dei bianchi. Essi inoltre non si preoccupano della coerenza razionale: sarebbero infatti terrorizzati al solo pensiero che paesi come la Corea, la Nigeria o Israele dovessero subire un’immigrazione di entità paragonabile ad una sostituzione etnica.

Un buon segnale è che la gran maggioranza degli attivisti e dei simpatizzanti pro-bianchi considerano un forte imperativo morale la conservazione del nostro popolo e della nostra cultura. Spesso senza che dietro vi sia un pensiero consapevole, c’è la sensazione di formare una comunità morale, che ci porta a respingere e ad evitare coloro che odiano noi e le nostre idee. C’è un senso di rettitudine morale e di consapevolezza dell’ipocrisia e della corruzione dei nostri nemici, in particolare delle élite globaliste che oggi controllano il destino dell’Occidente. C’è una forte fiducia di essere nel giusto sul piano morale e su quello intellettuale. E questo è, in effetti, un punto di partenza molto buono. E’ un messaggio che incontrerà una risonanza crescente nell’ampia massa della popolazione bianca, man mano che l’Occidente si polarizzerà sempre di più lungo le linee di frattura etniche e si farà sempre più ostile nei confronti dei bianchi.

 

Conclusione: l’incerto futuro dell’Occidente.

 

Nel libro La cultura della critica scrivevo che «segmenti delle popolazioni del mondo di derivazione europea finiranno per rendersi conto di non aver ricevuto alcun beneficio dall’ideologia del multiculturalismo e da quella dell’individualismo de-etnicizzato». Prevedevo crescenti conflitti tra gruppi, così come un intensificarsi dei controlli sociali che tentano di puntellare il progetto multiculturale:

 

L’importanza del conflitto tra gruppi è qualcosa che non si sottolineerà mai abbastanza. Ritengo sia altamente improbabile che le società occidentali basate sull’individualismo e sulla democrazia possano sopravvivere a lungo alla legittimazione della competizione tra gruppi impermeabili l’appartenenza ai quali è definita in base all’etnicità. L’analisi fatta in Separation and Its Discontents [La separazione e i suoi inconvenienti, n. d. t.] suggerisce decisamente che, in ultima analisi, le strategie di gruppo provocano altre strategie di gruppo, e che le società si organizzano attorno a gruppi coesi e mutuamente esclusivi43. In effetti, i recenti movimenti multiculturali possono essere considerati come tendenti ad una forma di organizzazione sociale profondamente non occidentale che storicamente è stata assai più tipica delle società segmentarie del Medio Oriente basate su gruppi omogenei e separati […]

Esiste dunque una significativa possibilità che le società individualiste possano non sopravvivere alla competizione interna basata sui gruppi, sempre più diffusa e intellettualmente rispettabile negli Stati Uniti. Credo che, negli Stati Uniti, si stia percorrendo un pericoloso sentiero in discesa che porta al conflitto interetnico e alla creazione di enclavi collettiviste, autoritarie e razziste. Sebbene in America le idee e i comportamenti etnocentrici siano considerati legittimi sul piano morale e intellettuale soltanto quando vengono manifestati da parte di minoranze etniche, la teoria e i dati che vengono presentati in Separation and Its Discontents indicano come probabile risultato delle attuali tendenze lo sviluppo di un etnocentrismo più forte nella popolazione di origine europea […]

Ci si può aspettare che nella misura in cui il conflitto etnico negli Stati Uniti continuerà ad inasprirsi, verranno fatti tentativi sempre più disperati di imporre l’ideologia del multiculturalismo attraverso sofisticate teorie che postulano la natura psicopatologica dell’etnocentrismo dei gruppi maggioritari, come pure attraverso la creazione di controlli statali polizieschi su pensieri e comportamenti non conformi.

 

Come si è detto nel capitolo 8, molto di tutto ciò sta già accadendo. L’ideologia secondo cui l’etnocentrismo bianco non ha una fondamento intellettuale ed è un sintomo di patologia psichica viene promossa più vigorosamente che mai dai media come dal sistema educativo, mentre vengono incoraggiati l’identità e gli interessi etnici dei non-bianchi. L’odio anti-bianco da parte dei non-bianchi, e specialmente quello nei confronti dei maschi bianchi, è palesemente in crescita: una situazione che inevitabilmente rende i bianchi più consapevoli di sé in quanto gruppo. E constatiamo anche la presenza di controlli sociali sempre più severi che tentano di fornire un sostegno allo stato multiculturale, siano essi controlli informali basati sul consenso dell’élite (licenziamenti, ostracismo) siano anche, in molte parti dell’Occidente, condanne penali per soggetti che esprimono una visione pro-bianca od opinioni dissenzienti in materia di razza, di immigrazione o sull’importanza dell’influenza ebraica.

Molti commentatori, nell’attuale scenario americano, hanno osservato la crescente polarizzazione e l’incapacità di comunicare al di là della linea di divisione politica (che è sempre più etnica). I gruppi contrapposti sono portatori di visioni del mondo inconciliabili e vedono l’altra parte come l’incarnazione del male, aspetto che ricorda molto il pensiero millenarista di cui si è parlato, nel capitolo 6, come di una forte tendenza nella storia americana. Come ha scritto E. M. Bradford, «siamo già bene incamminati sulla strada di una retorica puritana in piena regola di guerra perpetua contro i “poteri dell’oscurità”: andiamo “verso due schieramenti universali armati, impegnati in una lotta mortale l’uno contro l’altro”»44.

Questo fenomeno continua ad inasprirsi, e il conflitto è visto, da tutte le parti, come irreconciliabile. Ciò si traduce in uno scontro esistenziale, nel quale sono in gioco valori fondamentali. Commentando l’atmosfera velenosa della politica americana del 2018, Hillary Clinton ha dichiarato che la civiltà nella politica americana può essere ristabilita qualora la sua parte, i democratici, vinca: «Non si può essere civili con un partito politico che vuole distruggere ciò per cui vi battete, quello che vi sta a cuore»45.

Questo suggerisce la possibilità di una guerra civile. In effetti, un sondaggio Rasmussen del 2018 indica che il 31% degli americani pensa che una guerra civile sia probabilmente vicina46.

Un possibile scenario di guerra civile è stato proposto da Michael Vlahos, che osserva come le guerre civili scoppino quando la popolazione di divide in campi contrapposti47.

 

Proprio a partire dalle elezioni del 2016 abbiamo assistito a un bombardamento di retorica d’èlite blu e rossa47a: affollamento della Corte Suprema, abolizione del collegio elettorale, revoca del Secondo Emendamento, invalidamento totale della legge federale, incatenamento dei diritti degli elettori e invocazione del Venticinquesimo Emendamento da parte dello “stato profondo”47b. Queste sono tutte azioni potenzialmente estreme che non soltanto smantellerebbero il nostro ordinamento costituzionale, ma lo distorcerebbero per adattarlo al concetto giuridico di virtù di una parte, cancellando così ogni parvenza di legalità dell’altra parte. Nel corso del tempo ciascun partito è stato emotivamente investito dalla bramosia di smantellare il vecchio per creare qualcosa di  nuovo.

Perciò le norme costituzionali esistono soltanto nominalmente fino a quando non verranno demolite e soltanto fino a quando un precario equilibrio elettorale  resterà in piedi. Un grande capovolgimento storico in favore di un partito e a svantaggio dell’altro spingerebbe molto velocemente la nazione verso una crisi, perché il partito vincente si precipiterebbe a mettere in atto il suo programma. Proprio la minaccia di una simile demolizione costituzionale verrebbe ad essere un sicuro casus belli. Capovolgimenti del genere, come quello degli anni 1770 contro la Gran Bretagna e quello degli anni 1850 contro i sostenitori dello schiavismo, sono stati gli autentici punti di svolta. La sentenza “Dred Scott contro Stanford” del 185747c non fu soltanto un punto di svolta: a livello inconscio la sua eredità grava ancora molto sugli americani odierni, nel momento in cui essi prendono in considerazione (spesso con passionalità isterica) le paurose conseguenze della nomina di [Brett] Kavanaugh [alla Corte Suprema] […].

La cosa chiara è che due partiti in guerra tra loro non accetteranno nulla di meno, ciascuno dall’altro, che la sottomissione, anche quando il perdente non intenda in alcun modo sottomettersi. Inoltre, l’ethos di ciascuna fazione è tale da renderla incapace di provare empatia per l’altra.

 

Vlahos suggerisce che «ciò che potrebbe derivarne sarebbe una riorganizzazione nazionale, una separazione de facto nella quale le regioni blu e quelle rosse procederebbero (e si governerebbero) ciascuna a modo suo, pur mantenendo la facciata formale di “Stati Uniti”».

 

  • La divisione non avverrebbe intermini propriamente regionali, quanto piuttosto tra realtà urbane e realtà rurali e tra bianchi e non-bianchi, per quanto com’è ovvio tali dicotomie si compenetrino in una certa misura. In tutti gli stati blu esiste una divisione tra le zone rurali e i grandi centri urbani che ha un ruolo dominante in politica e che rende vana una ripartizione in termini regionali. Inoltre, una frattura di tipo regionale sulla base di motivi ideologici chiaramente definiti, come quella verificatasi

nel caso della Guerra Civile, sarebbe più facile di una suddivisione in base a criteri artificiali, che creerebbe enormi problemi logistici.

  • Diversi analisti hanno suggerito vari modelli di divisione degli Stati Uniti al fine di rendere possibile uno stato etnico bianco. Ciò comporterebbe trasferimenti di popolazione analoghi a quelli verificatisi in occasione dell’espulsione dei tedeschi dall’Europa Orientale dopo la Seconda Guerra Mondiale e della divisione tra India e Pakistan nel 194848. In entrambi i casi si trasferirono milioni di persone, portando a un incremento dell’omogeneità etnica e religiosa di entrambe le aree. Un modello del genere, negli Stati Uniti odierni, comporterebbe enormi difficoltà logistiche, ma sarebbe certamente possibile se vi fosse una sufficiente volontà politica.
  • Una difficoltà considerevole nel caso di una divisione su basi razziali sta nel fatto che la sinistra è sul punto di diventare una maggioranza permanente all’interno dell’attuale sistema, grazie al suo elettorato d’importazione. La sinistra ha mostrato crescenti tendenze autoritarie, che verrebbero indirizzate ad impedire uno stato etnico bianco. La sinistra non ha mostrato alcuna tolleranza per le voci dissenzienti. In effetti, coloro che dissentono sono visti come la personificazione del male, esattamente come avvenne nel periodo che precedette la Guerra Civile. Se infatti la sinistra otterrà il potere, bisognerà aspettarsi un aumento della repressione politica, la fine della protezione della libertà di parola garantita dal Primo Emendamento, cambiamenti radicali alla Costituzione, una retorica anti-bianca più o meno ufficiale, un’ulteriore rimozione di monumenti storici e un aumento dell’indottrinamento tramite il sistema educativo.

 

Se ciò è corretto, allora dovremo aspettarci che la violenza sia un elemento dell’equazione. Che aspetto avrà questa guerra? Attualmente la parte bianca e rurale avrebbe diversi vantaggi, in termini di possesso di armi e di rappresentanza nelle forze di polizia e militari, soprattutto ai livelli più alti49, ma questo non è una garanzia di vittoria.

Concordo con Enoch Powell: «se guardo al futuro, sono pieno di inquietudine; come i romani, mi pare di vedere “il fiume Tevere schiumante di sangue”»50. Tutte le utopie immaginate dalla sinistra hanno inevitabilmente condotto allo spargimento di sangue, perché erano in contrasto con la natura umana. La classica visione utopica marxista di una società senza classi dell’Unione Sovietica si è autodistrutta, ma solo dopo aver mandato a morte milioni dei suoi cittadini. Ora la versione utopica multiculturale divenuta dominante in tutto l’Occidente mostra di aver prodotto una forte opposizione e una polarizzazione inconciliabile.

Ripensando un giorno all’epoca attuale, non vorremmo dover dire di aver fatto troppo poco e troppo tardi, come avvenne nel 1924 con la legge sull’immigrazione che mirava a creare uno status quo etnico. Tutti i numeri della rappresentanza dei bianchi nelle forze di controllo sociale continueranno a diminuire negli anni a venire per via del continuo deterioramento della situazione demografica. A questo punto, neppure un blocco immediato dell’immigrazione e una deportazione degli immigrati illegali sarebbero sufficienti per preservare a lungo un’America bianca.

La sinistra e i suoi alleati nel mondo degli affari hanno creato un mostro. I bianchi devono rendersi conto del fatto che se non faranno nulla, i decenni futuri li vedranno sempre più perseguitati e denigrati, nella misura in cui il mostro continuerà ad acquisire potere.


Note.

 

  • Theodor MOMMSEN, The History of Rome, vol. 2, trad. W. P. Dickson New York, Charles Scribner’s Sons, 1894: 386.
  • Ibid., 403-404.
  • Charles MURRAY, Human Accomplishment: The Pursuit of Excellence in the Arts and Sciences, New York, Harper Perennial, 2004.
  • Kevin MACDONALD, The Culture of Critique: An Evolutionary Analysis of Jewish Involvement in Twentieth-Century Intellectual and Political Movements, Bloomington, IN, AuthorHouse, 2002, ed. orig.

Westport, CT, Praeger, 1998; capitolo 6.

  • Ricardo DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization, Leiden, Olanda, Brill, 2011.
  • Questa inclinazione alla discussione propria dell’Occidente non si accorda bene con l’individualismo egualitario e con l’enfasi che questo pone sulla conformità e sulla punizione di coloro che, per le loro capacità, si distinguono dagli altri. Come in molti altri ambiti, anche in quello culturale l’Occidente è una complessa miscela di individualismo egualitario e individualismo aristocratico. Tuttavia, come si è osservato nel capitolo 6, dopo che i forti controlli di gruppo dei puritani si sono dissolti, alcuni individui di origine puritana come Benjamin Tucker sono diventati degli individualisti radicali (si veda la sezione intitolata “Anarchismo libertario”). Inoltre, prima che (in tempi recenti) la sinistra radicale cominciasse a esercitare la sua egemonia su aree di studio come il q. d. i. e le differenze razziali, i campi di indagine scientifici non venivano affrontati dal punto di vista delle comunità morali, e gli individui erano pertanto liberi di dissentire senza dover subire penose conseguenze per la loro reputazione, senza cioè venire automaticamente accusati di incompetenza o di immoralità. I dissidenti potevano essere considerati eccentrici o poco brillanti, ma non denigrati come individui malvagi.
  • Donald T. CAMPBELL, Plausible Coselection of Belief by Referent: All the “Objectivity” that Is Possible, “Perspectives on Science”, 1, 1993: 88-108, 93.
  • Donald T. CAMPBELL, Science’s Social System of Validity-enhancing Collective Belief Change and the Problems of the Social Sciences, in Donald W. FISKE, Richard A. SHWEDER (eds.), Metatheory in Social Science: Pluralisms and Subjectivities, Chicago, University of Chicago Press, 1986: 108-135, 121-122. [9] Arthur JENSEN, The Debunking of Scientific Fossils and Straw Persons, Contemporary Education Review, 1, 1982: 121-135.
  • Jean PIAGET, Intellectual Evolution from Adolescence to Adulthood, “Human Development”, 15, 1972:

1-12.

  • Keith E. STANOVICH, Richard E. WEST, Individual Differences in Rational Thought, “Journal of Experimental Psychology: General 127”, 1998: 161-188.
  • Keith E. STANOVICH, Richard E. WEST, Individual Differences in Reasoning: Implications for the Rationality Debate, “Behavioral and Brain Sciences”, 23, 2000:645-665.
  • Arthur JENSEN, The g Factor: The Science of Mental Ability, Westport, CT, Praeger, 1998:_ 325.
  • STANOVICH, WEST, Individual Differences in Reasoning.
  • DUCHESNE, The Uniqueness of Western Civilization.
  • Ibid., 239.
  • Gregory CLARK, A Farewell to Alms, Princeton, NJ, Princeton University Press, 2007.
  • Thomas TOMBS, The English and Their History, London, Penguin Books, 2015, ed. orig. London, Allen Lane, 2014: 453.
  • Ibid., 482.
  • Riguardo ai benefici del colonialismo, si veda Jeremy BLACK, Imperial Legacies: The British Empire Around the World, New York, Encounter Books, 2019.
  • David GELERNTER, How the Intellectuals Took Over (And What to Do About It), “Commentary”, marzo 1997; https://www.commentarymagazine.com/articles/how-the-intellectuals-took-over-and-what-to-doabout-it/
  • Si veda MACDONALD, The Culture of Critique, cap. 5.
  • Ibid., cap. 7.
  • Steven A. CAMAROTA, Karen ZEIGLER, Nearly 65 Million U. S. Resident Spoke a Foreign Language at Home in 2015, “Center for ImmigrationStudies”, 18 ottobre 2016; https://cis.org/Report/Nearly-65-Million-US-Residents-Spoke-Foreign-Language-Home-2015
  • Modern Immigration Wave Brings 59 Million to U. S., Driving Population Growth and Change

Through 2065, cap. 2: Immigration’s Impact on Past and Future U. S. Population Change, Pew Research Center, 28 settembre 2015; http://www.pewhispanic.org/2015/09/28/Ch.-2-immigrations-impact-on-pastand-future-u-s-population-change/

  • Ezra KLEIN, How Democracies Die, Explained, 2 febbraio 2018, https://www.vox.com/policy-andpolitics/2018/2/2/16929764/how-democracies-die-trump-book-levitsky-ziblatt;

David LAUTER, Democratic, Republican Voters Bases Are More Different Than Ever, “Los Angeles Times”,

20 marzo 2018, https://www.latimes.com/politics/la-na-pol-voter-groups-20180320-story.html

  • Si veda ad esempio Samuel J. ABRAMS, The Dangerous Silence in Higher Education, “Spectator USA”, 10 novembre 2018, https://spectator.us/dangerous-silence-higher-education/
  • Israel ZANGWILL, citato nel Rapporto di Maggioranza della Camera dei Rappresentanti sul progetto di legge del 1924 riguardante le limitazioni all’immigrazione, House Report No. 350, 1924: 16.
  • Israel ZANGWILL, citato in Edward A. ROSS, The Old World and the New: The Significance of Past and Present Immigration to the American People, New York, The Century Co. 1914: 144.
  • Frank K. SALTER, On Genetic Interests: Family, Ethnicity and Humanity in an Age o Mass Migration, New Brunswick, NJ, Transaction, 2006.
  • Philippe RUSHTON, Ethnic Nationalism, Evolutionary Psychology and Genetic Similarity Theory, “Nations and Nationalism”, 11, 2005: 489-507; si veda anche il cap. 8.
  • Robert PUTNAM, E Pluribus Unum: Diversity and Community in the Twenty-first Century,

“Scandinavian Journal of Political Studies”, 30, 2007: 137-74; Frank K. SALTER, The Biosocial Study of Ethnicity, in Rosemary HOPCROFT (ed.), The Oxford Handbook of Evolution, Biology and Society, Oxford, Oxford University Press, 2018: 543-568.

  • Frank K. SALTER, Welfare, Ethnicity and Altruism: New Data and Evolutionary Theory, London, Routledge, 2005.
  • Jerry Z. MULLER, Us and Them: The Enduring Power of Ethnic Nationalism, “Foreign Affairs”, marzo – aprile 2008.
  • Si vedano i capitoli 8 e 9.
  • Global Slavery Index, https://www.globalslaveryindex.org/2018/findings/global-findings/
  • Kevin MACDONALD, Jason Richwine on IQ and Immigration, “The Occidental Observer”, 16 maggio

2013, https://www.theoccidentalobserver.net/2013/05/16/jason-richwine-on-iq-and-immigration/

  • Steven A. CAMAROTA, Karen ZEIGLER, 63% of Non-Citizen Households Access Welfare Programs,

Center for Immigration Studies, 20 novembre 2018, https://cis.org/Report/63-NonCitizen-HouseholdsAccess-Welfare-Programs

  • Steven A. CAMAROTA, Non-Citizens Committed a Disproportionate Share of Federal Crimes, 2011-16, Center for Immigration Studies, 10 gennaio 2018.
  • Frank SALTER, Germany’s Jeopardy, You Tube, 5 gennaio 2016, https://youtu.be/R8qcK-jx6_8
  • George J. BORJAS, The Wage Impact of the Marielitos: A Reappraisal, National Bureau of Economic

Research, luglio 2016, https://www.nber.org/papers/w21588

  • Edwin S. RUBINSTEIN, The Color of Crime, 2016, https://www.amren.com/archives/reports/the-color-of-crime-2016-revised-edition/
  • Kevin MACDONALD, Separation and Its Discontents: Toward an Evolutionary Theory of Anti-Semitism, Bloomington, IN, AuthorHouse, 2003 (ed. orig. Westport, CT, Praeger, 1998), capitoli 3-5.
  • E. BRADFORD, Dividing the House: The Gnosticism of Lincoln’s Political Rhetoric, “Modern Age”, inverno 1979: 10-24, 18.
  • Jack CROWE, Hillary Clinton: “Civility Can Start Again” When Democrats Take Congress, “National Review”, 9 ottobre 2018, https://www.nationalreview.com/news/hillary-clinton-civility-can-start-againwhen-democrats-take-congress/
  • 31% Think a U. S. Civil War Likely Soon, Rasmussen Report, 27 giugno 2018, https://www.rasmussenreports.com/public_content/politics/general_politics/june_2018/31_think_u_s_civil_ war_likely_soon
  • Michael VLAHOS, We Were Made for Civil War, “The American Conservative”, 29 ottobre 2018, https://www.theamericanconservative.com/articles/we-were-made-for-civil-war/

[47a] N. d. t.: Il blu e il rosso sono i colori che rappresentano rispettivamente il Partito Democratico e il Partito Repubblicano statunitensi.

[47b] N. d. t.: Il Venticinquesimo Emendamento della Costituzione americana prevede la possibilità di rimuovere e sostituire il presidente quando questi si dimostri incapace di assolvere il proprio compito. Con l’espressione “stato profondo” (deep state) si designano quegli apparati statali (e non) che condizionano la politica di uno stato e l’azione dei suoi rappresentanti ufficiali (in pratica i “poteri forti” che stanno “dietro le quinte”).

[47c] Il caso giudiziario “Dred Scott contro Stanford”, discusso presso la Corte Suprema degli Stati Uniti tra il 1856 e il 1857, stabilì che gli schiavi, non essendo cittadini americani, non erano tutelati dalla Costituzione. Gli effetti di questa sentenza vennero vanificati dal Quattordicesimo Emendamento (1868).

  • Richard MCCULLOCH, Visions of the Ethnostate, The Occidental Quarterly, 18, n. 2, estate 2018: 29-46. [49] Kevin MACDONALD, Thinking about Civil War II, The Occidental Observer, 4 luglio 2018, https://www.theoccidentalobserver.net/2018/07/04/thinking-about-civil-war-ii/

[50]      Enoch   Powell’s           “Rivers             of         Blood” Speech,             “The Telegraph”,       6          novembre         2007, https://www.telegraph.co.uk/comment/3643823/Enoch-Powells-Rivers-of-Blood-speech.html